wizzypizzy
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domenica 14 dicembre 2014
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duro, al limite del pornografico ...
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Difficile arrivare al termine della visione ... a metà circa lo stomaco è sconbussolato e la sensibilità dello spettatore duramente messa alla prova ...
Forse ha ottenuto il consenso della critica perchè è catartico... certo se quel tipo di aberrazione ti appartiene può essere catartico...
Personalmente mi è mancata una qualsiasi mediazione artistica... quella cioè che dà senso al racconto dell'orrore ...
Mi chiedo ancora quale potesse essere l'obiettivo, la spinta del regista ... fermo restando che di storie orribili, cupe, criminali ne siamo pieni ...
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angelo umana
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martedì 19 agosto 2014
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mister violence
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Diffidare di chi mette troppa cura nel sistemare il nodo alla cravatta, di chi si mostra oltremodo compassato e gentile fuori dalla famiglia, dell’uomo che non vuole che alcuna cosa gli sfugga di ciò che avviene in casa sua, dal controllo di quanti cornflakes vengono consumati a che i nipotini (o figli?) svolgano tutti i compiti. Un uomo perfino ossessionato dal far riprendere una vita “normale” in famiglia dopo che la nipote Angeliki (o figlia?) undicenne si è lanciata dal balcone di casa nella festa del suo compleanno: sparisca la torta avanzata, spariscano i suoi vestiti e le sue cose. La famiglia è composta da quest’uomo ultracinquantenne, dalla moglie pure anziana, una che pare senza volontà e senza forza di reagire o che asseconda i comportamenti del marito, sovente con in mano il suo telecomando a guardare programmi sul mondo animale, dalla figlia Eleni di nuovo incinta (di mariti non v’è traccia), dai suoi due bambini rimasti e dalla sorella giovanissima e ribelle di Eleni.
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Diffidare di chi mette troppa cura nel sistemare il nodo alla cravatta, di chi si mostra oltremodo compassato e gentile fuori dalla famiglia, dell’uomo che non vuole che alcuna cosa gli sfugga di ciò che avviene in casa sua, dal controllo di quanti cornflakes vengono consumati a che i nipotini (o figli?) svolgano tutti i compiti. Un uomo perfino ossessionato dal far riprendere una vita “normale” in famiglia dopo che la nipote Angeliki (o figlia?) undicenne si è lanciata dal balcone di casa nella festa del suo compleanno: sparisca la torta avanzata, spariscano i suoi vestiti e le sue cose. La famiglia è composta da quest’uomo ultracinquantenne, dalla moglie pure anziana, una che pare senza volontà e senza forza di reagire o che asseconda i comportamenti del marito, sovente con in mano il suo telecomando a guardare programmi sul mondo animale, dalla figlia Eleni di nuovo incinta (di mariti non v’è traccia), dai suoi due bambini rimasti e dalla sorella giovanissima e ribelle di Eleni. All’assistente sociale che segue la famiglia dopo quel suicidio e che osserva “sembra che qui non sia accaduto nulla”, lui, “mr. Violence” - bravissimo l’attore Themis Panou che sa farsi odiare al punto giusto e anche oltre - risponde “ho fatto di tutto per riuscirci”. Sedare, coprire, far apparire tutto nella normalità che egli ha stabilito, fatta di educazione ferrea, cervellotica e militaresca.
Difficile credere che in una sola famiglia possa concentrarsi tutta quella “disumana oppressione” dei suoi membri (tutte femmine con un solo maschietto, Philippos, solitamente il più punito), l’incapacità di reagire dei componenti, “spiriti umiliati e torturati” (parole di Gabriele Niola di MyMovies) ma così è, “la famiglia è il posto peggiore dove nascere” disse Freud e del resto il regista Avranas dice di essersi ispirato a fatti accaduti.
