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ivan il matto
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domenica 16 novembre 2025
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bruce, quando il boss non ? in incognito
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Bruce: quando il Boss non è in incognito
Sono importanti le firme sulla locandina del fortunato biopic su Bruce Springsteen, “Liberami dal nulla”. Da un lato il regista Scott Cooper, ex attore, abituato a disegnare personaggi difficili e spigolosi come le figure di Jeff Bridges in “Crazy Heart” (2009) o Christian Bale in “Hostiles” (2017). Dall’altra lo scrittore ex musicista (chitarrista dei Del Fuegos) Warren Zanes, già biografo di Tom Petty e Dusty Spingfield, autore del fondamentale libro “Liberami dal nulla. Bruce Springsteen e Nebraska”, sul quale si basa la sceneggiatura dello stesso regista, qui anche produttore.
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Bruce: quando il Boss non è in incognito
Sono importanti le firme sulla locandina del fortunato biopic su Bruce Springsteen, “Liberami dal nulla”. Da un lato il regista Scott Cooper, ex attore, abituato a disegnare personaggi difficili e spigolosi come le figure di Jeff Bridges in “Crazy Heart” (2009) o Christian Bale in “Hostiles” (2017). Dall’altra lo scrittore ex musicista (chitarrista dei Del Fuegos) Warren Zanes, già biografo di Tom Petty e Dusty Spingfield, autore del fondamentale libro “Liberami dal nulla. Bruce Springsteen e Nebraska”, sul quale si basa la sceneggiatura dello stesso regista, qui anche produttore. Primi anni ’80, il Boss si aggira nel nativo New Jersey in cerca di ispirazione per gli album a venire, dopo un trionfale tour mondiale e l’inarrivabile trilogia di album alle spalle: “Born to Run” (1975); “Darkness… (1978) e “The River” (1980), per il 32enne Bruce sembra mancare solo la consacrazione definitiva, nelle alte sfere della CBS le aspettative sono alte…ma non tutto gira per il verso giusto. Prima di tutti se ne accorge l’amico/produttore di sempre John Landau (davvero intensa e personale la pacata interpretazione di Jeremy Strong) e Faye, una ragazza madre della quale la rock star, a poco a poco, si innamora. Il Boss è perseguitato dai fantasmi di una vita, dall’opprimente della figura del padre, da una depressione strisciante ed inspiegabile che il bianco e nero (a tratti sullo schermo) restituisce con precisione. Il contesto è fatto dai luoghi solitari di un’America minore e provinciale, già così ben raccontata da Alexander Payne nelle sue pellicole, “Nebraska” (2013) su tutte. Si, proprio quel “Nebraska” che Sprigsteen incide nella camera da letto di casa sua su di un semplice registratore a 4 piste: scarno, essenziale, acustico come il tratto di esistenza che sta percorrendo. Così sarà pubblicato nei negozi di dischi di tutto il mondo in quella fine di settembre del 1982, senza una sua foto in copertina e senza fronzoli, contro tutto e contro tutti! Prendere o lasciare. A prestare il volto al Boss è il divo di “The Bear” (serie tv USA), Jeremy Allen White: mimesi perfetta, vigorosa e struggente che sa enfatizzare anche i momenti di ‘perdita di sé di cui la pellicola è costellata…ma non solo quello! Il set di “Born in the USA” è travolgente, insieme alle altre citazioni ‘on stage’, come pure l’acustica “Atlantic City” che rimanda, nelle immagini, al capolavoro omonimo di Louis Malle di soli 2 anni precedente. Tutto bene allora? Si se ci limitiamo al racconto intimista della crisi di una Rock Star, ma se vogliamo scandagliare nel profondo l’anima di un gigante pop-rock del ‘900 bisogna citofonare a casa di James Mangold e del suo inaccessibile “A Complete Unknown”.
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jonnylogan
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giovedì 6 novembre 2025
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non il solito biopic
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Dopo il Bob Dylan, ritratto in maniera superba da James Mangold in A complete Unknown (id.; 2024), il regista, sceneggiatore e ancor prima attore: Scott Cooper decide di misurarsi con un’altra icona del panorama musicale americano, sempre narrandone non tutta la vita ma una porzione di essa. Nel caso di Dylan si parlava di una manciata di anni a cavallo dei ‘60, sufficienti per descriverne il passaggio dal genere folk al rock più elettrico.
