paolo 67
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martedì 21 agosto 2012
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sulla germanicità e su hitler nel subconscio umano
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La terza parte della ambiziosa, visionaria trilogia (dopo Ludwig II e Karl May) sulla storia della Germania di Jans-Hurgen Syberberg è uno dei più grandi film mai realizzati, un monumento del cinema per la durata, l'intento, lo stile. Genialmente proiettato nel nero cosmico, come “2001” di Kubrick. La rappresentazione è teatrale ma è talmente ricca di spunti, scenografie, personaggi da non essere statica. La scenografia, surreale, è sempre funzionale ma nello stesso tempo espressionista. Il film, girato a basso costo in 20 giorni, è smisiratamente lungo (più di 7 ore), ma non è mai noioso. È un lavoro che richiede un particolare tipo di attenzione e invita di essere meditato, rivisto.
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La terza parte della ambiziosa, visionaria trilogia (dopo Ludwig II e Karl May) sulla storia della Germania di Jans-Hurgen Syberberg è uno dei più grandi film mai realizzati, un monumento del cinema per la durata, l'intento, lo stile. Genialmente proiettato nel nero cosmico, come “2001” di Kubrick. La rappresentazione è teatrale ma è talmente ricca di spunti, scenografie, personaggi da non essere statica. La scenografia, surreale, è sempre funzionale ma nello stesso tempo espressionista. Il film, girato a basso costo in 20 giorni, è smisiratamente lungo (più di 7 ore), ma non è mai noioso. È un lavoro che richiede un particolare tipo di attenzione e invita di essere meditato, rivisto. Il regista esplora nuovi campi della messa in scena cinematografica, e fa un gioco magistrale con il potenziale simbolista del cinema. Un'opera dove la luce, il suono, il palcoscenico, sono chiamate ad aiutare l'espressione mitologica, per cercare di rendere l'anima tedesca, che per l'autore è nel romanticismo e nell'irrazionalismo: “Cosa sarebbe Einstein senza la musica, il romanticismo tedesco e il classicismo? Viviamo in un paese senza patria”. La Germania è una processione di teatri di posa all'interno di un globo di neve, o è lei la bambina ammantata che vaga con strisce di celluloide tra i capelli? Sybereberg parla del profondo desiderio tedesco di tornare indietro nell'innocenza, alla purezza e integrità, alla fede e bellezza. Il film cerca di racchiudere non solo il fenomeno Hitler, ma l'uomo Hitler, il concetto puro di male, la macchia della storia, l'entità che vive dentro di noi come lo stato più primordiale dell'essere umano. La preoccupazione dell'autore non è tanto la vita del dittatore quanto i miti e le fantasie cui ha dato vita e continuano a esistere. Brechtiano alle estreme conseguenze, si svolge in un teatro cavernoso, dove gli attori (talvolta burattini) riappresentano Hitler e gli altri leader nazisti. Mostrando l'artificio, il film invita lo spettatore al distacco da qualunque emozione il nome di Hitler evochi, per vedere il modo in cui il dittatore è emerso naturalmente dalla nazione tedesca. Per il regista le origini del Terzo Reich sono l'utopia, la nostalgia anti-industriale e l'estetica totalizzante. Syberberg tenta di mostrare come Hitler sia insieme l'apoteosi del 20° secolo e un uomo piccolo piccolo. Hitler come grande, sagace show-man, autore della propria messa in scena: "Chi controlla il film controlla il futuro". Interprete e manipolatore della psiche germanica, incarnazione della banalità del male e del male della banalità, Hitler è l'irrazionalismo. Il film sottolinea il fatto che non sarebbe stato nessuno senza le masse che avevano bisogno di lui. Syberberg dice come il male, come quello rappresentato da Hitler non potrebbe esistere senza il sostegno (inconsapevole) del resto dell'umanità. Il film tenta il nazista che è in ciascuno. Hitler in noi (Syberberg aveva pensato a questo titolo), Hitler come tripudio delle nostre menti, emozioni, occhi, orecchie, pensieri e desideri. Il film va avanti tra aneddoti storici e spettacolo vaudeville; lo humour è mescolato con la mitologia e l'analisi nel tentativo di unire arte, storia e ideologia. A differenza dei giovani che nel 1968 si ribellarono contro i padri, Syberberg rimase come il padre, proprietario terriero in Pomerania, "conservatore prussiano, nella scuola classica”. Come studente a Rostock, nella Germania dell'Est, era libero e svincolato dai padri nazisti nella RFT. Un film alquanto trascurato. Ha anticipato l'home-video.
