lbavassano
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domenica 25 settembre 2016
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obiettivo, alto, pienamente centrato
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Punta molto in alto l'ultimo film di Ozon, con scelte stilistiche e narrative che mi hanno ricordato innanzitutto Truffaut, i suoi amori folli ed impossibili, ma anche Hitchcock ("La donna che visse due volte", specificamente per le scene al museo e le atmosfere sonore, ma non solo), ed ancora Haneke, in certi primi piani implacabilmente fissati dal rigore del bianco e nero ("Il nastro bianco"). Punta molto in alto uscendo dalla dimensione esclusivamente privata e dalle tempeste in un bicchier d'acqua di troppi suoi film (ma forse sarebbe più appropriato parlare di tempeste in un calice di champagne, considerato lo status sociale usualmente privilegiato dal regista.
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Punta molto in alto l'ultimo film di Ozon, con scelte stilistiche e narrative che mi hanno ricordato innanzitutto Truffaut, i suoi amori folli ed impossibili, ma anche Hitchcock ("La donna che visse due volte", specificamente per le scene al museo e le atmosfere sonore, ma non solo), ed ancora Haneke, in certi primi piani implacabilmente fissati dal rigore del bianco e nero ("Il nastro bianco"). Punta molto in alto uscendo dalla dimensione esclusivamente privata e dalle tempeste in un bicchier d'acqua di troppi suoi film (ma forse sarebbe più appropriato parlare di tempeste in un calice di champagne, considerato lo status sociale usualmente privilegiato dal regista. Il calice di champagne compare anche in questo film, nel finale, ma quanto mai amaro), uscendo da tutto ciò per parlarci delle ferite inguaribili della guerra, della necessità di sanarle tramite una autentica assunzione di responsabilità, capovolgendo i fronti, tramite un atto di perdono e gratuito di amore, per parlarci delle verità intollerabili e delle pietose, umanamente pietose, necessarie, menzogne, di rapporti intrinsecamente ambigui trattati con la giusta dose di reticenza ed alieni da qualsiasi forma di morbosità. Punta molto in alto e centra appieno il proprio obiettivo.
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vanessa zarastro
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sabato 8 ottobre 2016
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approfondire particolarmente la fotografia perché
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Frantz è un bel film, apparentemente delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.
Siamo agli inizi degli anni ‘20 in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero su una tomba “simbolica” perché il corpo di Frantz non è stato ritrovato.
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Frantz è un bel film, apparentemente delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.
Siamo agli inizi degli anni ‘20 in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero su una tomba “simbolica” perché il corpo di Frantz non è stato ritrovato.
Un certo giorno arriva lì Adrien (un intenso Pierre Niney), un giovane francese anche lui venuto a portare i fiori sulla tomba di Frantz. Si presenta agli Hoffmeisters come amico di Franz e, dopo le prime reticenze specie del vecchio padre antifrancese, conquista i membri della famiglia raccontando varie storie del tempo passato con Frantz a Parigi (lì Franz aveva studiato), dai quadri di Manet, ai caffè, alle visite al Louvre e alle lezioni di violino.
I genitori trovano un momento di conforto del loro dolore sentendo i vari racconti e immaginando un figlio felice nel periodo antecedente la guerra. In Anna spunta un nuovo sentimento, questo giovane delicato, timido e sensibile, le ridà in qualche modo il desiderio di ricominciare a vivere.
Adrien però nasconde un segreto che la sera prima di ripartire rivela ad Anna: è lui che ha ucciso Frantz entrambi caduti in una trincea, uno di fronte all’altro con i fucili in mano. Ma solo Adrien ha sparato. I sensi di colpa hanno distrutto la vita di Adrien che ha lasciato l’orchestra dell’Opera di Parigi (era il primo violinista) e non trova pace. Era venuto in Germania per chiedere perdono ai genitori di Frantz poi non ha avuto il coraggio di confessare. Buttando fuori le sue angosce su Anna, lui in qualche modo si libera ma le trasmette a lei che si rinchiuderà di nuovo nell’infelicità senza il coraggio di rivelare questo terribile segreto agli Hoffmeister.