Il regista si concentra sull’aggressività e le brutture contenute nel microcosmo di una famiglia borghese (e si vedrà da cosa derivi un livello di vita borghese), siamo ad Atene, e astrae dalle condizioni sociali che oggi si dicono della Grecia, non se ne cura, al punto da risultare inverosimile che degli assistenti sociali possano occuparsi così da presso di una famiglia dove c’è stato un suicidio, oppure che un over 50, il capofamiglia (nonno o padre?), se da un lato si vede decurtare di 170€ l’assegno per la bambina a carico, morta, dall’altro trovi facilmente un lavoro di contabile part-time sebbene a tempo determinato. L’atto di coraggio o ribellione finale dell’anziana moglie non ci libera dal concentrato di violenza, contenuta più nelle parole e nei toni che nei fatti, circoscritti a delle scene pesantissime.
Incomprensibile la scelta della canzone di Cotugno, quella del’“l’italiano vero”, che banalizza un passo particolarmente drammatico, compensata dalla felice scelta di “Dance me to the end of love, dance me to your beauty with a burning violin” di Cohen, che accompagna il ballo di Angeliki al suo compleanno: sembra davvero un omaggio alla bellezza delle bambine e della loro mamma, l’attrice Eleni Roussinou. Angeliki s’è uccisa per non avere difese, nemmeno dalla sua madre, vittima a sua volta e per aver visto la bruttezza del mondo dei grandi, almeno quella racchiusa nella figura di quel nonno (o padre?).
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gianleo67
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lunedì 18 agosto 2014
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al(la) fine dell'amore
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Un padre, tre figlie, due nipoti e una moglie. Il giorno del suo 11° compleanno la figlia più piccola si suicida gettandosi dal balcone di casa. I servizi sociali indagano tra le mille reticenze di una famiglia che sembra chiusa in se stessa e con un padre padrone che dietro l'apparente normalità borghese, mantiene sotto il proprio giogo le fragili psicologie femminili che sembrano obbedirgli con rassegnata condiscendenza.
Partendo da un titolo che evoca le truci perversioni dell'hard boiled orientale alla Park Chan-wook e da un incipit che oscilla tra il gelido distacco del dramma sociale nord europeo di Haneke e il microcosmo grottesco e surreale di Kaurismäki, il greco Alexandros Avranas sembra piuttosto assecondare le inquietudini del connazionale Lanthimos (Kynodontas - 2009) nell'agghiacciante resoconto di una degenerazione dei rapporti familiari dove alla tirannide patriarcale si contrappone l'omertosa complicità di una figura materna che , al pari delle sue vittime, si dimostra succube e schiava di una inconfessabile violenza domestica e che dietro l'ordine apparente di una consuetudine borghese nasconde una realtà atroce di sfruttamento e di prevaricazione.
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Un padre, tre figlie, due nipoti e una moglie. Il giorno del suo 11° compleanno la figlia più piccola si suicida gettandosi dal balcone di casa. I servizi sociali indagano tra le mille reticenze di una famiglia che sembra chiusa in se stessa e con un padre padrone che dietro l'apparente normalità borghese, mantiene sotto il proprio giogo le fragili psicologie femminili che sembrano obbedirgli con rassegnata condiscendenza.
Partendo da un titolo che evoca le truci perversioni dell'hard boiled orientale alla Park Chan-wook e da un incipit che oscilla tra il gelido distacco del dramma sociale nord europeo di Haneke e il microcosmo grottesco e surreale di Kaurismäki, il greco Alexandros Avranas sembra piuttosto assecondare le inquietudini del connazionale Lanthimos (Kynodontas - 2009) nell'agghiacciante resoconto di una degenerazione dei rapporti familiari dove alla tirannide patriarcale si contrappone l'omertosa complicità di una figura materna che , al pari delle sue vittime, si dimostra succube e schiava di una inconfessabile violenza domestica e che dietro l'ordine apparente di una consuetudine borghese nasconde una realtà atroce di sfruttamento e di prevaricazione. Sullo sfondo appena percepito di una società greca precipitata nella crisi economica e sociale e in balia di quelle forze centrifughe che sovvertono un sistema di valori scardinato dalle banali necessità alimentari (il cibo, i vestiti) e soggetto solo ai burocratici controlli di uno stato sociale distante e superficiale, l'autore riesce a mantenere nella prima parte un impeccabile rigore formale nel suggerire gli inquietanti risvolti di un dramma familiare che si consuma nel chiuso di una prigionia domestica dove nulla è quello che sembra e dove