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sia21
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mercoledì 4 aprile 2018
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monumentale
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'Hitler - Un film dalla Germania' è l'ennesimo motivo per cui dobbiamo essere riconoscenti ad Enrico Ghezzi, intellettuale senza il quale in Italia avremmo difficilmente potuto conoscere autori come Syberberg.
Su questa pellicola si potrebbero scrivere decine di saggi senza mai riuscire ad analizzarne tutti gli aspetti, figurarsi una recensione, mi limiterò quindi ad un breve commento, il cui unico scopo è quello di convincere chi ancora non l'avesse fatto a spendere sette ore della propria vita nella visione di questo film. Innanzitutto bisogna chiarire che qualsiasi semplicistica categorizzazione del lavoro di Syberberg è piuttosto superflua: non è un film, non è un documentario, non è un'opera teatrale, è semplicemente tutto questo e molto di più.
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'Hitler - Un film dalla Germania' è l'ennesimo motivo per cui dobbiamo essere riconoscenti ad Enrico Ghezzi, intellettuale senza il quale in Italia avremmo difficilmente potuto conoscere autori come Syberberg.
Su questa pellicola si potrebbero scrivere decine di saggi senza mai riuscire ad analizzarne tutti gli aspetti, figurarsi una recensione, mi limiterò quindi ad un breve commento, il cui unico scopo è quello di convincere chi ancora non l'avesse fatto a spendere sette ore della propria vita nella visione di questo film. Innanzitutto bisogna chiarire che qualsiasi semplicistica categorizzazione del lavoro di Syberberg è piuttosto superflua: non è un film, non è un documentario, non è un'opera teatrale, è semplicemente tutto questo e molto di più.
Chi è Hitler? Il Male. Questa è la risposta che ci aspetteremmo da un qualsiasi cittadino occidentale. Ma non quella di Syberberg. Hitler è sì il Male, il diavolo in persona, ma è anche e soprattutto un uomo. Un essere umano che come tutti si alza ogni mattina, mangia, legge e porta avanti la sua normale routine quotidiana, trovando pure tempo per emozionarsi nel fare una passaggiata a Berlino nella notte di Natale. Si vuole allora redimere la figura di Hitler dai suoi peccati, dalle nefandezze di cui si è reso autore? Assolutamente no, la condanna è netta ed inequivocabile, la sua umanizzazione è solo un espediente per attaccarre quella visione estremamente parziale per cui Hitler è stato assurto esclusivamente ad ipostasi dei mali del '900, mostro per eccellenza, bestia quasi da non nominare. Si noti l'avverbio 'esclusivamente': non è che queste definizioni non siano corrette, anzi, ma come tutte le etichette possono essere molto limitanti e pericolose. Il male non è disumano, ma è forse il carattere più precipuamente umano, e in questo quadro si inserisce Hitler, che non è astorico, ma è esso stesso prodotto della storia, anche di quella dei suoi giorni, che non è un unicum, ma un individuo che i tempi hanno messo a capo di un progetto politico delirante e orribile, un progetto che non è nato e morto con lui, ma che con lui ha conosciuto una maggiore sistematicità ed efficienza. Un male fra i mali, forse il peggiore della sua epoca, ma non l'unico. La storia si ripete sempre uguale a se stessa e in ogni epoca ci saranno mostri, che potranno assumere forme diverse, essere più o meno latenti, ma ci saranno sempre e, soprattutto, non saranno mai isolati.
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