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carloalberto
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sabato 15 agosto 2020
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western moraleggiante
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Deserto australiano, terra rossa e polvere, una striscia d’asfalto punteggiata da stazioni di servizio simili a fortini e bordelli improbabili, rombi di motori e auto che si inseguono. La scena è incentrata sull’eroe, ogni suo gesto, ogni piccola smorfia o ghigno è catturato dalla cinepresa. Tutt’intorno domina la desolazione del paesaggio, fondale inerte. Il senso di vuoto interiore si proietta metaforicamente negli spazi infiniti senza orizzonte. Dopo il crollo della convivenza cosiddetta civile, caduto il diaframma degli ipocriti convenevoli, gli uomini dialogano con i fucili in una, ormai esplicita, guerra di tutti contro tutti. Una macchina rubata giustifica l’omicidio, forse la strage, se trasfigurata in un sacrario dove riposa l’ultimo essere degno di venerazione.
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Deserto australiano, terra rossa e polvere, una striscia d’asfalto punteggiata da stazioni di servizio simili a fortini e bordelli improbabili, rombi di motori e auto che si inseguono. La scena è incentrata sull’eroe, ogni suo gesto, ogni piccola smorfia o ghigno è catturato dalla cinepresa. Tutt’intorno domina la desolazione del paesaggio, fondale inerte. Il senso di vuoto interiore si proietta metaforicamente negli spazi infiniti senza orizzonte. Dopo il crollo della convivenza cosiddetta civile, caduto il diaframma degli ipocriti convenevoli, gli uomini dialogano con i fucili in una, ormai esplicita, guerra di tutti contro tutti. Una macchina rubata giustifica l’omicidio, forse la strage, se trasfigurata in un sacrario dove riposa l’ultimo essere degno di venerazione. Come nel vecchio west, chi ruba un cavallo merita la forca. La sopravvivenza dei sentimenti si nutre del poco rimasto incontaminato, ritorna alla fonte, rintraccia una visione originaria dell’empatia, nata nella notte dei tempi come impulso enigmatico a proteggere le creature indifese, il cane, il ragazzo. Gli esordi dell’umanità.
Il film è un western rivisitato in chiave post apocalittica con tutti gli stereotipi del genere, il pistolero senza cuore, taciturno e solitario, con un passato misterioso, interpretato dal laconico Guy Pearce, il crudele reverendo di Brimstone, dal volto espressivo alla Clint Eastwood, il giovane emulo, senza famiglia, che ne ammira il coraggio, la risolutezza, l’abilità nel maneggiare la pistola, l’amicizia impossibile tra i due, i cattivi che rubano il cavallo dell’eroe sottovalutandone la volontà di rivalsa, la difesa dei più deboli, il saloon che affaccia sulla strada polverosa, il bancone con il whisky e le prostitute in attesa del forestiero di passaggio.
David Michôd ripropone la figura dell’adolescente sprovveduto, al suo ingresso nel mondo degli adulti, di Animal kingdom, affetto questa volta da una evidente disabilità, resa in modo realistico da Robert Pattinson. Il ragazzo non conoscendo altre regole al di fuori di quelle del gruppo di appartenenza, nel ribellarvisi, le adotterà egli stesso senza rendersene conto, finendo annichilito. L’eroe, o meglio il cattivo maestro, gli ha fornito l’occasione per la rivolta, lo ha illuso, in verità involontariamente, che il suo esser contro la società, motivato da ragioni personali, fosse un’ideale alternativo valido in assoluto e perciò da seguire ciecamente.
David Michôd è affascinato dal fallimento del rito di iniziazione che spezza la catena del ritorno dell’uguale nel rinnovarsi senza speranza delle generazioni, vi intravede una possibilità di riscatto, un conato di rivolta, subito tuttavia pessimisticamente seppellito, come Guy Pearce alla fine farà con il proprio amato cane sotterrandolo nella terra della desertificazione morale, molto simile al mondo presente governato dai soldi e dalle armi.
Tanto sangue e dolore perché dalla terra resa fertile da quella carcassa possa rinascere, come una ginestra, la speranza, in una estrema fioritura, di una nuova umanità.