gesti e parole sembrano raggelarsi al di sotto di uno zero termico che rende invisibili all'occhio umano le loro pur impercettibili vibrazioni, insinuando così tra le pieghe del non detto e la mimica del linguaggio non verbale ciò che rende scoperto nella parte finale del film, dove invece tutto si fa più esplicito e brutale (la prostituzione delle figlie, la paternità dei nipoti, l'orrore dell'abuso pedofilo, il laido mercato di un approvvigionamento economico). Pur cedendo alla tentazione didascalica di questa escalation conclusiva di brutalità e di sangue, Avranas riesce a mantenere l'invidiabile coerenza di un registro drammatico trattenuto e interdetto, addentrandosi nel perimetro claustrofobico di un antro domestico dove si aggira, sotto le mentite spoglie di un buon padre borghese, la maschera grottesca e beffarda di uno spietato Minotauro dei nostri tempi. Segno di un codice di comportamento in cui l'ambiente familiare rappresenta l'inizio e la fine di un mondo di relazioni e di sentimenti, causa ed effetto di una disfunzionalità sociale da cui origina l'orrore, la fine dell'incubo è essa stessa fagocitata nel vuoto pneumatico di una porta chiusa e forse ambiguamente principio di un nuovo imperio domestico. Nel sottotesto musicale di L.Cohen ('Dance Me to the End of Love') lo straniante relativismo etico che richiama alla mente le sinuose suggestioni e le traumatiche esperienze familiari già viste in 'Exotica' di A.Egoyan ('Everybody Knows'). Leone d'Argento per la miglior regia alla 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
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stefanocapasso
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domenica 18 maggio 2014
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violenza gratuita
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Miss Violence del regista greco Alexandros Avranas racconta il dramma di una famiglia di 6 persone dove la mancanza assoluta di relazioni la violenza e gli abusi sono il leit motiv quotidiano. Ed è un sistema dove tutti i componenti colludono, se non altro per mancanza di alternative, e che grazie a questo si perpetua nel tempo.
E’ certamente efficace lo stile descrittivo, la fotografia che supporta pienamente quella sensazione di freddezza e distacco che regna nel microcosmo familiare.
Riesce bene nel suo intento di fare entrare nella famiglia e nel suo ambiente chiuso e claustrofobico lo spettatore, che condivide la stessa sensazione di solitudine, e la mancanza un punto di riferimento sicuro, che spinge ognuno a non poter fare altro che contare su di se.
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Miss Violence del regista greco Alexandros Avranas racconta il dramma di una famiglia di 6 persone dove la mancanza assoluta di relazioni la violenza e gli abusi sono il leit motiv quotidiano. Ed è un sistema dove tutti i componenti colludono, se non altro per mancanza di alternative, e che grazie a questo si perpetua nel tempo.
E’ certamente efficace lo stile descrittivo, la fotografia che supporta pienamente quella sensazione di freddezza e distacco che regna nel microcosmo familiare.
Riesce bene nel suo intento di fare entrare nella famiglia e nel suo ambiente chiuso e claustrofobico lo spettatore, che condivide la stessa sensazione di solitudine, e la mancanza un punto di riferimento sicuro, che spinge ognuno a non poter fare altro che contare su di se.
A differenza dei protagonisti, lo spettatore non conosce, almeno fino ad oltre meta film, i rapporti e i fatti che si svolgono all’interno della famiglia.
Questo lo mette in una condizione di assoluto disagio, paragonabile a quella dei componenti più piccoli della famiglia, che conosceranno soltanto verso il finale, quale tremendo destino li aspetta.
Diviene quindi impossibile empatizzare con uno dei protagonisti, o con qualsiasi altra vicenda del film. Non si creano le condizioni per sviluppare un emozione propria, di ribellione, o rabbia o reale dispiacere, in sostanza di dare sfogo e significato a tutta quella violenza a cui lo spettatore assiste.
Personalmente credo che questo film non porti nulla, a parte un carico di violenza fine a se stessa. Manca un indagine profonda dei legami e non è un film di denuncia ne anticipatorio e neppure catartico.
Un film dove la violenza e i bambini vengono usati per colpire lo spettatore senza dargli nulla in cambio
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eugenio
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giovedì 8 maggio 2014
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l'alveo familiare
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Ne avevamo bisogno?
