sergio dal maso
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martedì 14 novembre 2023
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un capolavoro, splendido quanto necessario
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitanodi Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo.
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitanodi Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo. Racconta una storia di migranti con lo sguardo di chi parte, con la visione di chi il viaggio lo vive realmente sulla sua pelle tra la sofferenza fisica e le ferite dell’anima. Senza retorica né pietismo, con una grazia e una poesia che arrivano al cuore.
Seydou e Moussa sono due cugini senegalesi, inseparabili. Due ragazzi normali, con le stesse speranze e ambizioni di un qualsiasi adolescente europeo: sfondare come musicisti e diventare famosi. Hanno una vita semplice, forti legami famigliari e solidarietà tra vicini. Una povertà tutto sommato dignitosa.
A differenza di migliaia di migranti che fuggono da guerre civili o carestie, Seydou e Moussa vogliono partire per inseguire un sogno, per realizzare le proprie aspirazioni. Sono disposti a tutto, ingenui e impavidi ai limiti dell’incoscienza, non credono ai racconti drammatici di chi “il viaggio” l’ha già fatto.
Il sogno diventerà un incubo. Il viaggio verso l’Europa si trasformerà in un’Odissea contemporanea, una Via Crucis tra fatiche disumane, inganni e violenze indicibili. Con “stazioni” terribili, prima i predoni del deserto, poi i centri di detenzione delle bande criminali libiche e, infine, l’allucinante traversata del Mediterraneo.
Per i due giovani migranti i dolorosi accadimenti che dovranno affrontare diventeranno tappe di un percorso di maturazione e di crescita interiore. Seydou non perderà mai la speranza di ritrovare e salvare Moussa, mantenendo in ogni circostanza quell’innocenza e quella purezza d’animo con cui era partito dal villaggio.
Io Capitano, infatti, trasuda umanità, anche nelle situazioni più tragiche il protagonista si aggrappa al sentimento di fratellanza, al disperato bisogno di restare umani. La fiammella della speranza non si spegne mai, nemmeno nei momenti più atroci e crudeli.
La grandezza di Garrone, uno dei pochi registi italiani con un respiro internazionale, è quella di riuscire a raccontare la realtà attingendo anche dall’immaginario onirico, da una dimensione fiabesca.
Non è un caso che il suo precedente film sia stato Pinocchio. Nell’assoluta verità della storia di Seydou e Moussa vi sono molti elementi in comune con la fiaba: le bugie, il miraggio del Paese dei Balocchi, i (tanti) gatti e le volpi incontrati nel cammino. D’altro canto, il segreto delle fiabe è proprio quello di raccontare con la simbologia la vita vera.
Le emozioni che il film trasmette sono amplificate dalla verità che racconta: la storia è stata scritta a otto mani, mettendo assieme singole storie rigorosamente vere ascoltate dai migranti. Coraggiosa e ineccepibile anche la scelta di lasciarlo in lingua originale wolof, parlata da circa la metà dei senegalesi.
Sulla straordinaria bravura del regista c’è poco da aggiungere. Molte inquadrature sono quadri in movimento, di una bellezza estetica ammaliante. La fotografia di Paolo Carnera è magnifica, i colori nella prima parte sono caldi e accesi, poi via via sempre più cupi, come le magliette dei ragazzi che diventano impolverate e sgualcite. La scena del superamento della piattaforma petrolifera illuminata nel silenzio della notte nera è da pelle d’oca.
Seydou Sarr e Moustapha Fall sono sensazionali per espressività e spontaneità, il giovane protagonista ha vinto, meritatamente, il premio Mastroianni come miglior attore esordiente alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il racconto si ferma davanti alla terraferma, prima che inizi quella sarabanda massmediatica che, ahimè, conosciamo bene. Non serve che ci raccontino cosa accadrà dopo, quello purtroppo lo sappiamo. Non serve nemmeno documentarsi per sapere che il vero Seydou, in quanto “scafista”, è stato arrestato per favoreggiamento di immigrazione clandestina. Fofana Amara, questo il suo vero nome, ha preso “solo” sei mesi di carcere in quanto minorenne. Oggi vive in Belgio e non è ancora stato regolarizzato.
