paola di giuseppe
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martedì 22 giugno 2010
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il cinema non c'entra con la vita?
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Wenders riflette sul cinema e sul suo destino.Lo stato delle cose è un film a tesi sul significato del raccontare per immagini e dell’immagine stessa.
Due locations,Sintra in Portogallo,la punta più avanzata nell’Atlantico del continente europeo,la costa da cui partivano i conquistadores del nuovo mondo.
Un albergo semidistrutto da mareggiate dove il cast aspetta Gordon,il produttore sparito con i finanziamenti,interni di stanze dove si consumano stanchi amplessi, scorci del Bairro Alto a Lisbona con l’electrico che arranca,e poi Los Angeles,gli studios,le strade,il vetro,l’acciaio, prospettive dall’alto su grattacieli.
Il prologo: la troupe sta girando The survivors, film di fantascienza classica, un after day girato in “effetto notte”, B-movie sulla scia del The most dangerous man di Allan Dwan.
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Wenders riflette sul cinema e sul suo destino.Lo stato delle cose è un film a tesi sul significato del raccontare per immagini e dell’immagine stessa.
Due locations,Sintra in Portogallo,la punta più avanzata nell’Atlantico del continente europeo,la costa da cui partivano i conquistadores del nuovo mondo.
Un albergo semidistrutto da mareggiate dove il cast aspetta Gordon,il produttore sparito con i finanziamenti,interni di stanze dove si consumano stanchi amplessi, scorci del Bairro Alto a Lisbona con l’electrico che arranca,e poi Los Angeles,gli studios,le strade,il vetro,l’acciaio, prospettive dall’alto su grattacieli.
Il prologo: la troupe sta girando The survivors, film di fantascienza classica, un after day girato in “effetto notte”, B-movie sulla scia del The most dangerous man di Allan Dwan.
Le riprese s’interrompono, Joe, fotografo di scena (un Samuel Fuller disincantato e genialmente caustico) dice che con la pellicola che resta al massimo fanno un primo piano.
Friedrich,il regista,alter ego di Wenders, è la simbiosi perfetta nel viso, nei gesti,nel lungo corpo che si muove calmo e teso,delle varie anime dell’Europa,e la parola adatta è saudade.
Parte per Los Angeles,lascia dietro di sé marionette senza fili, personaggi senza autore, e trova Gordon in fuga indeterminate e misteriose minacce di morte da parte di non si sa chi in una casa-mobile che gira senza meta per le strade della città, un mondo di strade su strade,mentre un flash fulmineo inquadra Fritz Lang ridotto a nome su una mattonella del selciato e superano un cinema in cui proiettano Sentieri Selvaggi).
Nelle parole dei due si confrontano due concezioni, del cinema e della vita, e la prima è perdente. L’Europa soccombe con la sua tradizione classica che seziona e ricompone nel gioco dialettico, allegorizza e organizza, produce senso nel sotterraneo rimando analogico e dà forma prismatica al “deserto del reale”.
L’America è azione, movimento “il cinema non c’entra con la vita- urla Gordon a Friedrich- queste cose il pubblico non le vuole, e poi, bianco e nero! Quando facevo vedere i giornalieri ai finanziatori mi chiedevano Se avessi girato lo stesso film a colori, con un soggetto, dovevi tirarmi fuori un soggetto, ora sarei su un trono, solo le zebre usano il bianco e nero!”
Wenders non pone al centro il film da fare ma l’impossibilità di fare cinema.
Il focus è l’assenza, il vuoto, la perdita di senso. Lo stato delle cose, dunque.
Il colloquio nella casa mobile è definitivo, voler fare film è un suicidio, e poi, in bianco e nero.
Joe l’aveva detto “La vita è a colori ma il bianco e nero è più realistico”, Gordon gli ha creduto e si è rovinato.
Fuori, sulla strada, l’aspetta una pallottola. Nel film irrompe improvvisa l’azione, dopo tanto vuoto, tanta assenza e costruisce realtà nuova “….come viene fuori il soggetto la vita se ne va e tutti i soggetti raccontano la morte”.
Memorabile, dopo il primo sparo che abbatte Gordon, il gesto fulmineo di Friedrich che punta la cinepresa come una magnum.
Pochi secondi, l’altra pallottola è per lui.
La macchina cade e continua a filmare di sbieco, una strada, una macchina che passa..
“Soltanto nel finale di questo film a tesi, con l’episodio americano, un po’ di finzione salva quest’opera anti-finzione- fa Wenders- Allan Dawn ha finito per vincere.”
Ora il Cinema, alias il Potere, può plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza.