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Dopo il Bob Dylan, ritratto in maniera superba da James Mangold in A complete Unknown (id.; 2024), il regista, sceneggiatore e ancor prima attore: Scott Cooper decide di misurarsi con un’altra icona del panorama musicale americano, sempre narrandone non tutta la vita ma una porzione di essa. Nel caso di Dylan si parlava di una manciata di anni a cavallo dei ‘60, sufficienti per descriverne il passaggio dal genere folk al rock più elettrico. In questo caso si parla di un altro periodo, in tal caso non troppo felice, necessario per mostrare uno Springsteen intento a combattere con i suoi fantasmi sedimentatisi nel corso di un’infanzia fatta di soprusi paterni e alcool consumato in maniera industriale dal padre Douglas, un più che convincente Stephen Graham, il quale lasciò al figlio maggiore l’eredità di una depressione latente e perennemente in agguato, manifestatasi nella sua forma più violenta nel corso del biennio narrato nel film. Un biennio convertito in Nebraska: disco acustico inciso partendo da un semplice mangianastri a quattro piste.
È però impreciso definire Liberami dal Nulla, basato sul romanzo omonimo dello scrittore e musicista Warren Zanes, come un biopic. Infatti rispetto alla pellicola di Mangold, le due ore con le quali Cooper ci narra la creazione del disco più crepuscolare di Springsteen, ci svelano di più sull’uomo, rispetto a quel che è il suo percorso artistico, non riducendo il film a un semplice santino musicale. Merito è sia l’aver mantenuto la pellicola aderente alla narrazione. Aver potuto avvalersi del coinvolgimento dello stesso Springsteen, il quale ha partecipato alle riprese in qualità di super visore. Ma la gran parte del merito è assolutamente da ascrivere a Jeremy Allen White, ormai ben distante dal ‘Lip’ Gallagher di Shameless (id.; 2011-2021), il quale ci offre una prova d’immedesimazione perfetta, calandosi sia nel ruolo di animale da palcoscenico, cantando e suonando in una maniera molto sovrapponibile allo Springsteen originale. Ma soprattutto restituendoci il lato più fragile e frangibile dell’uomo dietro la star; con i propri dubbi, incertezze e fantasmi.
Alla fine il film soffre proprio di questo eccesso d’introspezione, che per quanto ben riuscito ci priva della parte più musicale di un artista che ha saputo fare la storia del rock degli ultimi 50 anni. Piacerà quindi molto a chi ama i drammi umani visti attraverso gli occhi di un membro dello star system. Astenersi coloro che pensano si tratti di un 'semplice' biopic musicale
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francesca meneghetti
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giovedì 23 ottobre 2025
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un angelo dalla pelle sottile sfuggito alla perdizione
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No tour, no press, no single. Con queste parole d?ordine Springsteen licenzia il disco Nebraska, realizzato in un modo che pi? artigianale non si pu?. Deve proprio suggerire l?idea di uno che canta da solo in una camera, cos? da far sentire l?eco. Il film ?Liberami dal nulla? (regia di Scott Cooper) mette a fuoco proprio la creazione di questo disco, che rappresenta, oltre che un capolavoro, un punto critico nella vita di Bruce, un punto in cui si aggrovigliano, per poi sciogliersi, molti nodi. Il film inizia con un flashback in bianco e nero: 1957, Freehold, cittadina operaia del New Jersey. Un ragazzino (un bell?ovale, due occhi intensi, molto somigliante a Bruce bambino: Matthew Anthony Pellicano) pedala verso casa.