Alla fine del film, per fortuna, abbiamo un altro sguardo, quello di Seydou e Moussa. Il miracolo cinematografico di Io Capitano sta proprio nella totale empatia con cui condividiamo il loro viaggio, liberi dalle nostre paure e dagli odiosi pregiudizi per cui i migranti sono clandestini prima che persone.
L’urlo finale è tanto emozionante quanto liberatorio. Viene voglia di alzarsi in piedi e di andare ad abbracciare Seydou dentro al barcone. Tra i tanti sedicenti “capitani” di chiacchere e discorsi vuoti, lui è un capitano vero. O forse, solo un ragazzo diventato Uomo.
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sergio dal maso
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sabato 11 novembre 2023
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un capolavoro, splendido quanto necessario
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitano di Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo.
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitano di Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo. Racconta una storia di migranti con lo sguardo di chi parte, con la visione di chi il viaggio lo vive realmente sulla sua pelle tra la sofferenza fisica e le ferite dell’anima. Senza retorica né pietismo, con una grazia e una poesia che arrivano al cuore.
Seydou e Moussa sono due cugini senegalesi, inseparabili. Due ragazzi normali, con le stesse speranze e ambizioni di un qualsiasi adolescente europeo: sfondare come musicisti e diventare famosi. Hanno una vita semplice, forti legami famigliari e solidarietà tra vicini. Una povertà tutto sommato dignitosa.
A differenza di migliaia di migranti che fuggono da guerre civili o carestie, Seydou e Moussa vogliono partire per inseguire un sogno, per realizzare le proprie aspirazioni. Sono disposti a tutto, ingenui e impavidi ai limiti dell’incoscienza, non credono ai racconti drammatici di chi “il viaggio” l’ha già fatto.
Il sogno diventerà un incubo. Il viaggio verso l’Europa si trasformerà in un’Odissea contemporanea, una Via Crucis tra fatiche disumane, inganni e violenze indicibili. Con “stazioni” terribili, prima i predoni del deserto, poi i centri di detenzione delle bande criminali libiche e, infine, l’allucinante traversata del Mediterraneo.
Per i due giovani migranti i dolorosi accadimenti che dovranno affrontare diventeranno tappe di un percorso di maturazione e di crescita interiore. Seydou non perderà mai la speranza di ritrovare e salvare Moussa, mantenendo in ogni circostanza quell’innocenza e quella purezza d’animo con cui era partito dal villaggio.
Io Capitano, infatti, trasuda umanità, anche nelle situazioni più tragiche il protagonista si aggrappa al sentimento di fratellanza, al disperato bisogno di restare umani. La fiammella della speranza non si spegne mai, nemmeno nei momenti più atroci e crudeli.
La grandezza di Garrone, uno dei pochi registi italiani con un respiro internazionale, è quella di riuscire a raccontare la realtà attingendo anche dall’immaginario onirico, da una dimensione fiabesca.
Non è un caso che il suo precedente film sia stato Pinocchio. Nell’assoluta verità della storia di Seydou e Moussa vi sono molti elementi in comune con la fiaba: le bugie, il miraggio del Paese dei Balocchi, i (tanti) gatti e le volpi incontrati nel cammino. D’altro canto, il segreto delle fiabe è proprio quello di raccontare con la simbologia la vita vera.
Le emozioni che il film trasmette sono amplificate dalla verità che racconta: la storia è stata scritta a otto mani, mettendo assieme singole storie rigorosamente vere ascoltate dai migranti. Coraggiosa e ineccepibile anche la scelta di lasciarlo in lingua originale wolof, parlata da circa la metà dei senegalesi.
Sulla straordinaria bravura del regista c’è poco da aggiungere. Molte inquadrature sono quadri in movimento, di una bellezza estetica ammaliante. La fotografia di Paolo Carnera è magnifica, i colori nella prima parte sono caldi e accesi, poi via via sempre più cupi, come le magliette dei ragazzi che diventano impolverate e sgualcite. La scena del superamento della piattaforma petrolifera illuminata nel silenzio della notte nera è da pelle d’oca.
