Sly |
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Un film di Thom Zimny.
Con Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Quentin Tarantino, Jennifer Flavin.
continua»
Documentario,
durata 95 min.
- USA 2023.
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Stallone appare intelligente e introspettivo
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| martedì 16 luglio 2024 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Sly risulta riuscito perché Stallone è un osservatore straordinario del proprio lavoro.
Sly ruota intorno alla decisione dell’attore-scrittore-regista di lasciare la sua opulenta casa di Los Angeles, un santuario della collezione d’arte di cimeli di Stallone,
nonché, visto il modo in cui il documentario è girato, una proprietà con un numero sproporzionato di stanze progettate per fissare il vuoto e contemplare la propria carriera.
Il candore personale di Stallone raggiunge l’apice con la discussione sulla sua infanzia, quando lui e il fratello Frank affrontano – separatamente – il padre violento e,
in termini molto più nebulosi, l’eccentrica madre. Accompagnato da scene di Stallone che ripercorre il quartiere della sua giovinezza, Hell’s Kitchen,
il documentario getta le basi per il suo precoce rapporto con il cinema come evasione, la sua ammirazione per l’eroismo cinematografico classico e le sue prime difficoltà
nel mondo della recitazione.
L’attore vuole parlare soprattutto della sua famiglia in termini di scelte che ha dovuto fare per dare priorità al lavoro.
Ammette i rimpianti e Zimny di tanto in tanto inserisce immagini della sua famiglia, dei suoi figli, ma solo il defunto Sage viene citato, e per lo più nel contesto di Rocky V.
Il resto della sua carriera viene ridotto troppo spesso a “fasi”, che si tratti del periodo comico, di cui si pente, o di quello action-star che si esprime a monosillabi.
Proprio per via di quell’immagine che il pubblico ha dell’attore, risulta sorprendente la sua capacità di essere intelligente e introspettivo.
Altri suoi film ricevono un’attenzione poco più che superficiale: a F.I.S.T. vengono dedicati un paio di minuti come seguito di Rocky;
a Cop Land un po’ più di tempo, ma per qualche motivo l’attore lo considera un fallimento.
E poi alcuni film vengono stranamente ignorati, come Creed, che ovviamente non considera collegato ai suoi film di Rocky, una distinzione che suona strana.
Frank Stallone e John Hetzfeld si fanno carico della maggior parte del periodo precedente alla fama dell’attore.
Henry Winkler e Talia Shire sono lì in rappresentanza dei suoi co-protagonisti.
Schwarzenegger appare e dice, quasi alla lettera, le stesse cose che Stallone ha detto su di lui nel suo documentario, il che è carino se avete visto entrambe le pellicola, ma… perché?
Comprensibile che a Zimny abbia fatto piacere avere Quentin Tarantino – a quanto pare un fan sfegatato di La banda dei fiori di pesco – e Wesley Morris come osservatori esterni, ma una volta superata la reazione iniziale del tipo: “È bello che Quentin Tarantino e Wesley Morris abbiano sentimenti entusiastici nei confronti di Sylvester Stallone!”,
nessuno dei due aggiunge molto alla sua storia.
Arrivati alla fine di Sly, la star si dimostra sufficientemente brava a spiegare l’eredità che lascia, tanto che il documentario riesce a trovare intuizioni efficaci e un certo grado di commozione.
Questo nonostante l’attore sia un custode eccessivamente protettivo di quell’eredità e nonostante l’esitazione del regista a smuoverlo dalla sua narrazione.
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