Un film dove l’apparenza borghese di una famiglia è segnata da un’apparente quanto ingiustificato tragico lutto: il suicidio di una ragazzina nel giorno del suo undicesimo compleanno. Allo sconcerto dei familiari, la sconvolta madre e l’ancor più incredulo padre, seguirà un lungo flashback tramite il quale noi spettatori, senza alcuna remora, siamo messi di fronte dinanzi all’orrore (altro non si può definire) di un nucleo spezzato dalla violenza, dalla sopraffazione, dall’indifferenza e dalla repressione.
Suona strano che un film del genere sia stato girato in un territorio tristemente noto per l’imperante crisi cui è stato (ed è ancora) sottoposto. La Grecia, la terra dei Templi, il paese del sole e delle isole, universo illibato di auster classicità, è qui ripiegata nelle mura domestiche di una benestante, almeno in facciata, famiglia.
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Ne avevamo bisogno?
Un film dove l’apparenza borghese di una famiglia è segnata da un’apparente quanto ingiustificato tragico lutto: il suicidio di una ragazzina nel giorno del suo undicesimo compleanno. Allo sconcerto dei familiari, la sconvolta madre e l’ancor più incredulo padre, seguirà un lungo flashback tramite il quale noi spettatori, senza alcuna remora, siamo messi di fronte dinanzi all’orrore (altro non si può definire) di un nucleo spezzato dalla violenza, dalla sopraffazione, dall’indifferenza e dalla repressione.
Suona strano che un film del genere sia stato girato in un territorio tristemente noto per l’imperante crisi cui è stato (ed è ancora) sottoposto. La Grecia, la terra dei Templi, il paese del sole e delle isole, universo illibato di auster classicità, è qui ripiegata nelle mura domestiche di una benestante, almeno in facciata, famiglia. Una della middle-age si direbbe in America, quelle che non penseresti mai stiano in condizioni indigenti data la rispettibilità e la profonda onestà di cui sono testimoni.
Grattando con uno scalpellino in superficie, Avranas, un regista che ricorda per stile Haneke, ci mostra lentamente il tumore maligno che alberga in ciascun componente: nel padre, orco, pederasta, capofamiglia e patriarca in grado di imporre il proprio violento pugno di ferro senza che nessuno osi e trovi la forza di ribellarvisi: nè la madre, impotente e depressa dall’alcool come dimenticatoio, nè tantomeno i figli cui vengono inflitte assurde punizioni per altrettanto futili ragioni.
In un dramma da camera, uno spazio chiuso dove le pulsioni nascono, si accumulano sino a deflagrare nella violenza più cieca di un abisso dove nessuno è innocente, Avranas confeziona una tragedia- nel senso classico del termine- costruita secondo un climax collaudato che fa uso di bravi interpreti ( tra cui spicca Themis Panou nel ruolo del padre aguzzino) e di una fotografia nitida ed essenziale.
L’esaltazione di una realtà cruda e spietata persino in un universo protetto quale potrebbe essere l’alveo familiare non costituisce motivo di originalità (Polanski nelle opere tratte dai testi teatrali di Sartre aveva già ben reso l’idea) ed anche l’affettazione nel mostrare con vouyerismo lo spirito cinico della borghesia decaduta, scade nella pietas da panem et circenses ma il non detto, il lasciato intendere con eloquenti porte chiuse sullo sfondo di una musica da camera lenta e soffusa, non possono che lasciare sconvolti.
Perchè è così che ci si alza dopo la visione: con lo stomaco dolente come dopo un violento pestaggio di cui siamo stati vittime e gli occhi colmi di un orrore che avremmo fatto meglio a non osservare.
E quello che fa più paura non è la violenza in sè (quella fisica è appena accennata) quanto quella politica dal freddo sapore scientifico, dai volti privi di espressione, di comprensione o cedimento e, men che meno di umanità. Un orrore voluto e ingiustificato da cui non ci si può sottrarre come vinti da un particolare gioco ipnotico, un connubio di equilibrio e rigore formale.
Sottrarsi al gioco e soffrire in silenzio osservando il teatro della desolazione oppure comprendere e capire che non tutti i vicini della porta accanto non sono ciò che sembrano?