Seydou Sarr e Moustapha Fall sono sensazionali per espressività e spontaneità, il giovane protagonista ha vinto, meritatamente, il premio Mastroianni come miglior attore esordiente alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il racconto si ferma davanti alla terraferma, prima che inizi quella sarabanda massmediatica che, ahimè, conosciamo bene. Non serve che ci raccontino cosa accadrà dopo, quello purtroppo lo sappiamo. Non serve nemmeno documentarsi per sapere che il vero Seydou, in quanto “scafista”, è stato arrestato per favoreggiamento di immigrazione clandestina. Fofana Amara, questo il suo vero nome, ha preso “solo” sei mesi di carcere in quanto minorenne. Oggi vive in Belgio e non è ancora stato regolarizzato.
Alla fine del film, per fortuna, abbiamo un altro sguardo, quello di Seydou e Moussa. Il miracolo cinematografico di Io Capitano sta proprio nella totale empatia con cui condividiamo il loro viaggio, liberi dalle nostre paure e dagli odiosi pregiudizi per cui i migranti sono clandestini prima che persone.
L’urlo finale è tanto emozionante quanto liberatorio. Viene voglia di alzarsi in piedi e di andare ad abbracciare Seydou dentro al barcone. Tra i tanti sedicenti “capitani” di chiacchere e discorsi vuoti, lui è un capitano vero. O forse, solo un ragazzo diventato Uomo.
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stellab
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domenica 5 novembre 2023
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bel film
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Storia con un punto di vista interessante sull'immigrazione
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enzo70
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mercoledì 1 novembre 2023
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un dramma che si trasforma in poesia
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Matteo Garrone ha un linguaggio cinematografico particolare che non mi ha mai del tutto convinto. Il suo film migliore è stato Dogman, ma la ricerca di una narrazione diversa spesso ha reso i suoi film poco godibili. Con Io capitano la situazione cambia e cambia decisamente, un film duro, inflessibile, ma girato con intelligenza. I due protagonisti, Suydou e Moussa, vivono in un Senegal povero ma sostanzialmente felice, non c’è il dolore della guerra, non c’è la fame della disperazione. Ma il sogno di una vita diversa in Europa fa prendere la decisione ai due ragazzi di partire per quella lunga Odissea per arrivare sulle coste italiane, passando per l’inferno del Sahara e del mediterraneo.
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Matteo Garrone ha un linguaggio cinematografico particolare che non mi ha mai del tutto convinto. Il suo film migliore è stato Dogman, ma la ricerca di una narrazione diversa spesso ha reso i suoi film poco godibili. Con Io capitano la situazione cambia e cambia decisamente, un film duro, inflessibile, ma girato con intelligenza. I due protagonisti, Suydou e Moussa, vivono in un Senegal povero ma sostanzialmente felice, non c’è il dolore della guerra, non c’è la fame della disperazione. Ma il sogno di una vita diversa in Europa fa prendere la decisione ai due ragazzi di partire per quella lunga Odissea per arrivare sulle coste italiane, passando per l’inferno del Sahara e del mediterraneo. E in questo lungo viaggio Garrone rende in maniera perfetta il dolore e le atrocità che intere popolazioni devono sopportare per arrivare in Italia. Senza taxi del mare, ma affrontando un sistema criminale che da questa infinita migrazione di massa si sta portando al vertice delle mafie mondiali. Non esistono scrupoli, non esistono limiti, se non in quelli dell’umanità dei migranti, quella del ragazzo che sogna di salvare la donna che non ha resistito alla marcia nel deserto e quella del muratore. Lo splendido finale del film, a sorpresa, altrimenti al cinema non ci si va, prelude alla vita disastrata che attende i migranti. Ma Garrone, giustamente, trova il momento giusto per dire la parola stop a questo bellissimo film.
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danielefranchi
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sabato 14 ottobre 2023
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il peggior film della mia vita
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Probabilmente il peggior film professionista della mia vita. Bisognerebbe vedere un film almeno un po' di volte prima di un parere ma non ce la faccio.
Attori bravissimi, la scelta del film in lingua ottima e azzeccata ma il trailer é tutto il film in versione ridotta. Garrone forse é stato in Africa ma non ci é andato. Sembra piú un documentario. Come quando ricreano le scene storiche per inserirle nei documentari tra una parola del conduttore e l'altra. Il nulla assoluto, non é un film ma una descrizione di un viaggio di un migrante.