Dopo qualche mese di bugie, di omissioni, di non-detti, sarà alla fine lei che troverà la forza, stavolta, di andare a Parigi alla ricerca di Adrien che, nel frattempo, ha cambiato indirizzo senza comunicarlo. La coraggiosa Anna, dopo persistenti indagini, riuscirà a rintraccarlo nel suo castello a Saulieu nella Côte-d’Or in Borgogna. Troverà un giovane ricco, di buone maniere, viziato dalla madre e coccolato dalla fidanzata – ebbene si ha una fidanzata! – e capirà che Adrien ha un unico interesse, diventato un’ossessione, quello di sentirsi perdonato dalla famiglia di Frantz. In tal modo, con la sua aggraziata vigliaccheria, Adrien ferisce per l’ennesima volta la dolce Anna che aveva preso il coraggio di viaggiare da sola, solo per rivederlo e stare con lui.
Ah questi uomini egocentrici che non vedono e non si accorgono di null’altro che non sia il proprio problema! Perfino quelli più umani e sensibili!
Per fortuna il finale fa sperare in un’emancipazione della protagonista. Ancora una volta Anna troverà l’energia per restare da sola a Parigi e tagliando, apparentemente i ponti con il passato, andrà a visitare il Louvre a cercare quei quadri che Adrien aveva raccontato come i preferiti di Fritz, ma passo dopo passo però sarà lei a scegliersi i suoi quadri preferiti. «Questo quadro mi dà voglia di vivere» dirà Anna a proposito di “Le suicidé” di Manet. In tutto il film, l’arte – in particolare la pittura e la musica - giocherà un importante ruolo consolatorio delle anime.
Ozon ha girato il film in bianco e nero, solo nei sogni e nel finale trasforma l’immagine in figura cromatica. Le prime inquadrature della cittadina tedesca con i suoi vicoli e le sue donne mi hanno evocato le fotografie di Parigi di Eugène Atget scattate all’inizio del ‘900 per fornire a pittori e architetti le documentazioni di base di cui avevano bisogno.
François Ozon imprime al suo film un tocco omoerotico così come lui sa fare (ricordate Una nuova amica?), che rimane sempre come un velo ambiguo.
Fritz è un adattamento di una pièce del 1925 scritta da Maurice Rostand già portata sullo schermo da Ernst Lubitsch in L’uomo che ho ucciso nel 1932. Gli attori sono molto bravi, infatti, Paula Beer ha ricevuto il premio Mastroianni come attrice emergente a venezia dove il film era in concorso mentre Pierre Niney aveva ottenuto il premio César per l’interpretazione di Yves Saint Laurent.
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giulio n.
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martedì 6 dicembre 2016
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in risposta a aldo marchioni
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Il cinema postmoderno è interamente stipato di citazioni ed intriso di elementi del passato. Come hai giustamente scritto, Caro Aldo, Il Cielo sopra Berlino di Wenders ne è un valido esempio ma ne potremmo fare altri anche più vecchi, solo per dirne due: Il mago di Oz di Victor Fleming del 1939 e Scala al paradiso di Michael Powell e Emeric Pressburger del 1946 (al quale lo stesso Wenders per il film sopracitato si è molto ispirato). Sono d'accordo quando dici che ci sono dei “Maestri” che inventano tecniche a cui altri si ispirano, l'intero Manierismo italiano riprendeva e si rifaceva a tecniche ed elementi cari ai grandi artisti del passato.
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Il cinema postmoderno è interamente stipato di citazioni ed intriso di elementi del passato. Come hai giustamente scritto, Caro Aldo, Il Cielo sopra Berlino di Wenders ne è un valido esempio ma ne potremmo fare altri anche più vecchi, solo per dirne due: Il mago di Oz di Victor Fleming del 1939 e Scala al paradiso di Michael Powell e Emeric Pressburger del 1946 (al quale lo stesso Wenders per il film sopracitato si è molto ispirato). Sono d'accordo quando dici che ci sono dei “Maestri” che inventano tecniche a cui altri si ispirano, l'intero Manierismo italiano riprendeva e si rifaceva a tecniche ed elementi cari ai grandi artisti del passato. Detto questo, come ho già scritto nella mia recensione, ho visto il lungometraggio di Ozon come un film piuttosto mediocre, dove l'unico elemento veramente interessante e capace di stupire lo spettatore è l'uso del colore, ma dato che neanche questo elemento è frutto di una rielaborazione registica originale non reputo il suo lavoro degno di loda. Un conto è fare un film riutilizzando tecniche ed elementi già sperimentati da altri e tramite una rielaborazione personale farli riemergere in modo innovativo. Un altro è prenderli come sono e adattarli ad un nuovo lavoro. Pontormo e Rosso Fiorentino sono tra gli artisti manieristi più influenti non perché il loro stile pittorico copiava Michelangelo, Leonardo Da Vinci o Perugino ma proprio perché tramite lo studio delle tecniche utilizzate da questi “Maestri” essi facevano emergere la loro originalità.
