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martedì 20 giugno 2017
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lasciatemelo dire.
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A parte la fotografia, lasciatemelo dire con una frase del grande Paolo Villaggio: Song to song di Terrence Malick é una cagata pazzesca!
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mauridal
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martedì 20 giugno 2017
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una indigestione di funghi allucinogeni
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Da quando la cultura pop americana , come è la letteratura di Kerouac, Burroughs, Bukowski, Ferlinghetti, con tutta la west Coast , ha lasciato un segno indelebile in molti autori americani e non solo , allora ci avviciniamo a comprendere talune espressioni artistiche nelle arti anche europee oltre che americane. La Pop art in pittura, con autori come Wharol e Pollock ma anche Hopper . Dunque la Popular Art riesce a fondersi nei campus della California con la Beat generation? Forse, ma tra quegli studenti californiani c’è da scommettere che un giovane studente di Filosofia come Terrence Malik tra l’altro seguace e studente di Wittgenstein, riesce ad elaborare una sua linea di filosofia della vita e sceglie il cinema , proprio la cinematografia , scritta e realizzata nei film che inizia a girare come regista e sceneggiatore.
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Da quando la cultura pop americana , come è la letteratura di Kerouac, Burroughs, Bukowski, Ferlinghetti, con tutta la west Coast , ha lasciato un segno indelebile in molti autori americani e non solo , allora ci avviciniamo a comprendere talune espressioni artistiche nelle arti anche europee oltre che americane. La Pop art in pittura, con autori come Wharol e Pollock ma anche Hopper . Dunque la Popular Art riesce a fondersi nei campus della California con la Beat generation? Forse, ma tra quegli studenti californiani c’è da scommettere che un giovane studente di Filosofia come Terrence Malik tra l’altro seguace e studente di Wittgenstein, riesce ad elaborare una sua linea di filosofia della vita e sceglie il cinema , proprio la cinematografia , scritta e realizzata nei film che inizia a girare come regista e sceneggiatore. Pochi film, ma ben presenti nel cinema internazionale. Malik diventa una firma che riassumendo per estrema sintesi , racconta una dicotomia tra estese periferie rurali provinciali culturalmente rozze e centri urbani degli Stati Uniti ricchi e contraddittori dove ‘ l’umanità è inconsapevole della presenza di un malessere profondo che coinvolge donne e uomini , incapaci di sopravvivere in una società dove il bene e il male si confondono. Ecco gli uomini e le donne di questo ultimo Film , Song to Song , allo spettatore europeo , paiono inconsapevoli e incapaci a riempire un loro vuoto esistenziale, che dall’interno di un’anima introvabile, un personaggio femminile la cerca in fondo alla bocca o nelle orecchie del suo uomo, si trasferisce anche negli ambienti esterni tutti in prevalenza. lussuosi appartamenti-ville con piscine dove i personaggi si inseguono contorcendosi in improbabili attacchi di erotismo onirico, più che sessuale. Tuttavia L’Umanità per Malik esiste ancora e si evidenzia stavolta attraverso la musica, e il suo personaggio protagonista , BV con la faccia di Gosling, come un giovane musicista . Varia umanità anche gli altri ,cantanti e suonatori di varie band in concerto rock ad Austin cittadina del Texas, cara a Malik , dove pare abiti. Dunque la musica rock pop e la sua gente come veicolo di Umanità, e forse il passaggio del film , più umano e realistico è lì dove appare la vera Patti Smith, che parla a ruota libera , sulla vita vissuta sua come donna e musicista con intento morale verso una giovane donna, musicista agli inizi di carriera . Si intrecciano vita e morte anche nelle scene dove il personaggio BV incontra il padre morente in ospedale e si chiede e ci interpella sul senso della vita quando poi saremo tutti morti. Ma l’ironia in tal caso soccorre Malik quando nel pieno di una delle tante feste a bordo piscina, l’altro personaggio , il ricco manager Cook ,con la faccia del bravo Fassbender, si avvicina ad un grande vaso contenenti le ceneri del defunto “dottore “ versandoci dentro alcune gocce di alcolici per poi brindare con l’urna stessa e i bicchieri pieni di Burbon. (mauridal)
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lbavassano
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domenica 28 maggio 2017
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pistolotto retorico nonostante lo splendore visivo
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Terrence Malick torna a raccontare una storia, dopo le altisonanti speculazioni filosofiche di "The tree of life", dopo i difficilmente comprensibili "To the wonder" e "Knight of cups", che di "The tree of life" sono apparsi rimontaggi la cui necessità è stato ancor più arduo comprendere. Torna a raccontare una storia piuttosto semplice, anche se nei suoi ormai consueti modi incuranti della successione cronologica, enfatici nella dilatazione dei tempi a voluto contrasto con la rarefazione delle parole, nell'uso e nell'abuso delle voci fuori campo, nella strabordante ricchezza visiva, mai banale, nella straordinaria concertazione della colonna sonora, capace di miscelare con pari efficacia modernità e tradizione classica, nell'insistita trasfigurazione della recitazione in danza.