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laurence316
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mercoledì 1 febbraio 2017
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pessimo film dalla trama esile e scontata
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Filmetto distopico sulla falsariga della serie di Mad Max (di cui riprende, abbastanza vistosamente, gran parte delle suggestioni, a partire dalla cornice del deserto australiano), The Rover (lett. Il girovago, il vagabondo), diretto da D. Michod, che già si era fatto notare con il più riuscito Animal Kingdom, presenta una trama minimale, risicata a dir poco, lineare. Non accade mai nulla di realmente interessante, non vi sono particolari sorprese o colpi di scena, non che sia di per sé un male, ma gran parte delle svolte della trama sono veramente risibili e banali, quando non addirittura ridicole (vedi, in particolare, la finale rivelazione circa l’importanza attribuita dal protagonista, Eric, alla propria auto), e, di conseguenza, il film finisce per farsi soporifero e lascia fin troppi spiragli a qualche sbadiglio.
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Filmetto distopico sulla falsariga della serie di Mad Max (di cui riprende, abbastanza vistosamente, gran parte delle suggestioni, a partire dalla cornice del deserto australiano), The Rover (lett. Il girovago, il vagabondo), diretto da D. Michod, che già si era fatto notare con il più riuscito Animal Kingdom, presenta una trama minimale, risicata a dir poco, lineare. Non accade mai nulla di realmente interessante, non vi sono particolari sorprese o colpi di scena, non che sia di per sé un male, ma gran parte delle svolte della trama sono veramente risibili e banali, quando non addirittura ridicole (vedi, in particolare, la finale rivelazione circa l’importanza attribuita dal protagonista, Eric, alla propria auto), e, di conseguenza, il film finisce per farsi soporifero e lascia fin troppi spiragli a qualche sbadiglio. Inoltre, Pearce se la cava, ma Pattinson non è e non è mai stato particolarmente espressivo e, nonostante la naturale simpatia suscitata dal suo personaggio, non convince mai, neppure per un secondo. Le ambientazioni sono comunque suggestive, l’atmosfera è tesa e la fotografia è di ottima qualità, ed esalta perfettamente le larghe distese del paesaggio australiano (riconfermatosi perfetta location in cui calare racconti tragici e disperati, come nel caso dei due Wolf Creek).
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lgiulianini
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giovedì 8 dicembre 2016
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feroce, autentico, durissimo
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Il genere del "futuro dopo il disastro" e l'immaginazione di un futuro distopico conseguente, costituiscono come è noto un genere "classico" per Hollywood e non soltanto, i film che descrivono il "dopo" non si contano, qualunque appassionato di cinema ne ha visti innumerevoli anche di molto notevoli.
In ciascuna di queste pellicole però, tra architetture devastate ed umanità sopravvissute preda quasi sempre di brutti sporchi e cattivi villain, c'è sempre un barlume di speranza, una luce in fondo al tunnel, qualcosa di umano, un combattimento"morale" ovvero un obiettivo, un sentimento da difendere e potrei scrivere per ore : da Codice Genesi a The Road, gli esempi sono innumerevoli, nel disastro generale il nostro eroe lotta sempre per qualcosa contro qualcuno, vuoi per salvare la memoria di un libro o difendere la speranza e la vita di un bambino.
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Il genere del "futuro dopo il disastro" e l'immaginazione di un futuro distopico conseguente, costituiscono come è noto un genere "classico" per Hollywood e non soltanto, i film che descrivono il "dopo" non si contano, qualunque appassionato di cinema ne ha visti innumerevoli anche di molto notevoli.
In ciascuna di queste pellicole però, tra architetture devastate ed umanità sopravvissute preda quasi sempre di brutti sporchi e cattivi villain, c'è sempre un barlume di speranza, una luce in fondo al tunnel, qualcosa di umano, un combattimento"morale" ovvero un obiettivo, un sentimento da difendere e potrei scrivere per ore : da Codice Genesi a The Road, gli esempi sono innumerevoli, nel disastro generale il nostro eroe lotta sempre per qualcosa contro qualcuno, vuoi per salvare la memoria di un libro o difendere la speranza e la vita di un bambino. Ed ho fatto solo i primi esempi che mi sono venuti alla mente.
