fabiofeli
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venerdì 26 gennaio 2018
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la mariposa ardiente
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Alejandro è un adolescente che ,secondo i desideri dei genitori – l’uno commerciante, l’altra casalinga con la passione per la lirica –, dovrebbe diventare medico, destinato a una vita agiata con una professione onorata. Ma il ragazzo scopre di amare la Poesia. Finge di studiare biologia, mentre già compone i primi timidi tentativi poetici. Lavora come sorvegliante nel misero negozio di abbigliamento del padre, smascherando e picchiando i ladri. Siamo in un piccolo paese del Cile, nazione poverissima dopo la crisi economica del 1929, anno di nascita di Alejandro. Non è fortunato il ragazzo; il padre scopre in casa un libro di Garcia Lorca e getta il volume in terra tuonando: - Un “maricòn” (un omosessuale)! – , estendendo questa categorica opinione a tutti i poeti.
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Alejandro è un adolescente che ,secondo i desideri dei genitori – l’uno commerciante, l’altra casalinga con la passione per la lirica –, dovrebbe diventare medico, destinato a una vita agiata con una professione onorata. Ma il ragazzo scopre di amare la Poesia. Finge di studiare biologia, mentre già compone i primi timidi tentativi poetici. Lavora come sorvegliante nel misero negozio di abbigliamento del padre, smascherando e picchiando i ladri. Siamo in un piccolo paese del Cile, nazione poverissima dopo la crisi economica del 1929, anno di nascita di Alejandro. Non è fortunato il ragazzo; il padre scopre in casa un libro di Garcia Lorca e getta il volume in terra tuonando: - Un “maricòn” (un omosessuale)! – , estendendo questa categorica opinione a tutti i poeti. Gli altri familiari di Alejandro vedono i poeti come uomini spiantati, destinati a una vita di stenti. Quando la famiglia si trasferisce a Santiago, Alejandro (Adam Jodorowsky, uno dei figli del regista 88enne scelto nella parte di giovane alter-ego di se stesso) decide di uscire allo scoperto e recide i rapporti con i suoi. Frequenta circoli culturali popolati da poeti, pittori, nani, ballerine e artisti circensi; si lega alla sua musa, la poetessa Stella Diaz che disprezza Neruda; conosce altri poeti: Nicanor Parra, fratello della celebre cantante Violeta, ed Enrique Lihn. I tarocchi fatti per lui da Carolyn Carson parlano chiaro: la prima carta è il diavolo, ovvero la fatalità, il seguire il proprio destino. Non c’è dubbio: Alejandro seguirà il suo destino di sognatore di cose belle e di incubi, in un succedersi di scene barocche e surreali e nel 1953 parte per Parigi “per salvare il Surrealismo di Breton” …
Alejandro Jodorowsky racconta una parte della sua vita ripartendo dal suo ultimo film, La danza della realtà. E’ sempre quello de Il paese incantato, de El topo, de La montagna incantata: fantasioso iconoclasta di opinioni, credenze popolari e tabù; talora cialtronesco come la sua “psicomagia”, ma visionario. E’ senza dubbio anche un poeta che non si è arricchito, incarnando così la pessimistica previsione dei suoi parenti di una vita con ricorrenti difficoltà economiche. Il film si apre con una scena così violenta – un ladruncolo viene sbudellato e tanti bambini lo privano di scarpe e calze come piccoli topi su una carcassa - da risultare esagerata e ”falsa” come i fiori di sangue spray sulle pareti in Hana-Bi di Kitano, ma poi ne seguono di divertenti e belle. Citiamo quella della madre che si ostina a confezionare torte alla fragola per la nonna di Alejandro, che ha subito la sventura di un figlio morto soffocato da una fragola; quella dei due poeti che vanno verso la poesia superando tutti gli ostacoli tirando dritto per dritto; o quella carnevalesca, nella quale un corteo di rossi diavoli si unisce ad un corteo di scheletri bianchi e neri per sorreggere un Pierrot che si tramuta in farfalla splendente, la “mariposa ardiente” a lungo agognata. Ed infine quella dell’addio di Alejandro al padre umiliato con la rasatura dei capelli e costretto a baciarlo prima che il dondolante battello che va in Francia si stacchi dal molo del Nuovo Mondo diretto al Vecchio Mondo. Una pellicola da consigliare vivamente.
