Parigi, 13Arr.

Da apprezzare il tentativo di Audiard di mettersi in gioco con un nuovo genere (la rom-com) ma il film è tutto fuorché riuscito. Perché una commedia romantica sia di qualità bisogna partire dalla scrittura di grandi personaggi e qui proprio di personaggi interessanti nemmeno l'ombra. Si vorrebbe inserire l'erotico ma si sfocia nel retorico (che più retorico non si può) con i due protagonisti che si amano unilateralmente (lei innamorata di lui che da vero playboy non ricambia) e si finisce naturalmente con lui che dopo 20000 altre relazioni si rende conto di amarla. Proprio dopo essere stato rifiutato da una delle ragazze che frequentava. Ma guarda un po'. [+]

Da apprezzare il tentativo di Audiard di mettersi in gioco con un nuovo genere (la rom-com) ma il film è tutto fuorché riuscito. Perché una commedia romantica sia di qualità bisogna partire dalla scrittura di grandi personaggi e qui proprio di personaggi interessanti nemmeno l'ombra. Si vorrebbe inserire l'erotico ma si sfocia nel retorico (che più retorico non si può) con i due protagonisti che si amano unilateralmente (lei innamorata di lui che da vero playboy non ricambia) e si finisce naturalmente con lui che dopo 20000 altre relazioni si rende conto di amarla. Proprio dopo essere stato rifiutato da una delle ragazze che frequentava. Ma guarda un po'. Mai visto un film sulla "ruota di scorta" insomma. La fotografia totalmente fuori tema. Audiard prova anche a inserire di tanto in tanto un paio di idee più interessanti ma alla fine della visione sto film si rivela indifendibile anche per chi come me apprezza questo regista.

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Audiard ci regala un film ricco di incastri snodabili utilizzando il b/n e un realismo crudo per raccontare le storie interrazziali di trentenni parigini. Il sesso è il collante per conoscersi nell'attesa di prendere la direzione verso acque più tranquille..

Ottimo Film. Molto 'urban'. Il bianco e nero è azzeccatissimo. Gli squilibri giovanili in una epoca fluida. Ma poi tutto trova un senso. Ottimo Film.

La vera "Gioventù bruciata" non è quella di Nicholas Ray, ma di Jacques Audiard. Quella di Ray era cinema che si faceva vita, questa di Audiard è vita che si fa cinema: ha strappato le radici della nazionalità di appartenenza, si è staccata dal tronco della famiglia e ha iniziato a sopravvivere riempiendo il vuoto col vuoto.
Rapporti affettivi che durano una settimana, attività lavorative che durano un mese, progetto di vita tarato sull'anno in corso.
Non esiste "domani" per questa gioventù, ma soltanto "adesso" e ieri non è una struttura su cui costruire, ma un semplice momento vissuto e probabilmente già dimenticato. Parigi, 13Arr. ha il merito di rappresentare efficacemente in maniera spietata un modello di vita che si va affermando, basato sulla perdita di due tempi fondamentali dell'esistenza: il passato e il futuro; d'altro canto, però, ha il demerito di fornire un finale consolatorio tipicamente cinematografico, che stride con la filosofia del racconto e lo fa precipitare nella falsità caramellosa di chi preferisce risolvere un problema con una bugia. [+]

La vera "Gioventù bruciata" non è quella di Nicholas Ray, ma di Jacques Audiard. Quella di Ray era cinema che si faceva vita, questa di Audiard è vita che si fa cinema: ha strappato le radici della nazionalità di appartenenza, si è staccata dal tronco della famiglia e ha iniziato a sopravvivere riempiendo il vuoto col vuoto.
Rapporti affettivi che durano una settimana, attività lavorative che durano un mese, progetto di vita tarato sull'anno in corso.
Non esiste "domani" per questa gioventù, ma soltanto "adesso" e ieri non è una struttura su cui costruire, ma un semplice momento vissuto e probabilmente già dimenticato. Parigi, 13Arr. ha il merito di rappresentare efficacemente in maniera spietata un modello di vita che si va affermando, basato sulla perdita di due tempi fondamentali dell'esistenza: il passato e il futuro; d'altro canto, però, ha il demerito di fornire un finale consolatorio tipicamente cinematografico, che stride con la filosofia del racconto e lo fa precipitare nella falsità caramellosa di chi preferisce risolvere un problema con una bugia. Perchè di un problema serio si tratta, quando due sorelle non trovano il tempo di ascoltarsi, una nonna ammalata ha valore soltanto per l'appartamento che lascia libero, l'attrazione sostituisce l'affetto profondo, il lavoro è uno strumento di mera sopravvivenza, la somiglianza con una pornostar può rovinare la vita, i social diventano un arma crudele e il sesso occasionale con sconosciuti l'unica fonte di arricchimento umano personale.
Dietro questo cubo di solitudine che la gioventù bruciata di Audiard si costruisce ottusamente con perizia, rimane però un'umanità che urla la propria diversità, anzi la propria specificità e che, nel cercare una via d'uscita, rimane di fatto intrappolata in lastre fatte tutte di "adesso", che non hanno profondità e quindi non danno via di fuga.
Il bianco e nero della pellicola, allora, può essere metafora di giovani esistenze che hanno perso la capacità di vedere e riconoscere la straordinaria disponibilità di colori che la vita reale offre e, come gli acromati, si limitano a descrivere le cose che vedono soltanto in termini di "più scuro o più chiaro". Audiard ne è consapevole, ma fa l'errore di cercare il finale consolatorio, che lascia tutti felici, senza considerare che una formula matematica ha soltanto una soluzione giusta e che, se il risultato finale può non piacere, non ci si deve ingannare stabilendone uno diverso e preferito, ma si deve avere la pazienza di capire quale parte della formula occorre cambiare per ottenere correttamente quel risultato preferito.
La liquidità dei rapporti di queste giovani esistenze è soltanto virtuale: non c'è nulla di più solido della precarietà, che lascia sempre allo stesso posto, dando l'impressione di un movimento. Emile, Camille, Nora e Amber Sweet hanno paura di amare, temono la delusione, li spaventa l'impegno, sono come una barca a vela su un mare senza vento. [-]