"The Rover" esula da questa classificazione a tutto merito di David Michod che realizza una storia in cui il disastro non ha lasciato nulla di umano nei sopravvissuti.
Non vedremo paesaggi devastati o architetture crollate : qui è proprio l'umanità ad essersi perduta, una umanità sopravvissuta che si aggira in un paesaggio desolato ed assolato, popolato da squallide baracche fatiscenti e maleodoranti ( è incredibile come Michod riesca a trasmetterne l'odore fatto di sudore insetti e sporcizia dappertutto), una umanità allo sbando in cui si aggirano strani soldati rappresentati da figuri in mimetica che non si capisce quali autorità rappresentino che popolano baracche senza bandiera anch'essi, in cui sfilano interminabili treni provenienti da miniere che non si sa cosa scavino e per chi, ma non possono sfuggire i simboli orientali sui carri merci che indicano forse i veri padroni di questo futuro; mentre gli altri aspettano sotto la canicola..... armati di tutto punto..... e si uccidono, al limite per dollari che non valgono più nulla, ovvero senza alcun motivo almeno rivelato, la violenza appare l'unica attività praticata da una umanità devastata, senza alcun obiettivo, senza più nulla di morale, in cui come rivela Guy Pearce nell'illuminante dialogo con lo strambo soldato : "puoi ormai fare tutto quello che vuoi senza che nessuno venga a cercarti".
In questa realtà disperata e disperante, al protagonista tre balordi rubano l'auto, che contiene qualcosa cui egli tiene più di tutto, potrebbe assere anche il nulla nello scenario che Michod magistralmente delinea, ma questo basta a scatenare una caccia spietata e senza tregua, che porterà il protagonista a "percorrere" brandelli di questa umanità disperata, con come compagno di strada proprio il fratello di uno dei balordi responsabili del furto, che Pearce salva da una ferita contratta in una sparatoria anche questa senza una ragione rivelata, che lo avrebbe irrimediabilmente ucciso.
Proprio questo, il fatto che Pearce lo abbia salvato mentre il fratello (ferito pure lui nella sparatoria di cui sopra) lo abbia abbandonato morente, crea tra il protagonista Pearce ed il ragazzo disagiato impersonato da un Robert Pattinson da Oscar, un legame inesorabilmente forte e progrerssivo, che si realizzerà lentamente tra i rari ma tutti significativi dialoghi, i molti momenti di tensione e di azione condivisi, fino all'inevitabilmente tragico epilogo finale.
Un film molto duro, atroce nel suo messaggio ultimo: dopo la devastazione resta il niente, non c'è niente per cui lottare, niente in cui credere, più niente da realizzare, se non difendere strenuamente quel poco che si ha, o "si crede" di avere.
Un film importante e durissimo, che ho apprezzato molto per la sua originalità nel mettere in scena la verità nuda e cruda senza alcun rirerimento pseudomoraleggiante, insieme ad una fotografia rilevante, una ambientazione indimenticabile, una colonna sonora chiaramente ridotta all'osso visto il tipo di messa in scena ove anche il ritmo di un respiro ha la sua rilevanza, ma efficace e nei punti giusti, ed una prova d'attore soprattutto di Rober Pattinson degna del riconoscimento più ambito.
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gianleo67
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sabato 11 giugno 2016
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dramma post-apocalittico on the...rover
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Dopo il furto della sua auto da parte tre uomini in fuga da un conflitto a fuoco con l'esercito, il solitario e disilluso Eric si mette sulle loro tracce, anche grazie all'aiuto del giovane e disadattato fratello di uno dei tre che era rimasto indietro a causa di una grave ferita. Il rapporto che si crea tra i due cambierà le aspettative di entrambi ma non servirà a salvarli da una resa dei conti finale in un mondo senza più regole nè umanità.