Anche questo quinquennio torneró a guardare un film italiano fra 5 anni. Non sono neanche triste per i soldi buttati sono basito per come si possa riusciere a fare un film senza neanche provare a comunicare nulla.
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Probabilmente il peggior film professionista della mia vita. Bisognerebbe vedere un film almeno un po' di volte prima di un parere ma non ce la faccio.
Attori bravissimi, la scelta del film in lingua ottima e azzeccata ma il trailer é tutto il film in versione ridotta. Garrone forse é stato in Africa ma non ci é andato. Sembra piú un documentario. Come quando ricreano le scene storiche per inserirle nei documentari tra una parola del conduttore e l'altra. Il nulla assoluto, non é un film ma una descrizione di un viaggio di un migrante.
Anche questo quinquennio torneró a guardare un film italiano fra 5 anni. Non sono neanche triste per i soldi buttati sono basito per come si possa riusciere a fare un film senza neanche provare a comunicare nulla.
Mi dispiace per attori e la troupe. Io non penso di saper fare di meglio ma ci sono libri su libri che raccontanto storie piú interessanti. Quello di Checco Zalone in compenso é Quarto Potere. Sono molto dispiaciuto, tutto qua. Sí, M. Garrone, mi auguro leggerai
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[+] imbarazzante
(di paolorol)
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clara stroppiana
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venerdì 13 ottobre 2023
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il viaggio di seydou
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Fin dalle sequenze iniziali di Io Capitano, è chiaro che Garrone sta per raccontarci la storia di Seydou, un sedicenne senegalese che, insieme all’amico Moussa, coltiva il desiderio di andare in quel mondo di là dal mare intravisto sullo schermo dell’iphone. Lo sguardo del ragazzo occupa l’inquadratura e la macchina da presa incontra i suoi occhi pieni di sogni. Raggiungere l’Europa, portare la sua musica sui palcoscenici internazionali, diventare una star e firmare autografi ai “bianchi”. Sogna in grande Seydou, come ogni adolescente. La molla che lo spinge non è il rifiuto o l’insofferenza verso la propria condizione.
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Fin dalle sequenze iniziali di Io Capitano, è chiaro che Garrone sta per raccontarci la storia di Seydou, un sedicenne senegalese che, insieme all’amico Moussa, coltiva il desiderio di andare in quel mondo di là dal mare intravisto sullo schermo dell’iphone. Lo sguardo del ragazzo occupa l’inquadratura e la macchina da presa incontra i suoi occhi pieni di sogni. Raggiungere l’Europa, portare la sua musica sui palcoscenici internazionali, diventare una star e firmare autografi ai “bianchi”. Sogna in grande Seydou, come ogni adolescente. La molla che lo spinge non è il rifiuto o l’insofferenza verso la propria condizione. Garrone sottolinea come egli ami la famiglia, partecipi con gioia alle feste tradizionali, non sia ricco ma abbia di che vivere. Egli non vuole dunque fuggire “da”, ma correre “verso”. Anche il legame con la cultura in cui è cresciuto è forte. I due ragazzi interrogano l’indovino e solo dopo un suo responso positivo, partono. Fine del primo capitolo potremmo dire.
Seydou e Moussa, costretti a cambiare nome e nazionalità sui passaporti falsi, cambiano anche status, da studenti a migranti clandestini. Un’incrinatura della loro identità che il regista sottolinea con variazioni di ritmo, di atmosfera, di luci. Una solida sceneggiatura ci accompagna in un road movie dai toni sempre più cupi, tra imbrogli, truffe e inganni. Il destino dei due ragazzi è comune a quello dei loro numerosi compagni: uomini e donne che fuggono forse da una guerra, da carestie, da persecuzioni, ma Garrone li lascia sullo sfondo, quasi un silenzioso coro greco, perché questo è sì un film che racconta il viaggio doloroso di chi dall'Africa cerca di raggiungere l'Europa, ma è anche una storia di formazione. Un uomo cade dal pick-up che sobbalza sulle dune e viene abbandonato dagli autisti. Una donna sfinita si lascia cadere sulla sabbia e Seydou inutilmente e disperatamente cerca di rianimarla. Campi lunghi e lunghissimi su smisurati gialli accecanti dove la figura umana quasi perde significato. Moussa viene separato a forza dall’amico e portato in prigione. In Libia la tortura è la risposta a chi non paga. La fotografia ora assume i colori bui della sopraffazione, della violenza dell’uomo sull’uomo. Negli occhi di Seydou vediamo il riflesso di un mondo spietato. Il mondo magico e onnipotente con il quale era partito può sopravvivere solo nel sogno o nell’allucinazione: due delicate sequenze oniriche dove corpi senza peso sconfiggono la morte, le distanze si annullano ed anche lo spettatore, nella pausa riprende il respiro. Spiragli di luce arrivano dalla solidarietà di alcuni compagni e Seydou ritrova forza per opporsi, non smettere di cercare l’amico e non perdere di vista la meta. L’ultima prova è la più difficile, quella in cui il giovane deve accettare la responsabilità non solo per sé, ma anche per Moussa e un numeroso gruppo di migranti da portare fin sulle coste della Sicilia alla guida di un’imbarcazione fatiscente. Se riuscirà, la sua maturazione sarà compiuta. L’odissea invece continuerà, per tutti, ma questo il film non ce lo racconta. Forse in future pagine cinematografiche.