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fedeleto
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mercoledì 11 gennaio 2012
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la dissimulazione del cinema
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In uno scenario apocalittico (macchine abbandonate,deserto) delle persone con il volto coperto da occhiali e mascherine ,percorrono una strada che dovrebbe portarli al mare ,appena arriveranno a destinazione incomincera' il film,anzi il vero film.Il metacinema non e' una novita' ,e nove anni prima a dircelo e' stato Truffaut con effetto notte,ma lo scopo di Wenders(l'amico americano,falso movimento) e' ben diverso dal documentare la realizzazione di un film ,infatti il regista mira e colpisce in pieno gli intrighi e i loschi affari della produzione che si trova dietro ad un film .Dopo quello scenari postatomico il film nel film prende vita,e il regista si ritrova a scoprire he non ha soldi e che la troupe non e' stata pagata,dunque l'unica speranza diventa il produttore chiamato Gordon.
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In uno scenario apocalittico (macchine abbandonate,deserto) delle persone con il volto coperto da occhiali e mascherine ,percorrono una strada che dovrebbe portarli al mare ,appena arriveranno a destinazione incomincera' il film,anzi il vero film.Il metacinema non e' una novita' ,e nove anni prima a dircelo e' stato Truffaut con effetto notte,ma lo scopo di Wenders(l'amico americano,falso movimento) e' ben diverso dal documentare la realizzazione di un film ,infatti il regista mira e colpisce in pieno gli intrighi e i loschi affari della produzione che si trova dietro ad un film .Dopo quello scenari postatomico il film nel film prende vita,e il regista si ritrova a scoprire he non ha soldi e che la troupe non e' stata pagata,dunque l'unica speranza diventa il produttore chiamato Gordon.Ma tra la noia e i passatempo ,l'equipe cerca di trovare un equilibrio.Non appena il regista si rechera' a New York,scoprira' che il produttore in realta' si trova in seri problemi con la mafia ,per via anche di soldi riciclati.Verrano uccisi entrambi sia il regista che il produttore ,ma almeno il primo e' riuscito a riprendere forse i colpevoli ,una cosa e' certa la telecamera continua a filmare.Wim Wenders firma uno dei suoi migior film ,ed oltre a guadagnarsi il leone d'oro di Venezia ,si merita un encomio degno di un regista che si rispetti.Fin dall'inizio del film Wenders usa parecchi simbolismi oscuri al neofita ma non al cinefilo.Lo scenario postatomico(uno scenario che simboleggia l'attuale inesistenza del vero cinema ,per chi ne vuol sapere di piu' basta visionare il documentario di CHAMBRE 666),L'UOMO CHE RIPRENDE (anche lo scenario e' deserto ,la cinepresa trova sempre qualcosa da osservare),il loro arrivo e' il mare (sinonimo di purezza ).Il film una volta incominciato si concentra sulla noia che il gruppo ha quando si sospendono le riprese ,infatti tutti provano ad ingannare il tempo (chi suona il violino,chi fa' la doccia ) ma ognuno di loro non riesce neanche a dormire,geniale la scena del pezzo del tronco che spacca la finestra (un chiaro simbolo di violenza che avverte il regista di un determinato pericolo ) e ancora una volta non mancano le foto ,ovveo l'elemento di documentazione che immortala il passato ma fa sfuggire il presente.Un accenno anche al regista Samuel Fuller nella parte di Joe ,un aiuto regista che la sa piu' lunga di quello che vuole dimostrare,celebre la frase :QUESTO E' TUO FIGLIO?SPARAGLI( il cinema vecchio dovrebbe uccidere il nuovo ),inoltre il libro che il regista cede alla donna (sentieri selvaggi) e' un esempio di come anche un'altra storia puo' fondersi con un'altra (frase che il regista dice a cena),non manca certo anche l'ironia sulla giovinezza americana(il ragazzo che mentre stende i panni racconta la sua infanzia bizzarra),ma una cosa e' certa solo due bambine non si annoiano in tutto cio'.Da antologia il finale inaspettato in cui appunto il produttore viene ucciso e il regista punta come un'arma la macchina da presa ,anche se verra' ucciso anche lui immediatamente dopo.L a macchina da presa( il cinema) continua a girare perche' e' l'unico modo per vedere realmente lo stato delle cose..Ottime le musiche di Jurgen Knieper.
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rmarci 05
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giovedì 29 agosto 2019
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un film sentito, profondo, meta-cinematografico
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Reduce della travagliata esperienza con il produttore Francis Ford Coppola sul set di Hammett – Indagine a Chinatown, progetto su commissione, Wim Wenders dirige uno degli omaggi più sentiti al mestiere del regista, da cui trasudano un’immensa passione per l’arte cinematografica e un irrinunciabile desiderio di fare film. La trama gialla dell’opera, evidente soprattutto nella seconda parte, serve solamente da contorno a una riflessione sulla natura artistica del cinema e sulla sua incompatibilità con gli standard delle grandi produzioni, attente invece a soddisfare le esigenze del mercato con prodotti puramente commerciali.