Abile e arruolato dal precedente e fortunato exploit del regista australiano, Guy Pearce sembra avere la faccia giusta e le phisique du role per impersonare un anti eroe tormentato ed solitario che si muove come un fantasma nelle spettrali e polverose lande di un paesaggio post-apocalittico, alla ricerca di una identità morale che passi necessariamente attraverso l'autodistruzione dell'incipit o l'espiazione dell'epilogo.
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Dopo il furto della sua auto da parte tre uomini in fuga da un conflitto a fuoco con l'esercito, il solitario e disilluso Eric si mette sulle loro tracce, anche grazie all'aiuto del giovane e disadattato fratello di uno dei tre che era rimasto indietro a causa di una grave ferita. Il rapporto che si crea tra i due cambierà le aspettative di entrambi ma non servirà a salvarli da una resa dei conti finale in un mondo senza più regole nè umanità.
Abile e arruolato dal precedente e fortunato exploit del regista australiano, Guy Pearce sembra avere la faccia giusta e le phisique du role per impersonare un anti eroe tormentato ed solitario che si muove come un fantasma nelle spettrali e polverose lande di un paesaggio post-apocalittico, alla ricerca di una identità morale che passi necessariamente attraverso l'autodistruzione dell'incipit o l'espiazione dell'epilogo. Tra queste due condizioni terminali dell'uomo e del personaggio, si snoda la costruzione di un film che anche grazie agli accorgimenti del montaggio, sviluppa il suo itinerario on the road alla ricerca del punto remoto di un orizzonte esistenziale che gli sconfinati paesaggi del deserto australiano non ci lasciano intravedere, maturando piuttosto la graduale consapevolezza di una prostrazione umana costretta ad attraversare tutte le tappe di una dolorosa e desolata via crucis fatta di morti ammazzati e tenutarie ammonitrici, solitarie interniste bisognose d'affetto e minorati dal grilletto facile in cerca di una figura paterna. L'ombra minacciosa di un destino cupo e sanguinario insomma ritorna ad offuscare il cielo di un devoto della cabala (First Snow - 2006) in cerca di scampo, laddove la fiducia nella solidarietà tra simili è ormai irrimediabilmente compromessa e l'unico riscatto possibile alla propria disumanità sembra l'atto di devozione di un rito funebre destinato al miglior amico dell'uomo. Astraendo il discorso nichilista già principiato con Animal Kingdom (nome che è tutto un programma!) dalle suggestioni di una ricostruzione narrativa che si ispira alla cronaca nera ed a fatti realmente accaduti, Michod mette in scena un dramma tetro e disperato in cui la desolazione dell'animo umano è mirabilmente evocata dalle brulle asperità di un paesaggio arido e assolato e tenendo alta l'attenzione dello spettatore attraverso un motore narrativo che punta dritto al cuore di una motivazione tanto banale quanto fondamentale; perchè quando non si ha più nulla da perdere anche i piccoli gesti possono valere il senso di una vita. Contributi tecnici di buon livello, comprese le sincopate sonorità delle musiche di Antony Partos. Bravo Pearce, che invecchiando sembra migliorare come il buon vino, ma bravo anche un sorprendente Robert Pattinson uscito dal patinato clichè del bel tenebroso delle saghe teen-horror ed approdato ad un mondo adulto e crudele in cui l'auto-da-fè non si riserva solo ai vampiri. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2014 non avrà avuto i riconoscimenti ed i meriti della ribalta internazionale dell'opera prima, ma conferma la qualità di un cinema che non può lasciare indifferenti.
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noia1
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giovedì 18 febbraio 2016
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"la minaccia concede uno spiraglio"
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Un uomo cerca di recuperare la propria auto, si capiranno tante cose nel tragitto.
Un film completamente fuori dagli schemi, tanto per metterci a proprio agio, fin da subito domina la scritta “Dieci anni dopo l’apocalisse”.
Silenzi infiniti, espressioni fondamentali che solo due attori bravissimi come Guy Pearce e Robert Pattinson potevano usare mantenendo credibilità ai propri personaggi. Già perché l’umanità è finita, le persone sono rudi ed instupidite, la vita non vale più niente, senza tener conto di tutto questo il film diventa quasi incomprensibile per quanto brutale.
