zarar
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lunedì 11 dicembre 2017
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non si può vivere senza amore
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Opera in nero, per così dire. Immaginate una storia gelida e senza speranza, su di uno sfondo gelido e senza speranza. A Mosca Boris e Zhenya, in procinto di divorziare, carichi di rancori, frustrazioni e insofferenza reciproca, già legati a partner diversi altrettanto improbabili quanto quello che si lasciano alle spalle, già impegnati a vendere la casa comune, non sanno letteralmente che farsene del figlio dodicenne, mai desiderato, poco amato e ora decisamente di troppo. Metterlo in un istituto? Purtroppo il piccolo Alyosha vede, sente, tocca il diapason della tensione e della sofferenza e senza dir nulla semplicemente sparisce, proprio mentre i genitori sono fuori casa con gli amanti rispettivi.
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Opera in nero, per così dire. Immaginate una storia gelida e senza speranza, su di uno sfondo gelido e senza speranza. A Mosca Boris e Zhenya, in procinto di divorziare, carichi di rancori, frustrazioni e insofferenza reciproca, già legati a partner diversi altrettanto improbabili quanto quello che si lasciano alle spalle, già impegnati a vendere la casa comune, non sanno letteralmente che farsene del figlio dodicenne, mai desiderato, poco amato e ora decisamente di troppo. Metterlo in un istituto? Purtroppo il piccolo Alyosha vede, sente, tocca il diapason della tensione e della sofferenza e senza dir nulla semplicemente sparisce, proprio mentre i genitori sono fuori casa con gli amanti rispettivi. Segue una lunga, lenta, drammatica ricerca all’insegna dell’insofferenza prima, dell’ angoscia poi, che non serve a niente, neppure a trasformare i protagonisti in esseri umani. Intorno un ambiente in cui ad antiche miserie, ottusità e inefficienze è subentrata una macchina sociale che non trasmette partecipazione e calore, solo ben calibrata efficienza. I nostri protagonisti non hanno problemi economici; i poliziotti soffrono la consueta lentezza della burocrazia sotto tutti i cieli, ma non sono assenti, la squadra dei volontari che lavora strenuamente alle ricerche è decisamente attiva e ben organizzata. In che senso allora questo film senza lieto fine appare dichiaratamente come una metafora di un contesto sociale disgregato? Perché i protagonisti, che si sono lasciati alle spalle, ormai lontana, ma ancora bruciante, una storia di presunta felicità “collettiva”, di feroce responsabilità individuale, hanno un solo rabbioso obiettivo: niente regole, niente responsabilità, quel che conta è il raggiungimento della propria individuale esclusiva felicità a spese di tutto e di tutti, anche di un figlio. Tragicamente, individuano la felicità nella difesa di un benessere materiale fatto di consumismo, smartphone, centri estetici e centri commerciali, in nuovi amori narcisistici che devono metterli al centro della scena senza chiedere loro niente. Dietro l’angolo il mondo brucia? (il film è ambientato nel periodo del conflitto russo-ucraino): news televisive, non realtà sofferta. E con tutto ciò alla fin fine li attende l’apatia, il vuoto, l’infelicità di prima. Di fronte a questa rabbia senza uscita la tesi del film è che “senza amore non si può vivere”, come recita un personaggio tanto per dire qualcosa (ma invece è troppo vero, suggerisce il regista). “Amore” – dobbiamo pensare - ha qui un’accezione molto larga e molto dostoevskiana, che quegli zombi nevrotici non sono minimamente in grado di capire e di vivere. Appello esplicito e senza speranza ad un mondo più umano, il film, di taglio piuttosto tradizionale, trabocca anche a livello visivo di simbologie, ahimé un po’ scontate: gelidi paesaggi invernali, nudo cemento, grigi cieli oppressivi, desolati campi lunghi in cui le persone si perdono. E che dire di una scena finale in cui Zhenya, con un ‘Russia’ in lettere di scatola stampato sulla felpa, corre senza fare un passo su di un tapis roulant, come un criceto intorno alla sua ruota? Eppure il film ha un suo perché e una sua forza, sostenuto com’è da un’ottima prova degli attori protagonisti e da un buon dialogo.