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Terrence Malick torna a raccontare una storia, dopo le altisonanti speculazioni filosofiche di "The tree of life", dopo i difficilmente comprensibili "To the wonder" e "Knight of cups", che di "The tree of life" sono apparsi rimontaggi la cui necessità è stato ancor più arduo comprendere. Torna a raccontare una storia piuttosto semplice, anche se nei suoi ormai consueti modi incuranti della successione cronologica, enfatici nella dilatazione dei tempi a voluto contrasto con la rarefazione delle parole, nell'uso e nell'abuso delle voci fuori campo, nella strabordante ricchezza visiva, mai banale, nella straordinaria concertazione della colonna sonora, capace di miscelare con pari efficacia modernità e tradizione classica, nell'insistita trasfigurazione della recitazione in danza. Torna a raccontare una storia, che, privata di tale arte e artifici, risulterebbe in sé piuttosto banale. Ma soprattutto insopportabile è il suo manicheismo, la sua assoluta mancanza di dubbi nell'identificazione del Bene e del Male, il pistolotto retorico cui in conclusione tutto ciò, tutta la stupefacente bellezza delle immagini, tutta la ricchezza delle location e del cast, si riduce.
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ugnos
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giovedì 18 maggio 2017
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song to song : il ritorno del cinema di poesia
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Terrence Malick, il regista di La sottile linea rossa e The three of life, è tornato.
Song to Song è la sua ultima fatica.Questo significa che il filosofo, l’idiosincratico, quel pazzo soporifero, almeno per alcuni critici, dopo anni di lavorazione, finalmente ci permette di vedere che cosa ha combinato.Per quanto riguarda la trama, siamo dinanzi a un Ménage à trois tra un produttore musicale, un cantante in erba e la sua fidanzata. Vediamo il loro continuo oscillare tra attrazione e repulsione, equilibrio e nevrosi. Davanti alla camera ci sono Ryan Gosling, Michael Fassbender e Rooney Mara; Insomma non gente di primo pelo.
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Terrence Malick, il regista di La sottile linea rossa e The three of life, è tornato.
Song to Song è la sua ultima fatica.Questo significa che il filosofo, l’idiosincratico, quel pazzo soporifero, almeno per alcuni critici, dopo anni di lavorazione, finalmente ci permette di vedere che cosa ha combinato.Per quanto riguarda la trama, siamo dinanzi a un Ménage à trois tra un produttore musicale, un cantante in erba e la sua fidanzata. Vediamo il loro continuo oscillare tra attrazione e repulsione, equilibrio e nevrosi. Davanti alla camera ci sono Ryan Gosling, Michael Fassbender e Rooney Mara; Insomma non gente di primo pelo.Ora scusate la prossima ridondanza espressiva ma Song to Song è un’esperienza filmica. Un’opera da “metabolizzare”. La sua magnificenza divampa, ti cattura e lascia inebriati. La pellicola non va compresa in simultanea alla visione, come pretendono molti classicisti e amanti dei generi, bisogna guardarla e godere delle immagini, perdersi nella loro bellezza - e qui fa capolino quel genio di Emmanuel Lubezki, che negli ultimi quattro anni ha vinto tre oscar consecutivi per la miglior fotografia.Sorprendente la continuità del linguaggio che passa attraverso l’incessante movimento di macchina, mediante camera a mano o steadycam. L’uso del grandangolo poi, spinto al punto di trasformarsi in un fish eye, sembra voler sottolineare la maestosità di una natura sempre protagonista.Song to Song strizza l’occhio, per temi, a Kinght of Cups e To the Wonder ma va ben oltre perché è completo, non si sofferma su uno ma approfondisce tutti i personaggi, i loro caratteri, e le piccole sfumature (gesti, sguardi, sospiri) “brillano” e non le si perde mai di vista.E quindi questa storia cosa vorrebbe suggerirci?Beh immaginate un mare, che nel film si vede più volte, e delle onde. Ecco noi siamo quelle increspature sull’acqua, quella spuma che si infrange contro il bagnasciuga e poi ritorna indietro. Forse metafora della vita chissà, della nostra precaria e continua ricerca di equilibrio tra emozioni, ossessioni, e sentimenti. Un vivere che è a volte naufragare nella disperazione e altre un tuffo refrigerante sotto un bel sole d’estate.