Silenzi infiniti, sensazioni malinconiche che in realtà sono di rassegnazione, rassegnazione di una civiltà tramontata, ciò che vediamo infatti ne è solo il residuo, e quando le persone non sono più persone allora sono disposte a tutto, si permettono tutto quando niente ha più senso.
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Un uomo cerca di recuperare la propria auto, si capiranno tante cose nel tragitto.
Un film completamente fuori dagli schemi, tanto per metterci a proprio agio, fin da subito domina la scritta “Dieci anni dopo l’apocalisse”.
Silenzi infiniti, espressioni fondamentali che solo due attori bravissimi come Guy Pearce e Robert Pattinson potevano usare mantenendo credibilità ai propri personaggi. Già perché l’umanità è finita, le persone sono rudi ed instupidite, la vita non vale più niente, senza tener conto di tutto questo il film diventa quasi incomprensibile per quanto brutale.
Silenzi infiniti, sensazioni malinconiche che in realtà sono di rassegnazione, rassegnazione di una civiltà tramontata, ciò che vediamo infatti ne è solo il residuo, e quando le persone non sono più persone allora sono disposte a tutto, si permettono tutto quando niente ha più senso.
Sguardi senza sentimento, rabbia perché senza speranza, senza poter costruire, non si farebbe niente privi di un motivo per distruggere. Le persone non sanno rapportarsi, i dialoghi sono scarni, alla prima occasione ci si fa di tutto e di più.
Niente viene spiegato, tutto viene a galla, una serie di pugni nello stomaco da una regia che sa cosa non fare quando non va fatto, un anti-film, un anti-eroe, un’anti-storia. Tutto ciò che non vorresti qui accade, proprio dai pochi momenti di purezza ci si accorge di quanto tutto sia perduto.
Preparatevi, non è il solito film sul mondo devastato dove si sa dove potersi appoggiare, la bontà c’è, le persone – tutte le persone – a tratti sono umane e si vede, sono perdute però. Un’allegoria quasi, il deserto Australiano come scenario post apocalittico, un corso accelerato di come sopravvivere alla brutalità delle persone, un concetto molto semplice in realtà: diventare a propria volta brutale.
Senza spoilerare, non vi dirò cosa succede, bensì vi dirò cosa vorreste succedesse arrivati alla fine, ci spererete, spererete che il protagonista muoia, spererete si punti la pistola alla testa e si ammazzi. Forse, per come le cose sono presentate, quella sarebbe l’unica redenzione.
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themaster
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domenica 7 febbraio 2016
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un road movie violento e privo di speranza
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Che i film di genere oggi vengano snobbati è risaputo,tuttavia l'australia,ancor più dell'Inghilterra in questi ultimi anni sta sfornando alcune delle pellicole di genere più interessanti e riuscite e,quando va bene escono anche al cinema.
Non è il caso di questo The Rover di tale David Michod,il quale prendendo sotto la sua ala due attori di livello quali Robert Pattinson e Guy Pearce e gira un post atomico,di quelli che piacevano tanto a Carpenter e che registi interessanti e geniali come lo stesso Michod o Neil Marshall o anche John Hillcoat hanno ampiamente citato e arricchito con film come The Road,Doomsday eccetera,perlopiù non capiti dalla massa di bimbetti e mediocri cinefilini,abituati come sono a buttare giù la peggiore monnezza che gli si propina tutti i giorni.
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Che i film di genere oggi vengano snobbati è risaputo,tuttavia l'australia,ancor più dell'Inghilterra in questi ultimi anni sta sfornando alcune delle pellicole di genere più interessanti e riuscite e,quando va bene escono anche al cinema.
Non è il caso di questo The Rover di tale David Michod,il quale prendendo sotto la sua ala due attori di livello quali Robert Pattinson e Guy Pearce e gira un post atomico,di quelli che piacevano tanto a Carpenter e che registi interessanti e geniali come lo stesso Michod o Neil Marshall o anche John Hillcoat hanno ampiamente citato e arricchito con film come The Road,Doomsday eccetera,perlopiù non capiti dalla massa di bimbetti e mediocri cinefilini,abituati come sono a buttare giù la peggiore monnezza che gli si propina tutti i giorni. The Rover è tra questi film,un luccichio sfavillante e splendente in mezzo al vuoto cosmico.
