I Rec u |
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Un film di Federico Sfascia.
Con Federica Bertolani, Guglielmo Favilla, Terry Gilliam, Cay Izumi.
continua»
Fantasy,
durata 112 min.
- Italia 2012.
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Le agonie sono terribili per morire e per amare
di darkglobeFeedback: 5783 | altri commenti e recensioni di darkglobe |
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domenica 28 ottobre 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
I Rec U fa parte di certo cinema indie nostrano che, nonostante indiscutibili meriti legati in primo luogo ad una originalità che riesce a farsi spazio a dispetto dell’evidente carenza di mezzi tecnici e disponibilità economiche, fatica a trovar il giusto riconoscimento essendo abbastanza estraneo agli ambiti propri di certi circoli chiusi che amano supportare, perfino con finanziamenti pubblici, sempre le stesse produzioni sulla base di criteri spesso fortemente alieni dalla qualità delle opere prescelte.
“I Rec U” come parafrasi di “I love You”, chiaro riferimento alla forma succinta dei fraseggi da epoca social, in cui la registrazione (sembra quasi un “ti registro, dunque sei”), quella dell’apparire e del vedere in virtuale, fa le veci del mondo reale, dell’amore fisico, dell’esserci. Neve, nella sua menomata condizione, finisce per innamorarsi, non ricambiato, di ragazze di scuola sempre diverse, al punto che per la delusione due volte al mese tenta a vuoto il suicidio, provando ad impiccarsi da un albero con sopra inciso un cuore. Purtroppo, dopo l’incontro non ricambiato con l’ennesima studentessa, Neve si toglie gli occhiali dalla rabbia e sviene. Viene riportato a casa dalla supplente e psicologa Faustine (Federica Bertolani), che al suo risveglio gli confida di essere la stessa studiosa che è stata intervistata in TV in una irriverente trasmissione denominata Inquisizione scientifica e che ha sviluppato la teoria, ispirata al succitato Faust Forward; secondo tale teoria le videocassette, assorbendo ricordi ed emozioni, invecchierebbero come le persone, smagnetizzandosi con l’uso e addirittura permetterebbero di viaggiare nel tempo, se si entrasse nei nastri. Per tale motivo, in attesa del ritorno a casa del fratello di Neve, l’unico ormai ad occuparsi del ragazzo, Faustine chiede in prestito un po’ delle innumerevoli VHS che Neve registra quotidianamente, affinché possa confermare per via pratica i propri lavori teorici. Sorte vuole che il fratello di Neve, Max “La Spada” (Massimiliano Torti), rozzo donnaiolo che nel rivolgersi all’altro sesso parla di “fodero”, persona convinta che l’amore "porti via tempo, sentimenti e soldi", sia l’ex ragazzo della psicologa, lasciatosi con lei dopo che il cantante solista della band I corvi di panna, in cui suonava come chitarrista, gli aveva fatto credere di essersela portata a letto. Neve per l’ennesima volta, mentre i due discutono, va a suicidarsi presso il suo albero preferito ma incontra a sorpresa una bella ragazza dai capelli bianchi di nome Penelope (Dolphine Lundgren, sembra quasi una reminiscenza collodiana) che da un lato lo irride e dall’altro gli spiega che la vita “non è poi così lunga” e soprattutto che non la si può capire come fosse un lungometraggio, perché “dopo i titoli di coda di un film c’è la vita, la vita vera; non ci sono grandi storie, musica e lieto fine, solo giorni e altri giorni ancora”. Se dunque una cosa la puoi sognare “è perché stai dormendo” mentre dovere di Neve sarebbe ormai quello di svegliarsi: “Vivere senza amore” è dunque una scelta molto più ragionevole e meno definitiva del “morire per amore”.
Penelope toglie a quel punto di scatto gli occhiali al ragazzo e lo aiuta a vedere attraverso i rami dell’albero la fiaba di uno scoiattolo ed una danzatrice del ventre a cui il primo ha il “coraggio” di dichiararsi, smettendo di fantasticare e di soffrire le pene d’amore perché “le agonie sono terribili, sia per morire, che per amare”. Ed è a quel punto che Neve si accorge di poter vedere Penelope ad occhi nudi e se ne innamora perdutamente, mentre lei gli scaglia sull’albero un coltello con manico a forma di cuore e va via.
Di sicuro I Rec U esprime, con il suo metalinguaggio narrativo, innumerevoli suggestioni, di cui il nastro di una videocassetta ne rappresenta il filo conduttore. Il logorarsi del nastro simboleggia il fluire inesorabile del tempo, un po’ come la ricerca musicale di un Basinski che fa del suoi Disintegration Loops il fulcro del nostro dissolvimento esistenziale. Le capacità del nastro di tener traccia dei rimorsi e delle sofferenze di Neve e della sua amata rimandano inevitabilmente ai nastri di The Ring, pur con esiti e risvolti assolutamente differenti, nonostante la morte sia l’elemento angosciante comune ad entrambi i film. Qui la morte assume però il significato di riscatto, il metro di giudizio dell’amore o la cifra con cui giudicare i comportamenti di giovani incapaci di liberarsi dalla sospensione dei propri sogni e della propria esistenza. La dicotomia tra contenuto registrato su nastro e mondo reale è dunque, come scrivevamo, la necessità di allontanamento da una virtualizzazione fatta di spaesamento delle coscienze, in cui viene meno il senso del reale e della vita, dal quale nasce il tentativo di bloccare in un’immagine le proprie necessità di relazione ed amore.
C’è tanto in questo film: dai teen movie alla commedia romantica un po’ slap; dai fantasy alle suggestioni manga; dai monster movie nipponici ad un certo cinema horror post-atomico condito da prospettive da cybercultura letteraria della visione del mondo (il gioco dei multilivelli inscatolati di conoscenza); tutto in un continuo alternarsi di registri ritmici, semantici e visuali, per cui una classificazione di genere appare per certi versi quasi impossibile. Si percepisce di certo una smisurata voglia di esprimersi del regista, di dilatarsi oltre i confini del mezzo, esso stesso paradossalmente oggetto di autoflagellazione quando se ne dichiarano i limiti temporali.
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