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Reduce della travagliata esperienza con il produttore Francis Ford Coppola sul set di Hammett – Indagine a Chinatown, progetto su commissione, Wim Wenders dirige uno degli omaggi più sentiti al mestiere del regista, da cui trasudano un’immensa passione per l’arte cinematografica e un irrinunciabile desiderio di fare film. La trama gialla dell’opera, evidente soprattutto nella seconda parte, serve solamente da contorno a una riflessione sulla natura artistica del cinema e sulla sua incompatibilità con gli standard delle grandi produzioni, attente invece a soddisfare le esigenze del mercato con prodotti puramente commerciali. Il regista tedesco si concentra in particolare sul versante “materiale” della Settima Arte e sui suoi mezzi espressivi (la pellicola, la direzione degli attori, le inquadrature), con una particolare attenzione nei confronti del bianco e nero che, pur non essendo propriamente realistico, riesce a cogliere lo stato d’animo dei personaggi meglio della pellicola a colori. Wenders, visibilmente ispirato, lo utilizza al fine di analizzare l’atto del vedere attraverso uno strumento tecnologico, che “filtra” e distorce la realtà che ci circonda. Il risultato è un film che alterna momenti molto poetici e stilisticamente impeccabili a passaggi più vacui e didascalici, che minano parzialmente l’atmosfera decadente quanto affascinante del film. Ineccepibile è, invece, la caratterizzazione quasi “minimalista” del dramma esistenziale vissuto dai personaggi, vero fulcro attorno intorno a cui ruota tutta la storia e interpretati con ammirevole spessore da tutti gli attori. Dunque, un’opera dal respiro profondamente meta-cinematografico, sicuramente non priva di imperfezioni, ma comunque promossa e consigliata, soprattutto ai cinefili più intenditori. 3,5 stelle su 5.
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giulio andreetta
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mercoledì 27 novembre 2019
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film amaro sulla fatica di vivere
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In un hotel abbandonato sulle sponde dell'Oceano Atlantico si consuma la lenta agonia di un film di fantascienza la cui produzione è forzosamente interrotta per ragioni economiche. Ancora una volta, come spesso in Wenders, questa pellicola appare come una metafora della fatica creativa, della pigrizia, dello stallo interiore che condiziona tutti i componenti della troupe, persino i bambini, in un crescendo di drammaticità e malinconia. Un ozio forzoso che diventa l'elemento scatenante per mostrare tutta la propria insofferenza nei confronti del mondo e degli altri. Una condizione di solitudine interiore e di incomunicabilità a cui ci hanno abituato molti grandi registi del Novecento, a partire da Antonioni.
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In un hotel abbandonato sulle sponde dell'Oceano Atlantico si consuma la lenta agonia di un film di fantascienza la cui produzione è forzosamente interrotta per ragioni economiche. Ancora una volta, come spesso in Wenders, questa pellicola appare come una metafora della fatica creativa, della pigrizia, dello stallo interiore che condiziona tutti i componenti della troupe, persino i bambini, in un crescendo di drammaticità e malinconia. Un ozio forzoso che diventa l'elemento scatenante per mostrare tutta la propria insofferenza nei confronti del mondo e degli altri. Una condizione di solitudine interiore e di incomunicabilità a cui ci hanno abituato molti grandi registi del Novecento, a partire da Antonioni. In effetti, il cinema di Antonioni, e penso in particolare al film Professione reporter, può a mio avviso essere accostato a Lo stato delle cose. Entrambi raccontano la difficoltà di vivere e l'impossibilità di comunicare, di esternare il proprio disagio e insofferenza. Per empatia lo stato emotivo del regista si trasmette a tutti i componenti della troupe, che piano piano scivolano in un'attesa che appare sempre più inconcludente. Ed è proprio su questa sospensione che il regista gioca con abilità, sulle sfumature, sulle citazioni cinematografiche, in modo certamente un poco cerebrale, ma convincente. Un film che non concede nulla al pubblico, tutto appare quasi come un'autobiografia scritta senza pensare troppo a chi la leggerà, o la vedrà. In effetti vi è molto di Wenders nel protagonista del film. E nella parte finale della pellicola c'è una profonda riflessione metacinematografica sul cinema stesso, con tutte le possibili soluzioni estetiche e stilistiche che un regista può intraprendere al momento dell'ideazione della sceneggiatura. Sicuramente una pellicola che offre molti spunti di riflessione, ma forse non il capolavoro di Wenders, che a mio avviso ne Il cielo sopra Berlino offre una regià più matura e consapevole. Recitazione in genere più che discreta anche se, in media, non sempre eccellente, fotografia ottima, anche per l'uso affabulante del bianco e nero. Uno dei pregi di questo film è la sua sincerità, direi quasi la temerarietà di rappresentare senza censure lo stato di abbattimento interiore, e di disperazione.
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