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No tour, no press, no single. Con queste parole d?ordine Springsteen licenzia il disco Nebraska, realizzato in un modo che pi? artigianale non si pu?. Deve proprio suggerire l?idea di uno che canta da solo in una camera, cos? da far sentire l?eco. Il film ?Liberami dal nulla? (regia di Scott Cooper) mette a fuoco proprio la creazione di questo disco, che rappresenta, oltre che un capolavoro, un punto critico nella vita di Bruce, un punto in cui si aggrovigliano, per poi sciogliersi, molti nodi. Il film inizia con un flashback in bianco e nero: 1957, Freehold, cittadina operaia del New Jersey. Un ragazzino (un bell?ovale, due occhi intensi, molto somigliante a Bruce bambino: Matthew Anthony Pellicano) pedala verso casa. Una tipica casetta americana di legno, ombreggiata da un grande albero. Dentro per? c?? l?inferno. Il padre alcolista e violento, le urla, le angosce del piccolo che, per proteggere la mamma Adele (tanto amata), arriva a prendere una mazza per colpire il genitore. Stacco. Sta per finire il The river tour. Siamo a Cincinnati nel 1981 e il personaggio (interpretato con passione da Jeremy Allen White, dalle iridi azzurre coperte, per fortuna, da lenti a contatto scure), dopo aver cantato Born tu run (la voce ? di Allen), stremato, sudato come sempre alla fine di un concerto, va in camerino e incontra Jon Landau, suo grande amico e scopritore (vide in lui il futuro del rock?n roll). ? la prima di tante scene che sgranano l?amicizia profonda e leale tra i due. Jon ? al corrente del desiderio di Bruce, giunto alla fama e al successo: staccare la spina, ritirarsi in un appartamento solitario in campagna, perch? la citt? gli fa paura. Un cambio di scena ci porta a un luogo springsteeniano iconico: Asbury Park, sul mare. Qui sorge un locale, The Stone Pony (dove nella realt? Springsteen incontr? Patti Scialfa, sua futura moglie, qualche anno dopo). Dopo essersi esibito con Little Richard, conosce una ragazza-madre bionda, Faye (epitome di tutte le ragazze da lui frequentate: per brevi periodi, per la sua incapacit? di mantenere rapporti). Una giostra che gira alle due di notte di un capodanno conferisce per un momento magia a questo incontro. Ma Bruce ha bisogno di solitudine per riflettere su chi ?, su che cosa vuole dalla vita. Mentre i ricordi dell?infanzia e del suo tormentato rapporto con il padre affiorano, avverte un profondo malessere. Ha paura che il successo lo strappi dalle sue radici, dalla sua autenticit?. Si sente in colpa, quasi condannato, per aver staccato i rapporti con il suo passato. Cos? come ? condannato il protagonista della prima canzone di Nebraska, un pluriomicida. S?, perch? a Bruce piacciono le storie di perdenti, di emarginati (anche se poi imparer? la speranza e la capacit? di risollevarsi: The Rising). Prende corpo cos? il disco pi? difficile che abbia prodotto, cupo e dolente. Un pugno nello stomaco dei produttori che pensavano di poter facilmente manipolare la nuova gallina dalle uova d?oro e cavalcare l?onda del facile successo. Ma Bruce ? irremovibile: non lo soddisfa alcun tentativo di migliorare la registrazione fatta su una misera cassetta senza custodia. E vuole che esca cos?, con una copertina senza il suo volto, con a foto di un paesaggio desolato colto in bianco e nero. La crisi personale per? si aggrava, e confluisce nel primo episodio di depressione, malattia di cui ha sofferto pi? volte il cantautore, ma che ha faticato a riconoscere come tale. L?amico Jon lo aiuta e cos? Bruce potr? riprendere la strada del palcoscenico che lo vede ancora attivo, energico, appassionato a 76 anni. Ero molto prevenuta (anche se curiosa) verso questo film. Jeremy Allen White non mi piace e lo trovo molto diverso da Bruce giovane. Tuttavia funziona molto bene e anzi, entra nell?intimit? del personaggio (pensieri ed emozioni) con grande sensibilit?. Anche il regista ? molto attento ai dettagli: per esempio allo sguardo del protagonista, che nella folla mette a fuoco subito i personaggi degni di avere una storia, una delle sue. Il suo intento, e c?? riuscito, non era di raccontare una parabola di successi, ma di mostrare le fragilit? che si celano dietro agli artisti. Molti di loro non hanno superato la crisi dei 30 anni, come Bruce, ma hanno scelto il suicidio (idea che ha sfiorato anche Bruce): angeli dalla pelle troppo sottile, come dice Giulio Casale. Godiamoci questo film toccante e godiamoci il personaggio reale che vive intensamente la sua vita, e riesce ancora a sorridere, come il signor Jones di De Andr?, nonostante i lutti che ha avuto.
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