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fabiofeli
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martedì 16 maggio 2017
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"meglio tante esperienze che nessuna esperienza."
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Faye (Rooney Mara, la Therese del film Carol), una ragazza taciturna e minuta, lavora per Cook (Michael Fassbender, “il corpo” dei film Shame e Hunger), proprietario immobiliare e impresario di cantanti, che vive ad Austin nel Texas, un vero tempio della musica rock. La giovane è alla ricerca di esperienze per capire cosa vuole fare della sua vita: in un party nella grande villa di Cook conosce BV (Ryan Gosling, protagonista del recente La La Land), un talento musicale, e il suo destino conosce una svolta. Cook offre generosamente alla coppia una bella casa nella quale vivere: dopo un viaggio in Messico si cementa un rapporto di amicizia tra i tre.
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Faye (Rooney Mara, la Therese del film Carol), una ragazza taciturna e minuta, lavora per Cook (Michael Fassbender, “il corpo” dei film Shame e Hunger), proprietario immobiliare e impresario di cantanti, che vive ad Austin nel Texas, un vero tempio della musica rock. La giovane è alla ricerca di esperienze per capire cosa vuole fare della sua vita: in un party nella grande villa di Cook conosce BV (Ryan Gosling, protagonista del recente La La Land), un talento musicale, e il suo destino conosce una svolta. Cook offre generosamente alla coppia una bella casa nella quale vivere: dopo un viaggio in Messico si cementa un rapporto di amicizia tra i tre. Ma per puro gusto di dominio Cook incrina il rapporto tra Faye e BV, quando questo ultimo rompe l’amicizia scoprendo che il primo ha registrato a suo nome la proprietà delle canzoni. Il triangolo amoroso si allarga ancora; diventa un quadrilatero quando Cook sposa Rhonda (Nathalie Portman, la protagonista del film Il cigno nero), una fresca insegnante di asilo che si mantiene facendo la cameriera in un bar-ristorante …
Il film è diretto da un mostro sacro del cinema, Terrence Malick, che raccoglie un cast stellare del quale fanno parte anche Cate Blanchett (la Carol del film omonimo), Patty Smith e Iggy Pop. Le opere cinematografiche di Malick, distanziate nei tempi di uscita, hanno fatto incetta nei più importanti festival cinematografici dividendo spesso nel giudizio critici e pubblico, i primi in grande maggioranza a favore ed il secondo meno. Il recente The tree of life, bellissimo, ha messo d’accordo tutti. In questa pellicola che il titolo dedica alle canzoni i brani musicali famosi vengono appena accennati; soltanto di Runaway di Del Shannon , punteggiata dalle stimolanti tastiere elettriche di Max Crock, viene eseguito il ritornello che parla di una storia d’amore che si interrompe senza un valido motivo. La struttura narrativa del film si basa su immagini di primissimi piani ondeggianti sotto l’occhio della steadycam: all’inizio mescola con ambiguità le carte tagliando spesso i volti dei protagonisti maschili, già di per sé simili per aspetto, pur se l’uno è carnefice e l’altro vittima. La trama e l’accento posto sul mondo della canzone fanno pensare al successo di Brian De Palma, Il fantasma del palcoscenico, l’opera-rock imperniata sulla dannazione di Faust per mano di Mefistofele. Ma questo film parla soprattutto di altro: la parabola di un bilancio fallimentare di un amore per errori commessi dai protagonisti può rovesciarsi in positivo con un nuovo inizio del tutto diverso; un rewind ed una riesposizione di immagini del primo incontro tra Faye e BV con un dialogo differente cambiano di segno la storia, come avveniva nel gustoso ed ironico Right now, wrong then del regista sudcoreano Hong Sang-soo, uscito di recente in Italia.
E’ difficile dire a se stessi che, anche se è indubbiamente un grande del cinema, Malick stavolta non ci convince. Il motivo? Si prova la sgradevole sensazione di una involuzione nello stile narrativo, un manierismo ricco, sì, di belle immagini, ma con un gusto estetizzante che le banalizza. I gusti sono gusti e la ridondanza può stomacare. E si deve avere l’onestà intellettuale di ammetterlo, anche se il nostro rimarrà un giudizio isolato.
Valutazione **
FabioFeli
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benedettaspampinato
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martedì 16 maggio 2017
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cantami, o musa
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È da più o meno sei anni che Terrence Malick sta cercando di dirci la stessa “cosa”. Negli ultimi film il sottile fil rouge che lega i flussi di coscienza dei suoi caratteri ha vagato lungo tutta l’America, snodandosi tra i più disparati luoghi di una terra così vasta e sconfinata da essere scandagliata nelle sue interiora e cercata proprio da chi vi è nato. Essa s’insinua tra i pensieri, dentro le case in puro stile Wright, tra le persiane e ogni atomo di pulviscolo atmosferico vacante che sembra pensato proprio per chi lo sfiora. Da The tree of life l’insistenza misticheggiante dell’odiosamabile professore di Filosofia-regista si rende ai significanti e si pone svelata allo spettatore.