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[+] l’abisso di un paese colto in un bisogno d’amore
(di antoniomontefalcone)
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vanessa zarastro
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venerdì 8 dicembre 2017
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“si stava meglio quando si stava peggio”
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La borghesia dei paesi nordici è spesso rappresentata in un modo spietato. Così in molti film di Susanne Bier (Dopo il matrimonio del 2006) in tanti di Bergman (Scene da un matrimonio del 1973) e in quelli Thomas Vinterberg (Festen - Festa in famiglia del 1998). Siamo a Mosca nel 2012. Genia e Boris sono una coppia sull’orlo del divorzio. Hanno un unico figlio dodicenne Alyosha, la cui nascita è stata il motivo principale del loro matrimonio. Un matrimonio senza amore così come ce ne sono stati tanti nelle generazioni precedenti ma come, sembra, continuino a esserci a tutt’oggi. All’epoca Genia voleva andar via dalla madre arcigna che non sopportava mentre Boris aveva bisogno di “metter su” famiglia.
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La borghesia dei paesi nordici è spesso rappresentata in un modo spietato. Così in molti film di Susanne Bier (Dopo il matrimonio del 2006) in tanti di Bergman (Scene da un matrimonio del 1973) e in quelli Thomas Vinterberg (Festen - Festa in famiglia del 1998). Siamo a Mosca nel 2012. Genia e Boris sono una coppia sull’orlo del divorzio. Hanno un unico figlio dodicenne Alyosha, la cui nascita è stata il motivo principale del loro matrimonio. Un matrimonio senza amore così come ce ne sono stati tanti nelle generazioni precedenti ma come, sembra, continuino a esserci a tutt’oggi. All’epoca Genia voleva andar via dalla madre arcigna che non sopportava mentre Boris aveva bisogno di “metter su” famiglia. Una sera durante un’ennesima discussione animata – entrambi hanno già i nuovi partner - i due litigano su chi deve prendersi il figlio perché in verità nessuno dei due lo vuole. Genia, in caso Boris non lo volesse con sé, tira fuori la soluzione dell’Istituto; lei vuole rifarsi una vita e non ci pensa affatto a portarsi dietro Alyosha, dichiarando che del resto è meglio che si abitui fin da subito alla disciplina dell’orfanotrofio, perché poi farà il servizio militare. Purtroppo Alyosha ha sentito tutto e piange disperatamente. Il giorno dopo scompare e per due giorni la madre neanche se ne accorge perché essendo tornata a casa la sera molto tardi, non ha neanche controllato se il figlio dormiva nella sua stanza. Quindi, tutto il film è la ricerca del ragazzo: la polizia inerme e burocratica non fa quasi nulla, anzi consiglia di rivolgersi ai volontari. Questi ben organizzati impostano un’accurata ricerca porta a porta, alla scuola interrogano il suo amichetto, frugano nel suo computer e nei social-network in cerca di un indizio. Appendono manifestini dappertutto: al centro commerciale, nelle stazioni, sui pali alle fermate degli autobus, nelle metropolitane. Mentre Boris cerca con loro, Genia prende contatto con tutti gli ospedali e va anche a controllare i bambini trovati in cattive condizioni oppure morti. Genia e Boris, consigliato dal coordinatore dei volontari, andranno insieme perfino dalla madre di lei, che vive fuori Mosca a due ore di auto, con la speranza che il figlio si sia rifugiato lì, ma senza esito.
Loveless fornisce un’occasione per guardare gli interni delle le case: quella della famiglia piccolo-medio borghese – lui è impiegato in un’azienda lei fa la contabile in un Salone di bellezza - che abita in un appartamento di un casermone, costruito forse con una prefabbricazione pesante, e quella di Anton, il ricco amante di Genia che ha sicuramente interpellato un architetto per l’arredamento. Ciò che mi ha colpito è che nonostante il clima rigido e la neve fuori in tutte queste case c’è un riscaldamento efficientissimo che permette i vari protagonisti – i due con i rispettivi amanti – a girare nudi e scalzi per tutta la casa.
In questo film non è solo la mancanza di amore - come recita il titolo - a far paura, ma è specialmente la fiera degli egoismi. Oltretutto Andrey Zvyagintsev, il regista, credo sia un po’ misogino perché le donne del film sono tutti personaggi tremendi, superficiali quando non anaffettivi. La maternità è raffigurata come una disgrazia (anche per i padri) e le mamme delle dure rompiscatole specialmente nei confronti delle figlie femmine, anche quella di che non approva la sua scelta.
Durezza, astio, anaffettività sono tutti gli elementi messi in scena, sbattuti in faccia allo spettatore, in modo quasi aggressivo. Per fortuna ci sono i volontari che mitigano questa visione negativa della società russa. Dal film si evince che il post-comunismo ha lasciato spazio a un individualismo esasperato e al consumismo – che non è neanche troppo sottolineato nel film. I ragazzi vanno a bighellonare ai centri commerciali come in tanti altri paesi occidentali.
Il film Loveless ha vinto, a mio avviso, meritatamente il premio della giuria di Cannes 2017.
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