A voi la scelta.
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[+] middle-age
(di angelo umana)
[ - ] middle-age
[+] hai visto kinodontas ??
(di wizzypizzy)
[ - ] hai visto kinodontas ??
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marco michielis
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venerdì 21 febbraio 2014
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l'inferno dipinto da avranas
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“Miss Violence” del giovane regista greco Alexandros Avranas non ha certo deluso le speranze di chi, come me, andando al cinema, si aspettava di godere di una pellicola di livello, visti il Leone d'Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile ottenuti a Venezia 2013.
La precisione interpretativa e la cura maniacale che Avranas dona a ogni sua singola inquadratura colpiscono l'occhio attento dello spettatore fin dall'inizio (la prima immagine è significativamente quella di una porta chiusa, così come su una porta chiusa terminerà il film). Ma la ricerca stilistica del regista non si ferma certo al mero simbolismo, perchè in “Miss Violence” è la vicenda narrata stessa, svelandosi pian piano al pubblico e in maniera così diretta da risultare atroce, a modellare e deformare l'angolo di ripresa di qualsivoglia sequenza dell'opera.
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“Miss Violence” del giovane regista greco Alexandros Avranas non ha certo deluso le speranze di chi, come me, andando al cinema, si aspettava di godere di una pellicola di livello, visti il Leone d'Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile ottenuti a Venezia 2013.
La precisione interpretativa e la cura maniacale che Avranas dona a ogni sua singola inquadratura colpiscono l'occhio attento dello spettatore fin dall'inizio (la prima immagine è significativamente quella di una porta chiusa, così come su una porta chiusa terminerà il film). Ma la ricerca stilistica del regista non si ferma certo al mero simbolismo, perchè in “Miss Violence” è la vicenda narrata stessa, svelandosi pian piano al pubblico e in maniera così diretta da risultare atroce, a modellare e deformare l'angolo di ripresa di qualsivoglia sequenza dell'opera. Ecco che allora il padre-padrone raramente, soprattutto nella prima parte, compare in figura intera, e capita così che le donne e le ragazzine della famiglia, spesso riprese sedute sul divano di casa, appaiano piccole e deboli a confronto con la mezza figura del personaggio interpretato da Themis Panou (magnifico) che incombe possente su di loro, inquadrato dalla vita in giù. E se è in un drammatico silenzio che si consumano le scene visivamente più forti del film, obbligo di chi scrive è certo evidenziare la lucida e, oserei dire, spietata scelta delle uniche due tracce musicali proposte: la struggente, in particolar modo in questo preciso contesto, “Dance me to the end of love” di Leonard Cohen e un pezzo dance greco che non sono riuscito a rintracciare, ma che fa da sfondo alla più semplice e al tempo stesso terribile sequenza della pellicola, ossia la danza spensierata della piccola di famiglia, un fiore innocente destinato ben presto a essere strappato con violenza dal campo dell'infanzia ove era cresciuto. Ci sarebbe sicuramente molto altro da dire, e, a tal proposito, assicuro a chi eventualmente non l'abbia visto che stiamo parlando di uno di quei film che meriterebbero di essere analizzati scena per scena, inquadratura per inquadratura, fotogramma per fotogramma. Insomma, signori, se il buon giorno si vede dal mattino, Alexandros Avranas ha un futuro di ulteriori successi e riconoscimenti davanti a sé.
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robynieri
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giovedì 19 dicembre 2013
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la violenza: un pacato esempio
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Un po' lenta l'introduzione e forse un po' sbrigativo l'esito. Nel complesso, comunque, molto bello il dispiegarsi della trama e degl intrecci che legano i personaggi in un crescendo di emozioni e sentimenti contrastanti. Ottima mano registica, ottimi gli attori (sopratutto il padre, la molgie e la figlia grande).
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andrea lade
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domenica 8 dicembre 2013
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voto: 7 1/2
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Eh sì, proprio un bel film, forse il migliore di questa Venezia del 2013, un po’ deludente. Tra tanti dubbi lasciati da lungometraggi in pole position, “Miss Violence” si è aggiudicato il Leone d’Argento e la qualifica di “film rivelazione”, a pieno merito.