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È da più o meno sei anni che Terrence Malick sta cercando di dirci la stessa “cosa”. Negli ultimi film il sottile fil rouge che lega i flussi di coscienza dei suoi caratteri ha vagato lungo tutta l’America, snodandosi tra i più disparati luoghi di una terra così vasta e sconfinata da essere scandagliata nelle sue interiora e cercata proprio da chi vi è nato. Essa s’insinua tra i pensieri, dentro le case in puro stile Wright, tra le persiane e ogni atomo di pulviscolo atmosferico vacante che sembra pensato proprio per chi lo sfiora. Da The tree of life l’insistenza misticheggiante dell’odiosamabile professore di Filosofia-regista si rende ai significanti e si pone svelata allo spettatore. Aspettavamo incoscientemente una caduta di stile, la semplificazione del vuoto cosmico e interiore che molto gli preme e, invece, Malick ci ha regalato un lavoro apparentemente furbo e spensierato (il character poster anni Sessanta warholiano e un cast fin troppo colmo di belle statue dello star system), ma anche nella scelta del Pop la via che indica è la maestra perché, si sa, la realtà non è solo ciò che si vede.
I film di Malick cominciano lì dove comincia la vita: dal particolare all’universale. Avevamo lasciato Christian Bale in Knight of Cups con una voce fuoricampo che proferiva un “inizia”: Song to song si sposta in Texas, Austin. Il fulcro della trama in dissolvenza è un ménage à trois che non ha nulla a che vedere né con certi modelli truffautiani né con pesantezze da dreamers antiborghesi alla Bertolucci: siamo nel bel mezzo della vita, quella che si pone “nel frattempo”, e della crisi che essa porta dentro il suo sussistere con e dentro noi. Con Malick si danza fino alla fine dei tempi. Ryan Gosling (anche qui driver più metafisico che eroe) e Rooney Mara (la fidanzata di Carol che qui è invece l’opposta rivale della Blanchett) sono due musicisti fidanzati, ma lei ha una storia con il produttore, Michael Fassbender, tipico villain di ogni intreccio, che deciderà incautamente di sposare Natalie Portman, una giovane maestra che ora fa la cameriera. Una sorta di tetrangolo amoroso che poi diventa un intricato nodo da cui uscire, accompagnato da canzoni in sottofondo di diverso genere, una cinquantina circa.
Tutto il film è stato realizzato secondo un lento processo di found footage durato ben due anni, volto a caratterizzare la componente frammentaria della riproducibilità dell’opera, la macchina è sempre a spalla, perché i film di Malick sono come dei poetici documentari sull’anima e sul tempo. Ma non sono solo loro i protagonisti: in Song to song prendono vita diversi figure della musica occidentale che hanno fatto la storia (molte comparse sono state tagliate, come quella degli Arcade Fire), a cui Malick dona una luce che il mondo delle apparenze, a cui loro sono legati, gli ha negato. Johnny Rotten è un punk ormai maturo, Val Kilmer (il Morrison di Oliver Stone) e i RHCP compaiono solo perché sono umani esattamente come noi, incontrati lungo il cammino. Patti Smith è una vera e propria sacerdotessa, racconta il dolore per la perdita di Fred “Sonic” Smith: vengono inquadrate le sue mani, gli abiti, i lunghi capelli annodati. Iggy Pop dialoga con stupenda disinvoltura, mentre la cinepresa studia ogni singola mappatura del suo petto, ogni vena del corpo sembra raccontare una storia. Avremmo voluto vedere Bowie, sicuramente.