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francesco2
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mercoledì 15 marzo 2017
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per un amico in più
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Ozon è tornato, a dirla male, sul tema del doppio (cos'è, poi?) A dirla, speriamo, meglio,
concentra la propria attenzione sulla coesistenza di due livelli di lettura: quello tra finzione
e realtà era già stato esplorato in "Swimming Pool", ma ha trovato un compimento
definitivo nel bellissimo "Nella casa". Ma, pensandoci bene, questi erano tentativi più
espliciti -sic-, : in "Giovane e bella", per esempio, -la ragazza recitava un ruolo un poco di
fronte a tutti, forse persino nei confronti di sé stessa.
Senza svelare troppo su questo ultimo lavoro, "chi mente a chi",è tutt'altro che una
domanda oziosa.
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Ozon è tornato, a dirla male, sul tema del doppio (cos'è, poi?) A dirla, speriamo, meglio,
concentra la propria attenzione sulla coesistenza di due livelli di lettura: quello tra finzione
e realtà era già stato esplorato in "Swimming Pool", ma ha trovato un compimento
definitivo nel bellissimo "Nella casa". Ma, pensandoci bene, questi erano tentativi più
espliciti -sic-, : in "Giovane e bella", per esempio, -la ragazza recitava un ruolo un poco di
fronte a tutti, forse persino nei confronti di sé stessa.
Senza svelare troppo su questo ultimo lavoro, "chi mente a chi",è tutt'altro che una
domanda oziosa. Alcuni lo fanni, esplicitamente, nel ricostruire quanto avvenuto, o
perlomeno accettano le ricostruzioni sbagliate di qualcuno; altri rischiano di ingannare
loro stessi -ed allora, anche se in un contesto molto diverso, il personaggio interpretato
dalla Beer si e ci interroga proprio come la "prostituta" del film che ho citato. Il suo è un
viaggio alla ricerca della verità ma forse anche di sé stessa, che dovrebbe forse svelarle i suoi
sentimenti nei confronti dei protagonisti maschili.
Ma è un esempio, se lo è, di perizia puramente calligrafica, lontano dal rigore di un
Kieszlowski ed, al contempo, dalla magia e profondità dell"Amore molesto". E', questa, una
delle motivazioni per cui non mi accodo totalmente all'entusiasmo suscitato spesso dal film,
che già all'inizio aveva costruito per un nucleo familiare nient'affatto provocatorio, al
punto che la vera identità dell'"amico di Franz" non verrà rivelata per non spezzare -sia
detto senza nessuna ironia- l'idillio che si era creato.
La scena finale esplicita -ma non cosi tanto- , ancora, il tema della "duplicità" in questo
presunto gioiellino. Adrien, per Anna, rischia di condensare al contempo odio ed amore,
come anche di essere "realtà" e proiezione di un sogno ormai infranto.
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domenico astuti
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martedì 11 ottobre 2016
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un remake che merita
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Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali.
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Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali. Per quantità di interessi e per una certa visione del mondo fa venire in mente vagamente il grande regista tedesco Fassbinder da cui ha tratto dal testo teatrale Tropfen auf heisse Steine il film Gocce d’acqua su pietre roventi ( 1999 ); ma il confronto si ferma qui in quanto il punto di vista è più razionale e culturalmente francese, mentre l’esplorazione del desiderio è più mediatica e borghese.