Il cinema greco è poco presente nel panorama europeo, ma quei pochi che riescono ad essere selezionati sono sempre drammi molto coinvolgenti e ben realizzati .
Il regista questa volta è Avranas, un giovane talento greco, di origine ebrea. La storia è quella di una famiglia patriarcale, dove la figura paterna riesce a dominare in modo intransigente e dittatoriale le componenti donne , 3 bambine, 2 giovani ragazze e l’anziana moglie.
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Eh sì, proprio un bel film, forse il migliore di questa Venezia del 2013, un po’ deludente. Tra tanti dubbi lasciati da lungometraggi in pole position, “Miss Violence” si è aggiudicato il Leone d’Argento e la qualifica di “film rivelazione”, a pieno merito.
Il cinema greco è poco presente nel panorama europeo, ma quei pochi che riescono ad essere selezionati sono sempre drammi molto coinvolgenti e ben realizzati .
Il regista questa volta è Avranas, un giovane talento greco, di origine ebrea. La storia è quella di una famiglia patriarcale, dove la figura paterna riesce a dominare in modo intransigente e dittatoriale le componenti donne , 3 bambine, 2 giovani ragazze e l’anziana moglie. Un atto estremo, come il suicidio di una delle figlie, dà il via allo sviluppo della storia e svelerà lentamente lo squilibrio dei rapporti tra i familiari mettendo in luce i veri sentimenti che si nascondono tra le pareti della malsana atmosfera domestica. L’ambiguità della storia è avvertibile già dai primi minuti del film, dove i personaggi, apparentemente normali, reagiscono all’evento con una freddezza non comune e vengono ripresi in situazioni di vita quotidiana fortemente condizionati da un’educazione rigidissima e da punizioni ossessive.
Con il proseguire del film la vera tragedia prende corpo e la durezza di alcune scene suggerisce un tentativo da parte del regista di uscir fuori dai confini del vissuto per riuscire a descrivere una situazione generale di crisi dei valori morali, esistente nella sua realtà greca, e chissà, in tutto il mondo occidentale. In questo film non si vuole affrontare la crisi economica, la si accenna solamente; si preferisce invece focalizzarsi sulla degenerazione dei valori morali che da essa può conseguire : la vicenda potrebbe rappresentare la metafora della nostra società al cui interno le persone crescono ed imparano il significato delle cose che le circondano, così quando entrano a far parte del tessuto sociale non riescono a ribellarsi e a reagire perché sono abituate a vivere in quel modo da sempre.
Molta riflessione,ma anche cinema di forte impatto emotivo: una voluta scarsità di dialoghi è compensata da una fotografia nitidissima che mette in risalto alcune scene durissime che colpiscono come un pugnale ghiacciato. Una parola alla colonna sonora , il cui tema principale è la splendida “Dancing to the end of Love” di Leonard Cohen, un motivo pervaso da forte malinconia e da un tocco di misticismo. Potrebbe essere la colonna sonora della chiusura di una giostra in una paesino di provincia semi disabitato di un giorno autunnale. Singolare la scelta di utilizzarlo come sfondo per una giornata di festa. La musica supera la scena e descrive esattamente il clima angosciante del film.
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mauridal
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lunedì 18 novembre 2013
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quando il nonno viene accoppato dalla violence
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. LA CINEMATOGRAFIA GRECA CONTEMPORANEA E’SEMPRE STATA MOLTO ATTENTA AI FENOMENI SOCIALI E POLITICI DELLA PATRIA NAZIONE SOPRATTUTTO , POICHE ’ LA CULTURA GRECA HA CONTATO SULLA PRESENZA E L’OPERA DI INTELLETTUALI DI GRANDE RESPIRO INTERNAZIONALE , COME I REGISTI ANGELOPULOS , COSTA GRAVAS, PIENEMENTE INTRISI DELLA CULTURA POPOLARE GRECA A SUA VOLTA PIENAMENTE IMPREGNATA DI CLASSICITA’ O DI ELEMENTI TALI, CHE IL RIFERIMENTO ALL’ARTE CLASSICA ANTICA, LA TRAGEDIA E IL TEATRO DRAMMATICO, DIVENTA INEVITABILE.
