marica romolini
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venerdì 17 febbraio 2012
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un road movie nel conflitto
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Opera di un regista che si interroga incessantemente su uno scontro - quello tra palestinesi ed ebrei - che sempre più sembra insanabile e incancrenito nelle sue dinamiche, Free Zone evita i rischi retorici legati alla frequenza con cui la questione mediorientale viene tragicamente posta in primo piano dalla cronaca, concentrandosi sulla ‘storia minore’ di tre donne, che per differenti motivi si trovano in viaggio insieme. La guerra dei soldati, degli eventi da notizia, delle decisioni politiche viene qui convertita in scenografia, in ambiente in cui i singoli individui devono muoversi, costretti a confrontare continuamente sogni, necessità pratiche, obiettivi realisticamente prosaici con tale condizione alterata.
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Opera di un regista che si interroga incessantemente su uno scontro - quello tra palestinesi ed ebrei - che sempre più sembra insanabile e incancrenito nelle sue dinamiche, Free Zone evita i rischi retorici legati alla frequenza con cui la questione mediorientale viene tragicamente posta in primo piano dalla cronaca, concentrandosi sulla ‘storia minore’ di tre donne, che per differenti motivi si trovano in viaggio insieme. La guerra dei soldati, degli eventi da notizia, delle decisioni politiche viene qui convertita in scenografia, in ambiente in cui i singoli individui devono muoversi, costretti a confrontare continuamente sogni, necessità pratiche, obiettivi realisticamente prosaici con tale condizione alterata. La prospettiva del film è affidata da Gitai all'universo femminile, che incarna un punto di vista altro sul conflitto e che per la prima volta emerge come protagonista incontrastato nel cinema del regista. A marcarlo è il lungo piano sequenza iniziale, in cui la fissità della macchina da presa potenzia il pianto di Rebecca. Nata negli Stati Uniti da madre americana e padre israeliano, la donna, trasferitasi a Gerusalemme in vista delle nozze, una volta rotto il fidanzamento decide di allontanarsi dalla città a bordo di un taxi. Le lacrime con cui si apre il film, reduplicatio di quelle suggerite dal Muro del Pianto che si intravede in profondità di campo, sono dunque di sfogo liberatorio e non di riconciliazione, perché è solo ora che il percorso di formazione di Rebecca ha inizio. Sulla falsariga degli archetipi fondamentali del western e del road movie - lo spazio chiuso e il viaggio - si delimita un microcosmo dove confluiscono personaggi eterogenei, i cui rapporti vengono sviluppati lungo l'asse diacronico del racconto. Nella medesima automobile, infatti, l'americana Rebecca, l'israeliana Hanna e la palestinese Leila si uniscono nell'ostico tragitto alla volta della cosiddetta free zone, la zona franca tra Siria, Giordania, Iraq e Arabia Saudita dove 'neutri' interessi commerciali risultano ancora preponderanti sulle divisioni etniche e linguistiche. Azzeccatissima la colonna sonora.
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francesco2
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venerdì 11 aprile 2014
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gitai imbolsito, speriamo nel prossimo film
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Il viaggio -Reale ma anche metaforico- di due solitudini era stato meglio raccontato da Gitai nell'ormai vecchio "Berlin, Jerusalem". Qui, invece, la scena iniziale è inutilmente lunga e melensa, come pessima è la parte che impegna la Portman e l'altra attrice nel viaggio in macchina. Nè il resto aggiunge molto altro, anche ma non solo a causa di un didascalismo inutile, come nel dialogo tra Rebecca e il signore anziano, o nella scena in cui l'altra protagonista viene insultata.
Paradossalmente parlando, quella storia che racconta un ncontro tra due solitudini -Anch'esso reale e non metaforico, alla fine di "Berlin-jerusalem"- gli era riuscita meglio, anche se forse più difficile da raccontare.
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Il viaggio -Reale ma anche metaforico- di due solitudini era stato meglio raccontato da Gitai nell'ormai vecchio "Berlin, Jerusalem". Qui, invece, la scena iniziale è inutilmente lunga e melensa, come pessima è la parte che impegna la Portman e l'altra attrice nel viaggio in macchina. Nè il resto aggiunge molto altro, anche ma non solo a causa di un didascalismo inutile, come nel dialogo tra Rebecca e il signore anziano, o nella scena in cui l'altra protagonista viene insultata.
Paradossalmente parlando, quella storia che racconta un ncontro tra due solitudini -Anch'esso reale e non metaforico, alla fine di "Berlin-jerusalem"- gli era riuscita meglio, anche se forse più difficile da raccontare. Già in "Eden" si distingueva solo Samantha Morton, ed "Alila" era stato pessimo. Speriamo che il prossimo "Ana Arabia" sia un pò meglio.
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(di francesco2)
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pabor
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mercoledì 20 maggio 2015
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la bambina di léon è cresciuta
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Rebecca, americana figlia di un israeliano, si ritrova sola, a Gerusalemme, dopo la fine di un amore con un ex soldato che sotto le armi si è macchiato di un crimine di guerra,
Decide di partire per la Giordania con il taxi di Hanna (Hanna Laslo) e nel viaggio, inevitabilmente, si affollano e si sovrappongono i ricordi.
La meta è la «zona franca», un luogo che si estende per pochi chilometri quadrati tra Giordania, Siria, Iraq e Arabia Saudita, dove l'israeliana deve riscuotere una grossa somma dal socio americano del marito, ferito in un attentato.
L'americano sembra scomparso, ma Hanna si scontrerà con la palestinese Leila (Hiam Abbass) che vuole fuggire dalla Giordania.
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Rebecca, americana figlia di un israeliano, si ritrova sola, a Gerusalemme, dopo la fine di un amore con un ex soldato che sotto le armi si è macchiato di un crimine di guerra,
Decide di partire per la Giordania con il taxi di Hanna (Hanna Laslo) e nel viaggio, inevitabilmente, si affollano e si sovrappongono i ricordi.
La meta è la «zona franca», un luogo che si estende per pochi chilometri quadrati tra Giordania, Siria, Iraq e Arabia Saudita, dove l'israeliana deve riscuotere una grossa somma dal socio americano del marito, ferito in un attentato.
L'americano sembra scomparso, ma Hanna si scontrerà con la palestinese Leila (Hiam Abbass) che vuole fuggire dalla Giordania.
Gitai mostra i conflitti, senza la guerra, senza il sangue.
Indimenticabile il piano sequenza inziale sulle lacrime disperate di Natalie Portman, con sullo sfondo, oltre il vetro appannato, il Muro del pianto e la canzone della Pasqua ebraica "Had Gadia" (che noi conosciamo nella versione di Angelo Branduardi Alla fiera dell'est). La bambina di Léon è cresciuta e il suo volto ora ha il sapore amaro del disincanto.
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