Pur confezionando sempre dei film interessanti, però François Ozon non riesce a realizzare delle opere di grande respiro, da autore fondamentale, probabilmente perché, per il suo cinema, la forma è sempre tutto e lo stile rischia di creare una struttura complessa ma in fondo un po’ vuota. Oppure è per una certa vena patinata, per un effetto glamour o perché l’eros è troppo conciliato col thanatos seppur con qualche insidia, sempre comunque in un’atmosfera ovattata e armonizzata. Anche questo Frantz è tratto da una pièce teatrale, L’Homme que j’ai tué di Maurice Rostand e già utilizzata dal maestro Lubitsch per il film Broken Lullaby ( 1932 ), uno dei suoi film meno conosciuti. E Ozon sceglie per la prima volta il bianco e nero per dare concretezza e atmosfera a uno sfondo che però nella seconda parte non ha la drammaticità dei disastri del post guerra.
Un buon film, si potrebbe dire senza tempo, pudico e trattenuto, in cui si affrontano – ma sempre restando un po’ in superficie – parecchi temi come un possibile amore tra due ‘ nemici ‘ ( potrebbero essere un israeliano e una palestinese o un pachistano e un’indiana ), la questione politica di una fratellanza impossibile, la difficoltà per tutti di superare un odio indotto, la difficoltà del senso di colpa, di riuscire a rielaborare il lutto, la necessità di perdonare e andare avanti, il modo di affrontare la verità e la necessità di dire qualche bugia, accettare che chi è morto non era perfetto ma a volte banale come tutti. Ma sembra che in fondo per Ozon, tutto si giochi su un altro piano, la distanza tra la materia vera dei sentimenti e la difficoltà di esprimerli. Se nella prima parte il regista riesce a raccontare con una certa efficacia una microsocietà ancora incapace di accettare la sconfitta e quindi di lasciare spazio alla parte più nera della coscienza di un popolo, nella seconda parte, la realtà francese emerge solo con una scena un po’ a effetto, quando in un ristorante di Parigi gran parte dei clienti cantano La Marsigliese, e questo ci sembra veramente un po’ poco.
Un buon cast su cui emerge la protagonista tedesca Paula Beer. Adrien, Pierre Niney ( visto ne Le nevi del Kilimangiaro e Yves Saint Laurent ) è un po’ troppo stereotipato nel suo ruolo e nel suo aspetto da romantico e delicato personaggio da film degli Anni Venti.
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[+] bella critica
(di ralphscott)
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alirusso
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sabato 5 novembre 2016
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non gradito
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Io non consiglio questo film innanzitutto per il motivo della riproduzione in bianco e nero, solo pochissime scene sono state girate a colori . La storia è molto complessa e in certi punti anche noiosa . Per esperienza personale sconsiglio vivamente questo film al pubblico più giovane, poiché i miei due figli, già abituati a film abbastanza complessi si sono parecchio annoiati . Un altro motivo per cui sconsiglio la visione di questo film è il frequente cambio di lingua che mi ha confuso notevolmente . Inoltre gli attori sono di capacità mediocre e secondo me non sono stati in grado di ricoprire il ruolo del personaggio che dovevano rappresentare. Il film è anche stato eccessivamente lungo e pesante.
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Io non consiglio questo film innanzitutto per il motivo della riproduzione in bianco e nero, solo pochissime scene sono state girate a colori . La storia è molto complessa e in certi punti anche noiosa . Per esperienza personale sconsiglio vivamente questo film al pubblico più giovane, poiché i miei due figli, già abituati a film abbastanza complessi si sono parecchio annoiati . Un altro motivo per cui sconsiglio la visione di questo film è il frequente cambio di lingua che mi ha confuso notevolmente . Inoltre gli attori sono di capacità mediocre e secondo me non sono stati in grado di ricoprire il ruolo del personaggio che dovevano rappresentare. Il film è anche stato eccessivamente lungo e pesante. Senza la presenza di suoni di sottofondo ogni minuscolo rumore si riusciva a percepire e provocava sgradite lamentele sopratutto dal pubblico più anziano che secondo me non ha più l età per andare al cinema. Sconsiglio vivamente questo film a tutto il pubblico italiano . Il regista poteva alleggerire un po la storia con delle scene non dico comiche, ma solamente un po ironiche .