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. LA CINEMATOGRAFIA GRECA CONTEMPORANEA E’SEMPRE STATA MOLTO ATTENTA AI FENOMENI SOCIALI E POLITICI DELLA PATRIA NAZIONE SOPRATTUTTO , POICHE ’ LA CULTURA GRECA HA CONTATO SULLA PRESENZA E L’OPERA DI INTELLETTUALI DI GRANDE RESPIRO INTERNAZIONALE , COME I REGISTI ANGELOPULOS , COSTA GRAVAS, PIENEMENTE INTRISI DELLA CULTURA POPOLARE GRECA A SUA VOLTA PIENAMENTE IMPREGNATA DI CLASSICITA’ O DI ELEMENTI TALI, CHE IL RIFERIMENTO ALL’ARTE CLASSICA ANTICA, LA TRAGEDIA E IL TEATRO DRAMMATICO, DIVENTA INEVITABILE. IN QUESTO CASO LA TEMATICA DEL FILM , HA SICURAMENTE INTERESSATO IL GIOVANE REGISTA GRECO, PER L’ATTUALITA’ DELLA CRONACA : ,LA VIOLENZA SULLA DONNA, LA PREVARICAZIONE E LA SOGGEZIONE PSICOLOGICA , CHE LE DONNE GIOVANI E ADULTE SUBISCONO AD OPERA DI UOMINI TURBATI PSICHICI MA CON LA VESTE DI NORMALE RISPETTABILITA’ SOCIALMENTE ACCETTATA. EPISODI DI CRONACA ANCHE RECENTE RACCONTANO DI GRAVI EPISODI IN TUTTA EUROPA , AL SUD COME AL NORD, DI VIOLENZE, RAPIMENTI, SEVIZIE , FEMMINICIDI, CHE HANNO INVESTITO DONNE , RAGAZZE BAMBINE. AD OPERA DI INSOSPETTABILI MARITI, PADRI , UOMINI, COMUNQUE INTERNI ALLA DINAMICA FAMILIARE, E QUINDI ACCETTATI E COPERTI ANCHE DALLE STESSE DONNE CHE NE SARANNO VITTIME. MA TUTTO CIO ’ ANCORA NON BASTA AL REGISTA, CHE INFATTI NON REALIZZA UN FILM INCHESTA O DI DENUNCIA , MA REALIZZA UNA VERA OPERA TRAGICA, UN DRAMMA FAMILIARE CHE ANCHE NEL LINGUAGGIO FILMICO DIVENTA TEATRO, DOVE I PERSONAGGI INTERPRETANO RUOLI CLASSICAMENTE ETERNI, IL PADRE PADRONE PERVERSO E VIOLENTO, LA MOGLIE, MADRE VITTIMA E CARNEFICE , LE FIGLIE VITTIME SACRIFICALI AL PADRE . FIN QUI IL FILM POTREBBE NARRARE UNA STORIA DI TRAGEDIA COMUNE.. MA QUESTO FILM SCONVOLGE E CAPOVOLGE LO SCHEMA NARRATIVO CLASSICO, E SCEGLIE INVECE UN LINGUAGGIO DI CINEMA CONTEMPORANEO IPERREALISTA . IL FILM INIZIA INFATTI CON LA PRIMA SCENA DEL SUICIDIO DI UNA RAGAZZA ,FIGLIA DI QUESTA FAMIGLIA CHE SALTA GIU’ DAL BALCONE DI CASA MENTRE APPUNTO LA SUA STESSA FAMIGLIA FELICE FESTEGGIA IL SUO UNDICESIMO COMPLEANNO. QUESTA SCENA INIZIALE DI PARTICOLARE VALENZA EMOTIVA, SEGNA DRAMMATICAMENTE LA PRIMA PARTE DEL RACCONTO CHE PROSEGUE PERO’ CON UNA SVOLTA INQUIETANTE LA VIOLENZA , IL SESSO NON SONO AFFATTO VISIBILMENTE PRESENTI , ANZI SI GUSTA UNA TRANQUILLA ED ESEMPLARE VITA FAMILIARE CON LE COLAZIONI AL MATTINO, I PRANZI E LE CENE A TAVOLA SEMPRE CORRETTI E PUNTUALI , TUTTI RIUNITI. COME SE NULLA FOSSE, DOVE I FIGLI VANNO A SCUOLA E LE MADRI , LE MOGLI LE NONNE SONO A CASA. A GUARDARE LA TV, E IL CAPOFAMIGLIA MARITO, PADRE , NONNO, VA AL SUO RISPETTABILE LAVORO. MA CON LA SECONDA