Song to songè un film sulla sacralità del corpo, sulla tangibilità delle cose, l’uso del sesso senza coscienza di amore che occulta la via della grazia e chiude gli occhi al sentiero scegliendo lo stato di natura. La macchina da presa va su, giù, è obliqua, riprende perfino il cielo da una macchina in movimento. La maestosa eleganza dei movimenti di Cate Blanchett, il suo modo di adagiare la mano sulla nuca così studiato accompagna l’andamento della camera che buca lo schermo perché invade lo spazio, così vicina com’è, ma non oltrepassa mai quella soglia inviolabile, oggi deturpata, che si chiama intimità. E poi la fede, la ricerca di senso abiurata ogni giorno, dimenticata, quando la natura (a differenza di quella del barbarico von Trier) non vive di inquietanti silenzi, ma emerge come presenza per suggellare l’origine dell’eterno flusso del tempo. Essa è impressa dall’immancabile meravigliosa fotografia di Lubezki (adesso anche compagno di Iñárritu) e dai suoi sterminati widescreen, senza i quali i film del regista sarebbero ormai impensabili. La narrazione si è assottigliata, è “orizzontale”, elementare, la sceneggiatura è scarsa, dimentica dell’inflazionato lirismo eliottiano da blank verse, eppure accostarsi a un’opera di Malick significa ancora mettere in luce un complesso processo in fieri, un inarrivabile labor limae (è tutto un lavoro di post-produzione, la pellicola si estendeva per ben lunghe otto ore!). Significa approcciarsi a un sistema di pensiero entro cui lievemente sprofondare e uscirne purificati da riferimenti filosofici. L’irrequietudine contrastata di far entrare quella “cosa” che va cercando i protagonisti aleggia in ogni “dove”: la trama, la vera trama si svolge in un altrove sempre celato, nascosto tra le buone cose di pessimo gusto, per dirla con Gozzano. Solo la tristezza riesce a far sentire viva la protagonista, mentre la logica svanisce in un intersecarsi di voci, ricordi, passato e presente si sovrappongono. Il cinema è vita e la vita è il cinema. La casa a cui tendono ignari i personaggi è sempre la stessa: il “posto” di Gosling è quello di Affleck, di Bale: ritornare alla terra, perché solo il desiderio di vivere quei days of heaven spalanca alla vita, che era lì, sottesa, da sempre.
Sembra che non sia accaduto niente, ci si è assentati, perché la vita è una dispersa silloge di frammenti, un’antologia lirica alla perenne ricerca di un originale assente, un trovarsi per caso mentre accade il Creato. Cos’è quest’ossessione per la trama? Possiamo riuscire a trovare una nota che leghi tutti i fatti della nostra vita? Sono queste le domande che si auto-pone il regista riproponendole a chi deciderà di pagare il biglietto, ma è già ben conscio che la vita ha bisogno di un’interpretazione. Alla lunga, le immagini che rimangono impresse sono frammenti di tramonti, di mani in contatto, di incontri e ritorni, perché in fondo cerchiamo qualsiasi forma, almeno una, per attaccarci alla terra e ugualmente distaccarci dalle forme che la trattengono. Malick è il raro esempio di un artista che non ha dimenticato la lezione di James Joyce. Capace di uscire da quell’Io che siamo soliti costruirci attorno, egli può fare di tutto e può farlo sempre da Terrence Malick. Calcare spesso sullo stesso punto non è sempre lezioso manierismo. Come accade probabilmente agli spiriti più attenti alle evoluzioni del tempo, Malick è stato a lungo in silenzio, ha scelto di fermarsi e attendere il suo momento per raccontare ciò che aveva da dire. Forse è troppo presto per capire il suo cinema, forse è tardi. C’era chi usciva disgustato dalla sala, chi annoiato, dubbioso o in lacrime, ma questo è già qualcosa. Dimostra che un certo cinema riesce a smuovere dal di dentro i ricordi e Malick, che dal canto suo ha superato i settant’anni, ha veramente a cuore questa “cosa” che si nasconde dappertutto e dappertutto è presente, come una parola mai detta, rimasta eternamente pensata, ma riproponibile ora, hic et nunc. È una questione di scelte, lasciatelo cantare.
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flyanto
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lunedì 15 maggio 2017
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amore e allontanamenti ad austin , texas
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"Song to Song" è l'ultima opera cinematografica del regista Terence Malick e qui si raccontano le storie sentimentali di due coppie formate, una da un produttore musicale ( Michael Fassbender) e dalla sua assistente (Rooney Mara) e da sua moglie (Natalie Portman) e l'altra da un cantante e compositore che collabora col primo e dalla suddetta assistente. Tra situazioni altalenanti in cui le coppie vivono la propria storia amorosa ed altre avventure sessuali che si frammezzano a quella principale, il sodalizio tra i due artisti si interrompe arrivando a fare trionfare alla fine il sentimento della sopra citata seconda coppia.
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"Song to Song" è l'ultima opera cinematografica del regista Terence Malick e qui si raccontano le storie sentimentali di due coppie formate, una da un produttore musicale ( Michael Fassbender) e dalla sua assistente (Rooney Mara) e da sua moglie (Natalie Portman) e l'altra da un cantante e compositore che collabora col primo e dalla suddetta assistente. Tra situazioni altalenanti in cui le coppie vivono la propria storia amorosa ed altre avventure sessuali che si frammezzano a quella principale, il sodalizio tra i due artisti si interrompe arrivando a fare trionfare alla fine il sentimento della sopra citata seconda coppia.