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gpistoia39
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sabato 1 ottobre 2016
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a volte meglio la menzogna
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Un film quasi struggente e intrigante, molto bello che non lascia spazio al sentimentalismo o al lieto fine. Così è proprio come nella vita, non tutto ciò che vogliamo o desideriamo si avvera.
La tristezza per Anna resta tale, Adrien ha già trovato una soluzione alla sua vita: bella residenza, madre ricca, fidanzata che lo accetta. Lui aveva solo bisogno di scaricare un po' di senso di colpa, e lo vuol fare proprio mettendo addosso ai genitori di Franz ulteriore angoscia, l'angoscia della certezza del come e dove e per mano di chi il loro figlio è morto. Ha ragione Anna ad impedire che Adrien racconti tutto ai genitori di Franz, meglio la menzogna, la millantata amicizia parigina prima della guerra.
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Un film quasi struggente e intrigante, molto bello che non lascia spazio al sentimentalismo o al lieto fine. Così è proprio come nella vita, non tutto ciò che vogliamo o desideriamo si avvera.
La tristezza per Anna resta tale, Adrien ha già trovato una soluzione alla sua vita: bella residenza, madre ricca, fidanzata che lo accetta. Lui aveva solo bisogno di scaricare un po' di senso di colpa, e lo vuol fare proprio mettendo addosso ai genitori di Franz ulteriore angoscia, l'angoscia della certezza del come e dove e per mano di chi il loro figlio è morto. Ha ragione Anna ad impedire che Adrien racconti tutto ai genitori di Franz, meglio la menzogna, la millantata amicizia parigina prima della guerra.
Anna resterà dunque a Parigi a vivere come una sbandata, o tornerà a casa dai suoi suoceri che ormai lei considera come suoi genitori? Questo Ozen non ce lo dice, e la storia per noi spettatori giustamente non ha un finale.
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flyanto
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lunedì 26 settembre 2016
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un'assenza sempre presente
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Francois Ozon ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche con "Frantz", una pellicola la cui storia si svolge agli inizi del XX secolo e, precisamente nel 1919, appena terminata la Prima Guerra Mondiale. Frantz è il nome del giovane soldato tedesco ucciso nel corso del conflitto dai francesi e nel cui ricordo ormai vivono sia i genitori che la giovane ragazza sua promessa sposa. Questa, rimasta al mondo senza più alcun legame affettivo, in pratica stata è stata "adottata" come una figlia dai suoi mancati suoceri e tutti i giorni si reca sulla tomba del defunto sposo a portargli dei fiori. Qui, nel corso delle giornate, ella incontra un giovane francese che parrebbe aver conosciuto il suddetto Frantz in vita e che anch'egli ormai vive nel dolore e nel ricordo dell'amico scomparso tragicamente.
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Francois Ozon ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche con "Frantz", una pellicola la cui storia si svolge agli inizi del XX secolo e, precisamente nel 1919, appena terminata la Prima Guerra Mondiale. Frantz è il nome del giovane soldato tedesco ucciso nel corso del conflitto dai francesi e nel cui ricordo ormai vivono sia i genitori che la giovane ragazza sua promessa sposa. Questa, rimasta al mondo senza più alcun legame affettivo, in pratica stata è stata "adottata" come una figlia dai suoi mancati suoceri e tutti i giorni si reca sulla tomba del defunto sposo a portargli dei fiori. Qui, nel corso delle giornate, ella incontra un giovane francese che parrebbe aver conosciuto il suddetto Frantz in vita e che anch'egli ormai vive nel dolore e nel ricordo dell'amico scomparso tragicamente. Tra i due giovani, nonostante l' ostilità di tutto il paese che vede il ragazzo come un nemico in quanto, appunto, francese, si sviluppa ed accresce una sorta di intesa e reciproca simpatia, peraltro sostenuta e provata anche dagli anziani genitori dello stesso Frantz. Man mano che passerà il tempo la verità che si nasconde dietro la presenza del giovane francese verrà a galla, determinando l'avverarsi di nuovi eventi .....