PARTE E IL FINALE DEL FILM ,SI CAMBIA TOTALMENTE REGISTRO. SI SVELA POCO PER VOLTA L’INCREDIBILE VERITA’ : TUTTI QUESTI PERSONAGGI SONO LEGATI DAL VINCOLO DELLA VIOLENZA ANCHE SESSUALE CHE IL MASCHIO MARITO, PADRE, NONNO CARNEFICE, HA INFLITTO LORO. INFATTI L’UOMO E’ ANCHE IL PADRE DI UN FIGLIO DELLA SUA STESSA FIGLIA MAGGIORE, CHE VIOLENTA SISTEMATICAMENTE . MA ANCORA NON BASTA. LE DONNE DI CASA MOGLIE MADRI E FIGLIE SONO ATTIVE COMPLICI COMPIACENTI E CONSENSUALI VITTIME DEL LORO MASCHIO MARITO E PADRE CARNEFICE . TANTO BASTA PER UN VERO CAPOVOLGIMENTO IN STILE HORROR DEL FILM E UN ROVESCIAMENTO DEL RACCONTO CHE PRENDE UNA PIEGA DI SIGNIFICATO, RIVOLUZIONARIA, RISPETTO AL COMUNE GIUDIZIO CHE LA SOCIETA’ CIVILE ATTRIBUISCE A QUESTI FATTI. .IL CASO NARRATO IN MISS VIOLENCE E’ AI LIMITI DEL REALE DOVE PERO’ NELLA REALTA’ STORIE DI ABUSI IN FAMIGLIA SONO PIU’ CHE VERI,. IL FILM PERO’ COMPLICA MAGGIORMENTE LA STORIA INSERENDO FATTI ESTREMI, DI VENDITA SESSUALE DELLE FIGLIE E nipotine DI FAMIGLIA A COMPIACENTI AMICI DELL’UOMO MARITO PADRE NONNO, PADRONE. IL TUTTO SOTTO GLI OCCHI FIN QUI COMPLICI DELLA MOGLIE MADRE , NONNA, INSOMMA SI TRATTA DI UN CAPOLAVORO DI FAMIGLIA , PERVERSA IPOCRITA E FELICE CON L’EQUILIBRIO DI VITA QUOTIDIANA DI UN MANICOMIO CRIMINALE SE NON FOSSE CHE APPUNTO LA FOLLIA SI SCATENA NEL GRAN FINALE CHE QUI SVELERO’ ALLA FACCIA DEL THRILLER, : LE DONNE DI CASA , MOGLI MADRI NONNE E FIGLIE , DOPO AVER MANGIATO TUTTI INSIEME IL GELATINO DEL NONNO, SQUARCERANNO FINALMENTE LA CAPPA DI IPOCRISIA E DI IMPOTENZA , E A LORO VOLTA SQUARCIANDO A COLTELLATE IL CORPO DELL’UOMO, MARITO, PADRE ,NONNO, PADRONE , CON GRANDE SOLLIEVO DELLO SPETTATORE / TRICE CHE FINITO IL FILM , LASCERA’ LA SALA, CATARTICAMENTE SODDISFATTO. MAURIDAL.
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kelllli
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domenica 17 novembre 2013
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capolavoro!
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Ottimo film , storia più realistica di quanto non si possa disperare! violenza genera violenza, Angeliki resta un ANGELO perchè la zia la ama e la rende consapevole!!!!!!!!
un film che mi ha fatto sentire colpevole vs tutte le situazioni che potrei nella mia vita aver sfiorato senza capire, senza dare l'allarme, rendendomi chissà, spero di NO, complice di violenza di sistema! che si abbia sempre la capacità di scoprire la verità di abbracciare le vittime!!!!!!!!!!!!!!!!!!!il film è un capolavoro,ed è anche un tributo a tutte le vittime nel mondo delle violenze!
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