Valutazione *** e 1/2
FabioFeli
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michelino
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domenica 4 febbraio 2018
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michelino va al cinema
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Jodorowsky tra realtà e surrealismo ci racconta
del suo incontro con la poesia.
Naturalmente ce lo può raccontare solo in parte,
in quanto - come suggerisce il titolo del film - si
tratta di un incontro senza fine.
Man mano che invecchia il nostro Jodorowsky
acquista più leggerezza e sopratutto molto più
ironia.
In questo film il regista mi sembra voler ripercorrere
una strada narrativa che va un poco oltre il suo stile
consolidato,una strada narrativa che non disdegna
tracce di Fellini, tracce di Roy Andersson e tracce
che riportano a Neruda, inteso come il film del suo
connazionale Pablo Larrain.
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Jodorowsky tra realtà e surrealismo ci racconta
del suo incontro con la poesia.
Naturalmente ce lo può raccontare solo in parte,
in quanto - come suggerisce il titolo del film - si
tratta di un incontro senza fine.
Man mano che invecchia il nostro Jodorowsky
acquista più leggerezza e sopratutto molto più
ironia.
In questo film il regista mi sembra voler ripercorrere
una strada narrativa che va un poco oltre il suo stile
consolidato,una strada narrativa che non disdegna
tracce di Fellini, tracce di Roy Andersson e tracce
che riportano a Neruda, inteso come il film del suo
connazionale Pablo Larrain.
Pur con qualcosa di ridondante, in molte scene di
questo film Jodorowsky riesce a raggiungere la forza
e l'impatto emotivo delle sue opere migliori.
A volte il cinema è come una farfalla di pura luce.
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davide marino
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mercoledì 4 luglio 2018
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emozione e simbolo
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La follia è parte fondamentale della poesia. Jodorowsky ce lo dimostra profondamente in questo lungometraggio che sa trasportare, stupire, far ridere, emozionare. Una storia di vita trasposta in racconto onirico, una saggia miscela di sogno e realtà, sempre velata dal simbolo. Perché "Poesia senza fine" è un denso intrico di simboli, in cui ciascuno può ritrovarsi. La gioia di un uomo è la nostra gioia, la sofferenza di una donna è la nostra sofferenza. Il dubbio, lo smarrimento del cammino, la lotta interna tra il bene e il male, non sono quelli di Alejandro, ma quelli di tutti, di ognuno di noi. La poesia è al centro di tutto. La poesia come vita, la vita come poesia. Non un contorno, non una passione da coltivare, ma un modo di vedere il mondo con il quale si nasce, che è al tempo stesso dono e disgrazia.
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La follia è parte fondamentale della poesia. Jodorowsky ce lo dimostra profondamente in questo lungometraggio che sa trasportare, stupire, far ridere, emozionare. Una storia di vita trasposta in racconto onirico, una saggia miscela di sogno e realtà, sempre velata dal simbolo. Perché "Poesia senza fine" è un denso intrico di simboli, in cui ciascuno può ritrovarsi. La gioia di un uomo è la nostra gioia, la sofferenza di una donna è la nostra sofferenza. Il dubbio, lo smarrimento del cammino, la lotta interna tra il bene e il male, non sono quelli di Alejandro, ma quelli di tutti, di ognuno di noi. La poesia è al centro di tutto. La poesia come vita, la vita come poesia. Non un contorno, non una passione da coltivare, ma un modo di vedere il mondo con il quale si nasce, che è al tempo stesso dono e disgrazia. Molteplici i temi affrontato in questa pellicola, sempre ricorrendo al simbolo e usando lo scudo magico della poesia. Il sesso, le pulsioni umane, i profondi meandri della psiche, il senso della vita, i conflitti genitoriali, la paura di essere senza un posto e senza un futuro, la consapevolezza di volerne costruire uno vivido, pulsante, infiammato dal male di vivere e dall'amore per la vita. Il tutto trattato da Jodorowsky senza tabù, senza paura di guardare realmente dentro se stesso e non trovare