Guy Pearce porta in scena una delle performance migliori di tutta la sua carriera interpretando un'uomo che intraprende un feroce inseguimento per trovare e uccidere gli uomini che hanno preso il suo mezzo e per recuperare l'automobile. Per tutto il film non si capisce perchè il protagonista voglia QUELLA macchina di preciso,fino all'ultima scena che ovviamente non rivelerò e che fa capire come il mondo sia crudele e quanto il personaggio di Guy Pearce sia distrutto sia nel fisico che nella mente,un cane randagio e un violento,il finale infatti come tutto il film porta alla non sopravvivenza e all'annichilimento di tutto. Pattinson interpreta il fratello di uno dei membri della banda che Pearce cerca di inseguire e lo aiuterà a trovarli e ad eliminarli. Il personaggio di Pattinson,Reynolds è una specie di bambino troppo cresciuto,un piccolo criminale con un visibile ritardo mentale che si vuole vendicare del fratello che lo ha abbandonato morente durante una rapina,la pellicola vista dal punto di vista di Reynolds è una sorta di revenge movie post apocalittico,in quanto in nessun momento uno dei due protagonisti assume più importanza rispetto all'altro,anzi i ruoli dei due attori sono perfettamente calibrati e risultano molto profondi e caratterizzati.
Michod gira benissimo,come Carpenter insegnava,il film infatti è molto carpenteriano,la regia è "invisibile" in senso buono,tallona i personaggi e non li lascia mai un'attimo,oltre che raffigurare l'azione e gli inseguimenti in maniera perfetta e mai troppo sopra le righe.
La fotografia è incredibile e il montaggio è un qualcosa di sublime,il film è incredibilmente ritmato pur senza puntare sull'azione e,nonostante le scene tese non mancano,Michod punta sempre sul mostrare le brutture di questo mondo in cui la società è sull'orlo della deflagrazione totale,tuttavia si intuisce che ciò che Michod vuole far capire è che molto probabilmente la provincia australiana è così anche nel nostro presente e che,i redneck e gli esaltati aspettano solamente l'occasione per uccidere legalmente e cosa meglio di un'apocalisse atomica? La provincia australiana quindi,dopo avere visto questo film o anche These Final Hours mi fa quasi più paura di quella americana o di quella italiana.
The Rover è il classico esempio di come si possa fare cinema di genere dando dei personaggi che non siano sempre i soliti e offrendo un'intrattenimento che mescola sapientemente scene più tese e momenti più rilassati fino a sfociare in un finale di una crudeltà rara. Voto 8,5/10
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peer gynt
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lunedì 16 novembre 2015
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una piccola luce in un deserto buio e assolato
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Film lento fino al punto da essere quasi noioso, eppure affascinante nella delineazione di un'umanità che si è definitivamente persa in una desolazione materiale e morale, di un'umanità che è tornata alla sua preistoria, e perciò non conosce più cultura, ma solo il mangiare, il bere, il dormire. Hanno un sonno pesante, i personaggi di questo film, sempre sfatti dalla polverosa stanchezza del loro non-vivere, lasciano che succeda loro quello che deve succedere, con un fatalismo passivo da animali che sanno di andare al macello. Solo Eric, il protagonista, l'uomo che va alla disperata ricerca della sua auto, rubatagli da una banda di ladri male in arnese, ha un suo credo, preciso, spietato.
