dandy
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mercoledì 9 gennaio 2013
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perchè uccidermi?e' solo perchè ti odio.
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Ancora una volta,Wakamatsu racconta una vicenda di sesso e violenza nell'universo degradato e quasi alieno della gioventù post '68 nipponica.Un autentico dramma da camera,la cui ambientazione svolta quasi esclusivamente sulla terrazza di un palazzo(pare quello dove abitasse il regista)ne amplifica il surrealismo e la claustrofobia.E l'impossibilità per i due protagonisti di trovare una via di fuga,se non nel modo più estremo.Come per il successivo "Violent Virgin"(assieme a questo uno dei suoi film migliori)colpiscono i passaggi dal bianco e nero al colore,l'uso dello schermo panoramico e la musica,la violenza al tempo stesso gratuita e astratta.
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Ancora una volta,Wakamatsu racconta una vicenda di sesso e violenza nell'universo degradato e quasi alieno della gioventù post '68 nipponica.Un autentico dramma da camera,la cui ambientazione svolta quasi esclusivamente sulla terrazza di un palazzo(pare quello dove abitasse il regista)ne amplifica il surrealismo e la claustrofobia.E l'impossibilità per i due protagonisti di trovare una via di fuga,se non nel modo più estremo.Come per il successivo "Violent Virgin"(assieme a questo uno dei suoi film migliori)colpiscono i passaggi dal bianco e nero al colore,l'uso dello schermo panoramico e la musica,la violenza al tempo stesso gratuita e astratta.Nell'allusione alla barbara uccisione di Sharon Tate(di cui appaiono le foto nel finale,oltre alla vaga somoglianza nella prima mattanza del giovane poeta)ci si potrebbe leggere una critica all'Occidente mercificato e non più "innocente".Come gli altri lavori del regista,un'opera spiazzante e all'avanguardia,non per tutti i gusti ma unica nella rappresentazione di eros e thanatos.Il 22enne Takeshi Kitano dovrebbe essere uno dei 4 inquilini pervertiti ammazzati.
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paolo 67
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domenica 20 novembre 2011
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il nero esistenzialismo di un anarcoilluminista
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Il film più nichilista di Koji Wakamatsu, che già in "Embrione" manifestava l'orrore per la nascita e qui rappresenta la vita come (secondo una visione riproposta, anche se con altro sentimento, da Kitano) approccio alla morte. Il cineasta più originale secondo Nagisa Oshima del cinema giapponese ha caratterizzato la sua produzione con vicende rappresentative di un'umanità emarginata nei processi di caotica espansione e forte immigrazione verso le grandi città che hanno caratterizzato il Giappone moderno. Gli oscuri risentimenti di minoranze alienate, le rabbie asociali sono da Wakamatsu spinte al limite al pari della sua stupefacente ricerca sull'immagine.
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Il film più nichilista di Koji Wakamatsu, che già in "Embrione" manifestava l'orrore per la nascita e qui rappresenta la vita come (secondo una visione riproposta, anche se con altro sentimento, da Kitano) approccio alla morte. Il cineasta più originale secondo Nagisa Oshima del cinema giapponese ha caratterizzato la sua produzione con vicende rappresentative di un'umanità emarginata nei processi di caotica espansione e forte immigrazione verso le grandi città che hanno caratterizzato il Giappone moderno. Gli oscuri risentimenti di minoranze alienate, le rabbie asociali sono da Wakamatsu spinte al limite al pari della sua stupefacente ricerca sull'immagine. Regista di un eterno '68 che contesta la mutazione (parola che richiama non a caso la bomba atomica, che ha segnato la psicologia giapponese) antropologica moderna, razionale e industriale in cui quel sole (rosso sangue) della bandiera nipponica non si leva veramente mai, Wakamatsu vede nel sesso e nella violenza il passaggio cupo dell'esistenza umana.
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