La vicenda di "Frantz" che il regista Ozon porta sullo schermo è una vicenda retrò, sia nel contesto che nell'ambientazione, e pertanto un poco differente da quelle presentate nelle sue ultime opere cinematografiche collocate invece nell'epoca contemporanea e trattanti relazioni affettive/sentimentali all'insegna di una certa "ambiguità". In realtà, però, anche in "Frantz" Ozon affronta la tematica dei legami e delle relazioni sentimentali ma, appunto, in una maniera del tutto nuova ponendo come presenza costante (e determinante ai fini della storia riguardante i vari personaggi sopravvissuti) la figura del tutto assente del defunto soldato Frantz. Pertanto, assurdamente, il vero protagonista del film, in realtà, si rivela essere proprio lui sebbene riviva sulle scene solo nei flash back riportanti i ricordi dei protagonisti, ma come se fosse ancora vivo e ben saldo in quest' ultimi e determinando così tutti i rapporti nascenti tra loro e la possibilità di un futuro, forse, più roseo.
Ozon dirige la sua pellicola in maniera perfetta e, come sempre, da maestro quale è cosìcchè quello che poteva sfociare come un film di maniera e fine a se stesso, riesce qui ad emergere e a distinguersi dalla banalità e dallo scontato, divenendo un'opera ben costruita, originale e dove trionfano le immagini all'insegna di un' estetica perfetta ed i dialoghi ben equilibrati. Inoltre, l'emergere nel corso della storia della verità nascosta accresce notevolmente l'interesse dello spettatore per l' intera vicenda e per il suo finale e contribuendo così a renderla efficace nonchè valida. Interessante, inoltre, è come Ozon, per dare probabilmente maggiore credibilità alla storia, quasi fosse un reale documento storico dell'epoca, abbia girato il film tutto in bianco e nero, salvo poche scene tinte di un pallido colore al fine di testimoniare, in un contesto ormai solo di morte e distruzione, il trionfo delle passioni, dei momenti felici e pertanto della rinascita alla vita.
Ottimo film consigliabile a chi apprezza soprattutto la buona regia e poi le storie intimistiche e fatte di piccoli dettagli. Un vero gioiello.
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jack38
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sabato 1 ottobre 2016
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ondeggia tra bugie e perdono
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Saranno contenti i sostenitori del perdono da una parte e delle bugie a fin di bene dall'altra. Il film è un'alternanza tra le contraddizioni dell'essere umano, la cui moralità è sorretta da un sottile equilibrio pronto a spezzarsi quando la realtà dei sentimenti e della quotidianeità prende il sopravvento. L'uomo che tende a serbare rancore nei confronti dei nemici è pronto ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni quando l'analisi diventa cruda e nuda. Tende a dimenticare il dolore e a voltare pagina, anzi a costruire la prorpia serenità nel percorso di superamento della sofferenza. Il film di Ozon stimola la riflessione dello spettatore e in fondo lascia un messaggio di speranza, fratellanza, di buoni sentimenti.
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Saranno contenti i sostenitori del perdono da una parte e delle bugie a fin di bene dall'altra. Il film è un'alternanza tra le contraddizioni dell'essere umano, la cui moralità è sorretta da un sottile equilibrio pronto a spezzarsi quando la realtà dei sentimenti e della quotidianeità prende il sopravvento. L'uomo che tende a serbare rancore nei confronti dei nemici è pronto ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni quando l'analisi diventa cruda e nuda. Tende a dimenticare il dolore e a voltare pagina, anzi a costruire la prorpia serenità nel percorso di superamento della sofferenza. Il film di Ozon stimola la riflessione dello spettatore e in fondo lascia un messaggio di speranza, fratellanza, di buoni sentimenti. La trama, ed è un limite, è persino banale. Si intuisce subito chi sia il ragazzo che posa i fiori sulla tomba, se ne prevede cosa possa rappresentare nel seguito per lei. Per fortuna l'epilogo è meno scontato. La banalità compare anche nel modo di affrontare il tema della guerra, che appare peraltro secondario e di sfondo. A parte alcune fasi e alcune battute singole, il film non riesce a stimolare un'adeguata riflessione sul conflitto bellico, se non nella considerazione negativa. Tuttavia il film è fatto molto bene, l'intensità è mantenuta per tutto l'arco del film anche se in alcuni momenti annoia. La scelta del bianco e nero intona con la drammaticità, mentre la presenza di fasi a colori è coerente col messagio di speranza e di felicità nel superamento del dolore. Permane un'insopportabile nazionalismo di troppo che sfocia nell'inno francese cantato a squarciagola come simbolo di superiorità e nella presenza del Louvre che appare più come promozione turistica che come elemento integrante del film pur contenendo un quadro che funge da legame coi protagonisti del film. Nel complesso un buon film da vedere dal contenuto apprezzabile.