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lunedì 9 ottobre 2023
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cinema inesistente
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Questo cinema è chiuso da 3 anni! Sono venuta fin qui a vuoto. Verificate le informazioni prima di inserirle, è segnato il film e anche l'orario dello spettacolo!
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ines di lio
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domenica 8 ottobre 2023
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cambio di prospettiva
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Aggiunge sensibilità a chi lo va a vedere (che ne ha già di suo, altrimenti non andrebbe) e cambia la prospettiva riguardo all'immigrazione.
I migranti sono persone con un vissuto, genitori, parenti, amici, casa, città che decidono di emigrare.
Il punto vero pertanto è questo (non gli scafisti nè la sostituzione etnica): è Diritto di tutti quello di muoversi, è Dovere di uno Stato garantire sicurezza nel muoversi e integrazione nello Stato.
Il punto di vista e l'informazione devono quindi focalizzarsi su come dare possibilità a chiunque di venire.
Lo sguardo poetico sul mondo dei migranti, senza nessuna retorica e neppure ostentata crudezza, merita un grande grazie.
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tozkino
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giovedì 5 ottobre 2023
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un grido di...sperato
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Il film descrive una vicenda contemporanea, come fosse una cronaca giornalistica; nulla è lasciato alla fantasia o all’invenzione, zero effetti speciali, nessun volo pindarico o ricorso a gesti da supereroi, niente orizzonti o favole fantascientifiche, nessun ricorso a colonne sonore classiche o rockeggianti, mancano del tutto i piani-sequenza digitalmente impostati: un film vero e crudo, ma anche poetico; un racconto drammatico e realistico che ti scava dentro e ti sconvolge. Un film potente che rimarrà nella mente e nella coscienza di questo nostro povero tempo, che rischia di passare alla storia come il più egoistico e crudele. Qualcuno ha detto, con una certa dose di spietata amarezza e drammatica verità, che questo film dovrebbe essere proiettato in tutti i parlamenti, a iniziare da quello europeo, ma anche nei palazzi del potere come la Banca Mondiale o l’ONU e, io aggiungo, che dovrebbero vederlo in tutte le scuole, a iniziare da quelle elementari.