nulla di ciò che ci si aspetterebbe. Il nudo, smaliziato nel film, non risulta mai fuori luogo, sempre intimamente collegato a riflessioni profonde, usato anch'esso come simbolo, per la sua immediatezza comunicativa. La sensazione di estraniamento che pervade la storia, voluta e ricercata, è perfettamente ricreata tramite il ricorso all'assurdo, la creazione di quadri metafisici senza tempo né spazio. Molti personaggi non sono altro che maschere, e addirittura le indossano, altri sono topos dell'umanità, altri ancora intensamente caratterizzati. Durante le due ore di visione si dispiega davanti a noi il subconscio dell'autore, nudo, sincero, senza barriere. E così la visione diventa un viaggio che, col pretesto di indagare nelle profondità autobiografiche di un uomo, ci spinge a guardare nelle nostre, a metterci in gioco e in pericolo. Ecco perché risulta impossibile e anche inutile ricercare un filo conduttore, un senso alla storia raccontata. Ciascuno può mettere nei simboli usati da Jodorowsky ciò che trova dentro di sè e ogni interpretazione è la più corretta, ogni immagine racconta mille storie al punto che in una stessa sala 100 persone avranno visto 100 diversi film e nessuno saprà dire che cosa volessero comunicare. Perché la poesia può comunicare ogni cosa o nessuna e questo è il suo compito. Gli elementi autobiografici scemano sullo sfondo e in primo piano restano emozioni, fulminei pensieri, personali epifanie. Non andate a vedere questo film se temete il vuoto o la pienezza, né se non vi considerate immuni dal fascino di una vita dedicata esclusivamente alla poesia, in senso lato. Diversamente, prima di entrare in sala, avvertite il vostro capo in ufficio che l'indomani non andrete a lavoro. E che potreste non tornarci mai più.
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dandy
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lunedì 18 febbraio 2019
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el nino creciò....
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Seconda parte di una prevista pentalogia autobiografica iniziata con "La danza della realtà".Jodorowski,interpretato in tenera età sempre da Herskovitz e da adulto dal figlio Adan(somigliantissimo al padre),riduce le proprie apparizioni e rende più intensa la sincerità e il coinvolgimento.In questo episodio il giovane Jodo trova la forza di ribellarsi al padre e alla famiglia in generale(la recisione simbolica e letterale con le radici ebraiche),scopre la sessualità(ripudiando quella verso gli uomini)e prende coscienza della propria natura di poeta,e del tracollo del proprio paese(nel prefinale inizia il regime di Ibanez del Campo,acclamato ciecamente dalla massa di maschere attonite e ceche ad ogni altra cosa).
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Seconda parte di una prevista pentalogia autobiografica iniziata con "La danza della realtà".Jodorowski,interpretato in tenera età sempre da Herskovitz e da adulto dal figlio Adan(somigliantissimo al padre),riduce le proprie apparizioni e rende più intensa la sincerità e il coinvolgimento.In questo episodio il giovane Jodo trova la forza di ribellarsi al padre e alla famiglia in generale(la recisione simbolica e letterale con le radici ebraiche),scopre la sessualità(ripudiando quella verso gli uomini)e prende coscienza della propria natura di poeta,e del tracollo del proprio paese(nel prefinale inizia il regime di Ibanez del Campo,acclamato ciecamente dalla massa di maschere attonite e ceche ad ogni altra cosa).Come sempre,il mix di bizzarrie,surrealismo,provocazioni(l'amplesso con la nana,le varie apparizioni falliche),poesia e rimandi cinefili(Fellini in testa) è discontinuo.Se certe idee innovative e scandalose ieri risultano datate oggi,certi sprazzi visionari riescono ancora a colpire(il carnevale con scheletri e diavoli,la testa del padre che tormenta il protagonista mentre legge le poesie)e ci sono anche momenti commoventi(l'uomo mutilato che chiede abbracci per la sua donna,il confronto col padre nel finale).Ottimo come sempre l'uso del digitale,limitato e "povero".Raffinata fotografia di Christopher Doyle.Carolyn Carlson,è la lettrice di tarocchi.
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