Terence Malick ritorna sugli schermi costruendo una storia con le stesse ed identiche modalità con cui ha creato le sue tre pellicole precedenti ("The Tree of Life", "To the Wonder" e "Knight o Cups") e, cioè, attraverso immagini sublimemente e lentamente riprese della natura, delle locations in generale e dei personaggi, esteticamente sempre molto attraenti. Insomma un trionfo, quasi eccessivo, dell'estetica che, sì, appaga l'occhio dello spettatore, ma poichè viene ripetuto in continuazione senza aggiungere nulla di nuovo, rischia di tediarlo anzichè affascinarlo. Il concetto poi che Malick vuole rappresentare in "Song to Song", e cioè l'amore nel suo evolversi e nelle sue diverse sfaccettature ed incongruenze, viene presentato, come al solito, in una forma pretenziosa e ricercata e con numerosi e continui flash back troppo elevata ed affatto necessaria al significato del film e pertanto l'opera si appesantisce notevolmente, divenendo "costruita" e poco diretta. Pertanto, nonostante la scelta degli attori sia risultata quanto mai azzeccata da parte di Malick, infatti sia Ryan Gosling, che Michael Fassbender, che Rooney Mara e Natalie Portman, in aggiunta alle "comparse" brevi o sporadiche di altri famosi attori, quali Kate Blanchett per citarne uno (addirittura Malick scomoda gli interventi di due grandi autori della musica: Iggy Pop e Patti Smith), dimostrano tutti di essere all'altezza dei propri ruoli, la pellicola non decolla affatto e non può che rivelare solo quanto il regista negli ultimi anni sia diventato ripetitivo e per nulla originale.
Pertanto, nonostante le premesse allettanti dei trailers e del nome stesso di Malick, il film può venire benissimo tralasciato, oppure, semplicemente aggiunto come conoscenza alla filmografia dei suoi estimatori,ma purtroppo nulla di più. Peccato!
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vanessa zarastro
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lunedì 15 maggio 2017
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guardate come si annoiano i ricchi
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L’unico merito di questo film è nell’aver fotografato splendidamente le architetture e montate su un’ottima colonna sonora. Emmanuel Lubecki è il direttore della fotografia e, non a caso, ha vinto l’Oscar per tre anni di seguito: Revenant del 2015, per Birdman del 2014 e per Gravity del 2013.
Per il resto si può facilmente affermare che Song to song è un film assolutamente insopportabile. Non sono un’amante di Terrence Malick, il regista-filosofo a mio avviso ampolloso e noiosissimo, ma sono andata a vedere Song to Song prevalentemente perché attratta da un cast eccezionale. Nel film sembra che ogni attore si porti dietro un film precedente per il quale è diventato famoso.
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L’unico merito di questo film è nell’aver fotografato splendidamente le architetture e montate su un’ottima colonna sonora. Emmanuel Lubecki è il direttore della fotografia e, non a caso, ha vinto l’Oscar per tre anni di seguito: Revenant del 2015, per Birdman del 2014 e per Gravity del 2013.
Per il resto si può facilmente affermare che Song to song è un film assolutamente insopportabile. Non sono un’amante di Terrence Malick, il regista-filosofo a mio avviso ampolloso e noiosissimo, ma sono andata a vedere Song to Song prevalentemente perché attratta da un cast eccezionale. Nel film sembra che ogni attore si porti dietro un film precedente per il quale è diventato famoso. A Ryan Gosling ormai tocca suonare il pianoforte, e spesso in piedi, dopo che Damien Chazelle lo ha utilizzato nel super-premiato La la Land; anche se in passato ha dato prove di attore poliedrico, Gosling pure qui sfoggia, nuovamente, il suo sorrisetto seduttivo nel ruolo del fidanzatino dolce e sfigato che scrive canzoni. Rooney Mara, da parte sua, dopo essere stata l’amante di Carol si presta a rapporti omosessuali e a quelli sessuali commisti (peraltro è presente nel film anche Cate Blanchett in un ruolo secondario del triangolo) che propone il viziatissimo Michael Fassbender, nella parte di un imprenditore discografico.
La storia è del tutto inconsistente: due banali triangoli amorosi in una sorprendente Austin, capitale del Texas e capitale mondiale musicale (sono state girate 8 ore!). La vera protagonista del film è, infatti, lei, Austin con il suo Central Business District e con le sue ville strepitose, ma anche con il suo hinterland pieno di laghi, fiumi e cascate.