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Film lento fino al punto da essere quasi noioso, eppure affascinante nella delineazione di un'umanità che si è definitivamente persa in una desolazione materiale e morale, di un'umanità che è tornata alla sua preistoria, e perciò non conosce più cultura, ma solo il mangiare, il bere, il dormire. Hanno un sonno pesante, i personaggi di questo film, sempre sfatti dalla polverosa stanchezza del loro non-vivere, lasciano che succeda loro quello che deve succedere, con un fatalismo passivo da animali che sanno di andare al macello. Solo Eric, il protagonista, l'uomo che va alla disperata ricerca della sua auto, rubatagli da una banda di ladri male in arnese, ha un suo credo, preciso, spietato. Lo spettatore scoprirà solo nella scena finale quale sia questa sua ragione di vivere. E anche l'altro personaggio, Rey, il ritardato mentale che Eric trova sul suo cammino, ha un suo perché: è alla ricerca di un padre, di un fratello, qualcuno per cui contare qualcosa. Nell'apocalisse che è già esplosa, che ancora incombe sulla poca umanità rimasta, questi due personaggi (i soli ai quali è rimasta un po' di umanità) sono alla ricerca di qualcosa che li dipinga come lampade accese, nelle quali brilla ancora una luce. Solo uno manterrà accesa la sua luce, quella stessa chiarità che illumina l'ultima, quasi commovente inquadratura.
Recitato benissimo dai due protagonisti (Pearce e Pattinson), è un racconto noioso, per nulla originale, eppure affascinante: misteri del cinema!
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dave c.j.
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mercoledì 21 ottobre 2015
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michod, tra solitudine e istinti animali
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Il regista australiano David Michod porta sul grande schermo "The Rover", road-movie post apocalittico interpretato da un barbuto Guy Pearce e dal discusso Robert Pattinson. La pellicola si incentra sulla ossessiva ricerca da parte di Eric (Guy Pearce) della sua macchina, a cui il proagonista è morbosamente legato; ad accompagnarlo in questo lungo tragitto il fratello di uno dei rapitori, Rey (Pattinson), anima disturbata e abbandonata al proprio destino dai suoi stessi compagni. In questo film gli aspetti negativi prevalgono su quelli positivi: ciò che dovrebbe fungere da punto di forza e aiutare lo svolgimento del film, ovvero la colonna sonora, raggiunge livelli quasi fastidiosi e non riesce mai a coinvolgere a pieno lo spettatore; nonostante la tematica si presti molto a questo genere di tecniche, emerge poco l'aspetto psicologico dei due protagonisti.
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Il regista australiano David Michod porta sul grande schermo "The Rover", road-movie post apocalittico interpretato da un barbuto Guy Pearce e dal discusso Robert Pattinson. La pellicola si incentra sulla ossessiva ricerca da parte di Eric (Guy Pearce) della sua macchina, a cui il proagonista è morbosamente legato; ad accompagnarlo in questo lungo tragitto il fratello di uno dei rapitori, Rey (Pattinson), anima disturbata e abbandonata al proprio destino dai suoi stessi compagni. In questo film gli aspetti negativi prevalgono su quelli positivi: ciò che dovrebbe fungere da punto di forza e aiutare lo svolgimento del film, ovvero la colonna sonora, raggiunge livelli quasi fastidiosi e non riesce mai a coinvolgere a pieno lo spettatore; nonostante la tematica si presti molto a questo genere di tecniche, emerge poco l'aspetto psicologico dei due protagonisti. Si rimane dunque impietriti ad osservare due uomini diametralmente opposti, spinti da sentimenti contrastanti e apparentemente immotivati rincorrere un obbiettivo che allo spettatore non è chiaro fino alla fine. Ciò che esalta il film è l'ottimo uso della cinematografia: grazie alle riprese sembra di percorrere le tappe del viaggio di Eric e Ray, e i contrasti cromatici rendono piacevole alla vista primi piani e dialoghi ( aimè scarni come l'ambientazione). Degna di nota l'interpretazione di Pattinson, che riesce a strappare momenti di "tenerezza" e simpatia allo spettatore grazie ad un personaggio cucitogli a misura.
Michod vuole mettere a nudo la natura umana in questi scenari futuribili e plausibili, con un retrogusto pessimista e l'idea che nessuno di noi potrà esimersi dal diventare una bestia.. O forse peggio.
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filippo catani
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lunedì 24 agosto 2015
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on the road postapocalittico
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Australia a tre anni dal grande collasso. Una banda di delinquenti in fuga ruba l'automobile di un uomo che si metterà sulle loro tracce pronto a tutto pur di riavere indietro la propria macchina. Nelle sue ricerche si imbatterà nel fratello di uno dei malviventi.
