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"Modernità", anticipazione dei tempi, nel pensiero, nell'arte, nella vita. Ci fa intuire che abbiamo a che fare col genio pur non comprendendolo appieno. Poi, per raccapezzarci impieghiamo i nostri parametri, da competenti, da dilettanti, ognuno come può. Il film dopo qualche mascherata entra nel vivo di un famoso caso. La pala d'altare dell'Assunta. Il dipinto del ventenne cadorino non piacque. Si può capire: il Padre Eterno dalla zazzera incolta, cipiglio arcigno, plana virando in un piano inclinato. I bravi Frari di Santa Maria Gloriosa se ne volevano sbarazzare ma ne furono distolti. La Vergine catturava lo sguardo, fu spiegato, scenografia dal richiamo potente. Si prendeva coscienza così di un talento che un giorno sarebbe riuscito anche nel cinema.
Una curiosa coincidenza. In una mostra a Palazzo Ducale ebbi la ventura di vedere da vicino tra l'altro il ritratto dell'Aretino. Mi soffermai non so quanto a lungo, soggiogato, a rimirare le innumerevoli sfumature dello scarlatto di quel suo robbone. Quanti impasti avrà usato. Nel film Bernard Aikema discetta appassionato sul rosso e ricorda che è la tinta del sangue e, come questo, fisiologicamente cambia: sgorga, porpora brillante, da una ferita aperta; imbrunisce nel decadimento. Ho apprezzato ma preferisco un'altra declinazione di questo fondamentale e pur problematico colore (ai daltonici, a molti animali, soprattutto agli uccelli appare nero). Sempre nel film si raccolgono per ben due volte le stesse ciliege, ovviamente rosse. Sarò frivolo ma le ho subito collegate alla "vucchella de cerasa" di Filippo II.
Meno frivolo è lo spirito con cui il Nostro "dipinge" i potenti che pur lo fecero ricco. Beffardo, come il suo sodale, l'Aretino, miscredente ed osceno. Ecco un retaggio di Tiziano, il sarcasmo camuffato da celebrazione, quello di Velasquez, quello di un incattivito Goya. Carlo V, a cavallo, solo in un tranquillo angolo campestre. In mano una lancia, penso, fuori misura. Incongrua in un condottiero. Arma di poveracci appiedati, mandati a morire nell'intento di aprire un varco nel fronte nemico.
Come Raffaello,Tiziano immortalò varie e diverse bellezze carnali pur pensando ad una sola donna. Da che si capisce? Dal naso o, meglio, dalla forma della narice, sempre quella.
Vestiti e svestiti messi insieme. L'inventò Giorgione ma la cosa ebbe successo fin dopo gli impressionisti. Eppure si tratta di una faccenda cerebrale, "moderna". Amor sacro e amor profano, strane femmine che s'indovinano silenti, misteriose in quanto imperscrutabili. Magritte con qualche ritocco le avrebbe rifatte volentieri.
Si potrebbe continuare con tanti altri filoni intriganti come, ad es.,il lettino su cui sdraiarsi à poil, che ha attraversato i secoli.
Intanto, nonostante la pioggia d'oro cadutagli addosso e non come a Danae, un'età da record per quell'epoca, il vegliardo dimentica miti e lusinghe, come Tintoretto abbandona la sontuosa e lasciva Venezia, e si piega sul penitenziale. Il "Vero" è solo dolore. Si china sulle Sante Piaghe. Ne tocca una. Il suo Mysterium Coniunctionis.
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