lorenzo87
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giovedì 22 ottobre 2020
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chatwin è altrove
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Sarò la voce fuori dal coro. Il film documentario, a mio avviso, sbaglia ampiamente il tiro. A tratti pesante, verboso, molto autoreferenziale. Celebrativo, quando invece ambiva ad essere (sin dal titolo) evocativo. Inopportuna e immotivata la scelta di inserire frammenti di video risalenti agli ultimi giorni della sua vita. Troppi i riferimenti ai film di Herzog. Il sottotitolo avrebbe dovuto essere "Storia di un'amicizia al di sopra di ogni sospetto". Ma di Chatwin, della sua musica, del suo fascino, del suo enigma, rimane ben poco. Le parti migliori, guarda caso, sono quelle dove parlano i luoghi. Senza dialoghi, senza volti umani. Solo la pura e immediata meraviglia della varietà del mondo.
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Sarò la voce fuori dal coro. Il film documentario, a mio avviso, sbaglia ampiamente il tiro. A tratti pesante, verboso, molto autoreferenziale. Celebrativo, quando invece ambiva ad essere (sin dal titolo) evocativo. Inopportuna e immotivata la scelta di inserire frammenti di video risalenti agli ultimi giorni della sua vita. Troppi i riferimenti ai film di Herzog. Il sottotitolo avrebbe dovuto essere "Storia di un'amicizia al di sopra di ogni sospetto". Ma di Chatwin, della sua musica, del suo fascino, del suo enigma, rimane ben poco. Le parti migliori, guarda caso, sono quelle dove parlano i luoghi. Senza dialoghi, senza volti umani. Solo la pura e immediata meraviglia della varietà del mondo. Là, non altrove, bisognerebbe andare a cercare Chatwin.
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fabiofeli
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mercoledì 21 ottobre 2020
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"parto per un lungo viaggio"
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Bruce Chatwin, scrittore-viaggiatore, e Werner Herzog, regista-scrittore della neue Welle tedesca, percorrono strade simili con una comune visione del mondo. La morte di Chatwin nel 1989 non ha spezzato il legame con Herzog: il dono dello zaino all’amico è il passaggio di un testimone in una staffetta. Quell’oggetto forse ha salvato la vita del regista sul Cerro Torre, in Patagonia al confine tra Cile ed Argentina, isolandolo dal ghiaccio; la montagna di 3100 metri, leggenda di scalatori famosi e squassata da tempeste, ha imprigionato e quasi congelato Herzog e due collaboratori per 55 ore, prima del recupero con l’elicottero che li aveva lasciati ai piedi del picco.
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Bruce Chatwin, scrittore-viaggiatore, e Werner Herzog, regista-scrittore della neue Welle tedesca, percorrono strade simili con una comune visione del mondo. La morte di Chatwin nel 1989 non ha spezzato il legame con Herzog: il dono dello zaino all’amico è il passaggio di un testimone in una staffetta. Quell’oggetto forse ha salvato la vita del regista sul Cerro Torre, in Patagonia al confine tra Cile ed Argentina, isolandolo dal ghiaccio; la montagna di 3100 metri, leggenda di scalatori famosi e squassata da tempeste, ha imprigionato e quasi congelato Herzog e due collaboratori per 55 ore, prima del recupero con l’elicottero che li aveva lasciati ai piedi del picco. In Patagonia Chatwin aveva cercato tracce del brontosauro affabulato da un pezzo di pelle con lunghi ispidi peli in casa sua, donato a sua zia da un parente marinaio, Charles Milwand. L’animale però era un milodonte, un bradipo preistorico alto tre metri; Herzog si reca nell’habitat dell’animale, dalle parti di Punta Arenas, dove ancora c’è il vascello arenato di Milwand. Nel 1987 Herzog gira Cobra Verde imperniato sul libro di Chatwin, Il Vicerè di Ouidah, con Klaus Kinski protagonista, somigliante allo scrittore ormai consumato dall’Aids; l’amico aveva persino scritto una sceneggiatura, che Herzog non aveva letto, come rivela a Nicholas Shakespeare, che gli mostra una statuina di ceramica appartenuta a Bruce con la scritta Parto per un lungo viaggio. Dura molto il viaggio di Chatwin in Australia sulle Vie dei Canti, in parte compiuto assieme agli Anziani Walpiri che gli spiegano i sentieri sognati che creano il paesaggio. Il film di Herzog Dove sognano le formiche verdi è popolato di aborigeni australiani che protestano per la violazione di un luogo sacro dove ora esiste un supermercato. I due amici pensano che camminare a piedi calandosi in un paesaggio può essere difficile e pericoloso, ma anche foriero di inattesi incontri. L’uno si racconta in Che ci faccio qui?, tra desiderio di partire e vivere esplorando, ma anche ansia di tornare alle Black Hills suo luogo del cuore nel libro Utz o al preistorico sito archeologico di Silburg nel Wiltshire; l’altro nel libro Sentieri nel ghiaccio cammina dalla Baviera a Parigi per visitare la critica Lotte Eisner, morente: una scaramanzia di fatica e sacrificio per scongiurarne la morte; Werner però arriva quando Lotte è già dimessa dall’ospedale. Infine il regista visita la tenera moglie di Chatwin, Elizabeth Chanler, separata dal marito bisessuale e malato terminale, ma riappacificata con lui da una finestra su un giardino da godere assieme. Il regista di tante storie estreme (Stroszeck, Kaspar Hauser, Fitzcarraldo, Aguirre, Nosferatu) e lo scrittore che estremizza la sua vita raccontando come vero reportage anche bugie ed omissioni hanno un filo comune: chi era nomade e mette radici, si avvicina alla morte. Ed è commosso Herzog quando parla di questo suo amico, simile ma diverso da lui, di come si vergogni di essere visto mentre muore. Bruce vuole lasciare il mondo con dignità, forse sognando come i Walpiri un sentiero tra gli alberi che sbucherà in una radura illuminata. Come non rimanere affascinati da questa opera che ci ha ricordato tanta parte della nostra vita? Da non mancare. Valutazione **** FabioFeli
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