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domenico astuti
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martedì 27 settembre 2016
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un film delicato e accurato ma non un capolavoro
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Abbiamo visto “ Frantz “ regia di François Ozon.
Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali.
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Abbiamo visto “ Frantz “ regia di François Ozon.
Regista non ancora cinquantenne e assai prolifico con i suoi quindici tra corti e mediometraggi e ben sedici film all’attivo. Nella sua ricerca di temi e di stili è passato dalla Trilogia del Lutto a vari generi cinematografici come il grottesco, la commedia, il giallo, il musical fino al melodramma; passando dall’ambientazione da inizi Novecento, agli Anni Settanta, all’attualità. Scrivendo sceneggiature originali ma anche traendo da romanzi e pièce teatrali i suoi script. Bisogna dire che è un regista apprezzabile per bisogno di ricerca, che spazia i suoi interessi e curiosità da storie di bambini che osservano gli adulti a quelle di fragili identità sessuali, dall’amore dichiarato a quello equivoco, da storie di donne incinte a ragazze che si prostituiscono, a fatti criminali. Per quantità di interessi e per una certa visione del mondo fa venire in mente vagamente il grande regista tedesco Fassbinder da cui ha tratto dal testo teatrale Tropfen auf heisse Steine il film Gocce d’acqua su pietre roventi ( 1999 ); ma il confronto si ferma qui in quanto il punto di vista è più razionale e culturalmente francese, mentre l’esplorazione del desiderio è più mediatica e borghese.
Pur confezionando sempre dei film interessanti, però François Ozon non riesce a realizzare delle opere di grande respiro, da autore fondamentale, probabilmente perché, per il suo cinema, la forma è sempre tutto e lo stile rischia di creare una struttura complessa ma in fondo un po’ vuota. Oppure è per una certa vena patinata, per un effetto glamour o perché l’eros è troppo conciliato col thanatos seppur con qualche insidia, sempre comunque in un’atmosfera ovattata e armonizzata. Anche questo Frantz è tratto da una pièce teatrale, L’Homme que j’ai tué di Maurice Rostand e già utilizzata dal maestro Lubitsch per il film Broken Lullaby ( 1932 ), uno dei suoi film meno conosciuti. E Ozon sceglie per la prima volta il bianco e nero per dare concretezza e atmosfera a uno sfondo che però nella seconda parte non ha la drammaticità dei disastri del post guerra.
Un buon film, si potrebbe dire senza tempo, pudico e trattenuto, in cui si affrontano – ma sempre restando un po’ in superficie – parecchi temi come un possibile amore tra due ‘ nemici ‘ ( potrebbero essere un israeliano e una palestinese o un pachistano e un’indiana ), la questione politica di una fratellanza impossibile, la difficoltà per tutti di superare un odio indotto, la difficoltà del senso di colpa, di riuscire a rielaborare il lutto, la necessità di perdonare e andare avanti, il modo di affrontare la verità e la necessità di dire qualche bugia, accettare che chi è morto non era perfetto ma a volte banale come tutti. Ma sembra che in fondo per Ozon, tutto si giochi su un altro piano, la distanza tra la materia vera dei sentimenti e la difficoltà di esprimerli. Se nella prima parte il regista riesce a raccontare con una certa efficacia una microsocietà ancora incapace di accettare la sconfitta e quindi di lasciare spazio alla parte più nera della coscienza di un popolo, nella seconda parte, la realtà francese emerge solo con una scena un po’ a effetto, quando in un ristorante di Parigi gran parte dei clienti cantano La Marsigliese, e questo ci sembra veramente un po’ poco.
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