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Il film descrive una vicenda contemporanea, come fosse una cronaca giornalistica; nulla è lasciato alla fantasia o all’invenzione, zero effetti speciali, nessun volo pindarico o ricorso a gesti da supereroi, niente orizzonti o favole fantascientifiche, nessun ricorso a colonne sonore classiche o rockeggianti, mancano del tutto i piani-sequenza digitalmente impostati: un film vero e crudo, ma anche poetico; un racconto drammatico e realistico che ti scava dentro e ti sconvolge. Un film potente che rimarrà nella mente e nella coscienza di questo nostro povero tempo, che rischia di passare alla storia come il più egoistico e crudele. Qualcuno ha detto, con una certa dose di spietata amarezza e drammatica verità, che questo film dovrebbe essere proiettato in tutti i parlamenti, a iniziare da quello europeo, ma anche nei palazzi del potere come la Banca Mondiale o l’ONU e, io aggiungo, che dovrebbero vederlo in tutte le scuole, a iniziare da quelle elementari. La storia dell’umanità, fin dalla sua alba, è una storia di cammini e di intersezioni con gli altri esseri viventi e con l’ambiente naturale, che a me piace chiamare Creato, cioè donato da Dio. Da sempre l’uomo è in cammino e si sposta: tutta la storia dell’umanità può essere letta secondo questa fondamentale prospettiva, la libera migrazione. La Terra è di tutti e tutti gli uomini hanno diritto di percorrerla, hanno diritto di fermarsi in una zona o in una regione, hanno diritto di viverla, certo rispettando e aderendo a determinate regole, chi arriva in un territorio diverso da quello da dove è partito ha bisogno di rispetto e di accoglienza; ogni uomo ha un bisogno fondamentale quello di accogliere e di essere accolto: sta qui la cifra dell’umanità e dell’umanesimo, solo su questa base si può costruire una civiltà vera e rispettosa. Mi pare che il valore culturale dell’opera sia del tutto evidente: sia per il coraggio e l’intensità con cui si rappresenta il fenomeno epocale della migrazione dall’Africa verso l’Europa; sia per la capacità di rappresentare un mondo diverso, quale quello da cui si parte per migrare, lo scontro di civiltà tra la nostra visione occidentale della vita e quella di chi proviene da altre forme ugualmente degne di rispetto e di onore. In ogni caso sento di poter dire che questo film è capace di segnarci nel profondo. Riesce a regalare allo spettatore uno sguardo diverso su quelle stesse realtà che credeva di avere ormai analizzato e catalogato razionalmente. Il canto epico di Io Capitano conosce sì, come si addice al genere, alcuni inserti onirici, di grande qualità estetica e molto commoventi, ma resta aderente al reale, alla vita, alle vite dei suoi protagonisti. Basti considerare che proprio l’impresa di Seydou, imbarcato e messo a forza alla guida del battello destinato a compiere l’ultima tappa del viaggio, obbligato a condurre al traguardo le speranze comuni delle tante diverse storie di vita. Il grido del giovane navigatore improvvisato, è drammatico e toccante, quest’urlo squarci le sorde orecchie dell’opulento e egoistico Occidente: Io sono il Capitano, nessuno è morto nell’attraversata del Mediterraneo; tutti ho portato in Italia… e ora voi europei, cosa saprete fare? Fatti non parole. Mi auguro che il film vi inquieti e vi spinga reagire con umanità e cuore, se non ci facciamo prossimo, se non siamo disposti a fare spazio, ad accogliere… l’umanità si estinguerà.
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claftia
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martedì 3 ottobre 2023
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overland dei reietti
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Sono andata a vedere questo film con poca convinzione, avrei preferito qualcosa di piu' leggero. Invece mi ha inchiodato in sala , benche' sia in lingua originale, non mi sono persa una sola sillaba, con me tutti i presenti in sala, come e' successo altre volte con i film di Garrone.
Narra l'epopea di due giovani senegalesi che decidono di intraprendere " il viaggio", per un futuro migliore. E qui inizia l'Odissea , dal deserto a piedi, benche' abbiamo pagato molti soldi per il viaggio, all'approdo alle carceri libiche dove vengono torturati e venduti ai collusi, fino al viaggio nei barconi, dove Seydou, il protagonista del fim, si mette alla guida senza saper nemmeno nuotare, per trarre in salvo il cugino.
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Sono andata a vedere questo film con poca convinzione, avrei preferito qualcosa di piu' leggero. Invece mi ha inchiodato in sala , benche' sia in lingua originale, non mi sono persa una sola sillaba, con me tutti i presenti in sala, come e' successo altre volte con i film di Garrone.
Narra l'epopea di due giovani senegalesi che decidono di intraprendere " il viaggio", per un futuro migliore. E qui inizia l'Odissea , dal deserto a piedi, benche' abbiamo pagato molti soldi per il viaggio, all'approdo alle carceri libiche dove vengono torturati e venduti ai collusi, fino al viaggio nei barconi, dove Seydou, il protagonista del fim, si mette alla guida senza saper nemmeno nuotare, per trarre in salvo il cugino. Il tema e' delicato, Matteo Garrone da la sua versione, esponendosi, senza sconti. E' un onda che ci travolge, non priva di poesia.
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