Il film è stato girato nell’arco di due anni senza sceneggiatura – Malick lavora molto in post-produzione – integrato da immagini del festival musicale “Austin City Limits” del 2012 (Florence Welch, Black Lips, Lykkie Li, The Red Hot Chili Peppers ecc.), il più famoso della città dopo il “South by Southwest”. Il film si avvantaggia anche della presenza di Patty Smith e Iggy Pop.
Song to Song consiste in una sequenza infinita di immagini – ricomposte in un montaggio circolare ipnotico ed infinito - su sfondo architettonico, con voci fuori campo di persone sofferenti e dialoghi – o meglio monologhi – imbarazzanti per la loro banalità. “Vuoto chiama vuoto” scrive Francesco Boille su Internazionale.
“Chi sono? Chi siamo?” invece di costituire domande inquietanti sembrano una parodia neo-esistenzialista. Il film potrebbe anche essere intitolato “Guardate come si annoiano i ricchi” oppure “Meglio poveri ma belli” per il suo finale moralistico e semplicistico di ritorno alla semplicità e alla natura.
Malick è un regista settantatreenne che in trent’anni ha fatto solo quattro film per poi girarne cinque tutti insieme, forse grazie anche al digitale.
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riccardofabiani
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domenica 14 maggio 2017
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si può avere paura di se stessi?
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Si può avere paura di se stessi? Sembra essere la domanda sottesa di Song to Song, l’ultimo
lavoro di Terrence Malick.
Austin, Texas.
Faye è una musicista, vorrebbe esserlo. Si lascia trasportare dagli eventi, illudendosi di avere solo parte della responsabilità, o forse compiacendosi nell’assumerla completamente; galleggia nell’acqua, che invade spesso le inquadrature in forma di lussuose piscine, placidi fiumi o limpide pozze.
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Si può avere paura di se stessi? Sembra essere la domanda sottesa di Song to Song, l’ultimo
lavoro di Terrence Malick.
Austin, Texas.
Faye è una musicista, vorrebbe esserlo. Si lascia trasportare dagli eventi, illudendosi di avere solo parte della responsabilità, o forse compiacendosi nell’assumerla completamente; galleggia nell’acqua, che invade spesso le inquadrature in forma di lussuose piscine, placidi fiumi o limpide pozze. Riemerge a volte, chiamata dalla sua coscienza. Intorno a lei un teatro di perversione e licenziosità che viene incarnato da Cook, onnipotente produttore musicale e viveur consumato dalle sue ossessioni. Vi rimane invischiato BV, moderno Candide, che insegue un sogno e rischia di perdere se stesso. Il fascino mefistofelico di Cook irretisce anche l’ignara Rhonda, insegnante per vocazione ma cameriera per necessità.
Un film sull’amore, sull’idea che abbiamo di esso.
Malick ha scelto un tema universale e l’ha ridotto a sua immagine e somiglianza.
Girato sontuosamente, curato in ogni dettaglio e accompagnato da una colonna sonora estremamente ricercata. Questa magnificenza purtroppo non sostiene la pellicola che rimane sempre vittima di cliché patinati e stereotipi erotici a buon mercato.
Malick si fida solo del suo talento e priva gli attori del loro ruolo, relegandoli a voci fuori campo. Gli intrecci amorosi vengono spiegati anziché recitati, le inquadrature sembrano solo il necessario sostegno a quanto affermato dalle voci prive di corpo che insistono sull’unicità dei loro sentimenti.
Fassbender fa del suo meglio per restituire veridicità alla storia con la sua luciferina interpretazione, rendendo credibile un personaggio pensato a scopo puramente didattico.
Il regista mette in scena una parabola edificante che attraverso la redenzione riporta alla purezza della semplicità, ma lo fa in maniera fastidiosamente prevedibile, toccando le corde del sesso colpevolizzato e svilito.
Si ritrova nel turbine di party e lussuria anche BV, l’epitome del folk singer, di umili origini e famiglia numerosa che è sul punto di sfondare ma rinuncia al successo per non rinnegare i suoi valori. Ryan Gosling riesce a fare tesoro delle pochissime battute concesse dal regista e costruisce un personaggio intenso e tormentato.
Rooney Mara è credibile nel suo ruolo di ragazza perduta, spudorata mentitrice e ribelle insoddisfatta.
L’autore ha assoggettato le altre presenze del cast al ruolo di comparse funzionali alla sua teoria del sentimento. Natalie Portman, dolente e splendida, Cate Blanchett elegante e distaccata.
Numerosi cameo delle star del rock, da Iggy Pop ai Red Hot Chilli Peppers, tutti impacciati e intrappolati nelle parodie di loro stessi.