Dopo l'ottimo Animal Kingdom molto probabilmente le attese su Michod erano parecchio elevate. Il fatto è che il regista sceglie di adattare una storia borderline all'interno di un contesto postapocalittico dove qualsiasi parvenza di società è collassata e ormai gli uomini sono diventati lupi di se stessi. Ecco forse è proprio quì che la pellicola deraglia o quantomeno perde un po' di nerbo e originalità in quanto quello che appunto succederebbe in una situazione del genere è prevedibile.
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Australia a tre anni dal grande collasso. Una banda di delinquenti in fuga ruba l'automobile di un uomo che si metterà sulle loro tracce pronto a tutto pur di riavere indietro la propria macchina. Nelle sue ricerche si imbatterà nel fratello di uno dei malviventi.
Dopo l'ottimo Animal Kingdom molto probabilmente le attese su Michod erano parecchio elevate. Il fatto è che il regista sceglie di adattare una storia borderline all'interno di un contesto postapocalittico dove qualsiasi parvenza di società è collassata e ormai gli uomini sono diventati lupi di se stessi. Ecco forse è proprio quì che la pellicola deraglia o quantomeno perde un po' di nerbo e originalità in quanto quello che appunto succederebbe in una situazione del genere è prevedibile. Bella invece la costruzione dei due personaggi principali e la scelta di non dilatare troppo nella durata della pellicola. Belle le atmosfere e davvero valide le interpretazioni con l'apprezzabile sforzo di Pattinson di andare alla ricerca di nuovi e difficili ruoli (si pensi anche a Cosmopolis o Maps to the stars) per cercare di staccarsi di dosso la scomoda etichetta di vampiro. Resta comunque un film che si può vedere anche se si poteva fare meglio.
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tarantinofan96
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sabato 15 agosto 2015
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michod nuova promessa del mondo cinema
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Dopo il bellissimo 'Animal Kingdom', Michôd torna a girare una storia di violenza ambientata in un futuro prossimo in cui il degrado e l’anarchia fanno da padroni.
Eric (Guy Pearce) è un uomo alla ricerca di una banda di criminali che gli ha rubato la macchina. Nel corso della sua caccia è accompagnato proprio dal fratello di uno di quegli uomini, interpretato da Robert Pattinson.
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Dopo il bellissimo 'Animal Kingdom', Michôd torna a girare una storia di violenza ambientata in un futuro prossimo in cui il degrado e l’anarchia fanno da padroni.
Eric (Guy Pearce) è un uomo alla ricerca di una banda di criminali che gli ha rubato la macchina. Nel corso della sua caccia è accompagnato proprio dal fratello di uno di quegli uomini, interpretato da Robert Pattinson.
L’ambientazione tipica dei western, sporca e malsana, che caratterizza anche questo film, rende bene l’idea di un mondo popolato da uomini che non hanno più nulla da perdere, disposti a tutto pur di avere anche la più piccola cosa. Per tutta la durata del film seguiamo il protagonista intento a ritrovare l’auto rubatagli, ma non sappiamo perché la rivoglia così tanto fino all’ultima sequenza (una scena che non lascia davvero indifferenti).
La violenza che viene mostrata nel film è cruda, degna di un romanzo di McCarthy, una violenza mai gratuita, in realtà: la freddezza con cui muoiono i personaggi (talvolta anche fuori campo) è sinonimo dell’indifferenza che dilaga in un mondo in cui gli uomini sono abbandonati a se stessi, senza una via di fuga, ma soltanto con un istinto primordiale di sopravvivenza.
Passato forse un po’ troppo inosservato nel nostro paese, The Rover è un film come non se ne vedono spesso. Forse era dai tempi di ‘Non è un paese per vecchi’ o il più recente ‘The Road’ che non si vedeva un film così crudo, in grado di mostrare la violenza dell’uomo con una tale freddezza, senza mai ricorrere ad eccessive dosi di splatter, ma soltanto ad un’ottima messa in scena.
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