A questa legge sfugge Patti Smith, che arriva come una stilettata, sincera e priva di filtri, indifferente alle pastoie di un regista drogato dal suo ego.
Ed è forse questo il limite più grande di Song to Song; una regia virtuosistica e compiaciuta che manca di una solida sceneggiatura. L’assenza quasi totale di dialoghi mascherata con lunghi primi piani e paesaggi maestosi. Avrebbe potuto essere un ottimo film, ma Malick ne ha tratto solo uno splendido spot di Dior.
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domenica 14 maggio 2017
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song to song; si può avere paura di se stessi?
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Si può avere paura di se stessi? Sembra essere la domanda sottesa di Song to Song, l’ultimo lavoro di Terrence Malick. Austin, Texas. Faye è una musicista, vorrebbe esserlo. Si lascia trasportare dagli eventi, illudendosi di avere solo parte della responsabilità, o forse compiacendosi nell’assumerla completamente; galleggia nell’acqua, che invade spesso le inquadrature in forma di lussuose piscine, placidi fiumi o limpide pozze. Riemerge a volte, chiamata dalla sua coscienza. Intorno a lei un teatro di perversione e licenziosità che viene incarnato da Cook, onnipotente produttore musicale e viveur consumato dalle sue ossessioni. Vi rimane invischiato BV, moderno Candide, che insegue un sogno e rischia di perdere se stesso.
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Si può avere paura di se stessi? Sembra essere la domanda sottesa di Song to Song, l’ultimo lavoro di Terrence Malick. Austin, Texas. Faye è una musicista, vorrebbe esserlo. Si lascia trasportare dagli eventi, illudendosi di avere solo parte della responsabilità, o forse compiacendosi nell’assumerla completamente; galleggia nell’acqua, che invade spesso le inquadrature in forma di lussuose piscine, placidi fiumi o limpide pozze. Riemerge a volte, chiamata dalla sua coscienza. Intorno a lei un teatro di perversione e licenziosità che viene incarnato da Cook, onnipotente produttore musicale e viveur consumato dalle sue ossessioni. Vi rimane invischiato BV, moderno Candide, che insegue un sogno e rischia di perdere se stesso. Il fascino mefistofelico di Cook irretisce anche l’ignara Rhonda, insegnante per vocazione ma cameriera per necessità. Un film sull’amore, sull’idea che abbiamo di esso. Malick ha scelto un tema universale e l’ha ridotto a sua immagine e somiglianza. Girato sontuosamente, curato in ogni dettaglio e accompagnato da una colonna sonora estremamente ricercata. Questa magnificenza purtroppo non sostiene la pellicola che rimane sempre vittima di cliché patinati e stereotipi erotici a buon mercato.
Malick si fida solo del suo talento e priva gli attori del loro ruolo, relegandoli a voci fuori campo. Gli intrecci amorosi vengono spiegati anziché recitati, le inquadrature sembrano solo il necessario sostegno a quanto affermato dalle voci prive di corpo che insistono sull’unicità dei loro sentimenti. Fassbender fa del suo meglio per restituire veridicità alla storia con la sua luciferina interpretazione, rendendo credibile un personaggio pensato a scopo puramente didattico. Il regista mette in scena una parabola edificante che attraverso la redenzione riporta alla purezza della semplicità, ma lo fa in maniera fastidiosamente prevedibile, toccando le corde del sesso colpevolizzato e svilito. Si ritrova nel turbine di party e lussuria anche BV, l’epitome del folk singer, di umili origini e famiglia numerosa che è sul punto di sfondare ma rinuncia al successo per non rinnegare i suoi valori. Ryan Gosling riesce a fare tesoro delle pochissime battute concesse dal regista e costruisce un personaggio intenso e tormentato. Rooney Mara è credibile nel suo ruolo di ragazza perduta, spudorata mentitrice e ribelle insoddisfatta. L’autore ha assoggettato le altre presenze del cast al ruolo di comparse funzionali alla sua teoria del sentimento. Natalie Portman, dolente e splendida, Cate Blanchett elegante e distaccata.
Numerosi cameo delle star del rock, da Iggy Pop ai Red Hot Chilli Peppers, tutti impacciati e intrappolati nelle parodie di loro stessi. A questa legge sfugge Patti Smith, che arriva come una stilettata, sincera e priva di filtri, indifferente alle pastoie di un regista drogato dal suo ego.
Ed è forse questo il limite più grande di Song to Song; una regia virtuosistica e compiaciuta che manca di una solida sceneggiatura. L’assenza quasi totale di dialoghi mascherata con lunghi primi piani e paesaggi maestosi. Avrebbe potuto essere un ottimo film, ma Malick ne ha tratto solo uno splendido spot di Dior.
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