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pipay
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giovedì 17 marzo 2011
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il titolo del film...
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Nel mio commento non ho scritto bene il titolo del film, che è "Sorelle Mai", con la m di mai maiuscola, perché in questo caso mai non è un avverbio, ma un cognome: Mai.
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pipay
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giovedì 17 marzo 2011
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eppure bellocchio non è morto, ma
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Eh. Sì, perché auguro lunga vita a Marco Bellocchio, del quale ho apprezzato in particolare “L’ora di religione” e l’insuperabile “Vincere”, ma questi sei “corti” non sono adatti ad una comune sala cinematografica. Ricordano tanto quelle retrospettive che contengono “spezzoni” di inediti e che si proiettano giusto in ricordo di un regista scomparso. Questi sei episodi, insomma, sembrano destinati ad avere un target molto ridotto di spettatori: giusto qualche cinefilo che ha voglia di rifugiarsi in una sala d’essai. E giusto qualche cinema d’essai avrebbe dovuto proiettare “Sorelle mai”. Mi pare che Bellocchio abbia voluto osare troppo pretendendo dallo spettatore quasi l’impossibile e tanta, tanta pazienza… Non mi sembra giusto che l’opera di qualche promettente regista agli esordi faccia fatica ad entrare in una valida rete distributiva e che un’opera frammentaria e sperimentale come questa sia regolarmente in più sale solo perché porta la firma di Marco Bellocchio, che avrebbe fatto più bella figura, con chi lo stima e paga per andare a vedere i suoi lavori al cinema, se avesse tenuto questi cortometraggi chiusi in un cassetto di casa sua.
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Eh. Sì, perché auguro lunga vita a Marco Bellocchio, del quale ho apprezzato in particolare “L’ora di religione” e l’insuperabile “Vincere”, ma questi sei “corti” non sono adatti ad una comune sala cinematografica. Ricordano tanto quelle retrospettive che contengono “spezzoni” di inediti e che si proiettano giusto in ricordo di un regista scomparso. Questi sei episodi, insomma, sembrano destinati ad avere un target molto ridotto di spettatori: giusto qualche cinefilo che ha voglia di rifugiarsi in una sala d’essai. E giusto qualche cinema d’essai avrebbe dovuto proiettare “Sorelle mai”. Mi pare che Bellocchio abbia voluto osare troppo pretendendo dallo spettatore quasi l’impossibile e tanta, tanta pazienza… Non mi sembra giusto che l’opera di qualche promettente regista agli esordi faccia fatica ad entrare in una valida rete distributiva e che un’opera frammentaria e sperimentale come questa sia regolarmente in più sale solo perché porta la firma di Marco Bellocchio, che avrebbe fatto più bella figura, con chi lo stima e paga per andare a vedere i suoi lavori al cinema, se avesse tenuto questi cortometraggi chiusi in un cassetto di casa sua. Comunque, anche se la noia è assicurata, la delusione non è completa perché bene o male, alla fine, qualcosa resta dentro e si avverte di aver fatto un viaggio all’interno di una vicenda (difficile però da metabolizzare e da intendere pienamente), di una famiglia in cui qualche personaggio è ben caratterizzato, di un nucleo “privato” che ha qualcosa da esprimere, anche se ristretto e chiuso negli angusti confini della provincia italiana e di un paesetto che ha poco da offrire.
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[+] sorelle e fratelli (come non) mai.
(di umbelto)
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reservoir dogs
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mercoledì 16 marzo 2011
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eterno carcere e paradiso
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Sei estati a Bobbio tra il 1999 e il 2008; Elena cresce e giunge all'adolescenza, la madre Sara (Finocchiaro) che tenta la carriera di attrice, Giorgio, il fratello di Sara, che invece sembra non essere soddisfatto di quella carriera che la sorella invece tanto desidera, trova nella casa delle zie Maria Luisa e Letizia il nascondiglio ideale per riflettere sui propri dubbi.
Alcuni personaggi se ne vanno mentre altri restano; tutti sono comunque destinati inevitabilmente a tornare sulle sponde della Trebbia.
Attraverso attori della propria famiglia, acquisiti e non, professionisti e alle prime armi (una "distratta" Rohrwacher), Bellocchio dà vita ad un personalissimo film sperimentale che affonda le proprie radici nel passato; radici che legano la famiglia che trova soluzione nell'evasione ma che comunque fa ritorno all'albero.
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Sei estati a Bobbio tra il 1999 e il 2008; Elena cresce e giunge all'adolescenza, la madre Sara (Finocchiaro) che tenta la carriera di attrice, Giorgio, il fratello di Sara, che invece sembra non essere soddisfatto di quella carriera che la sorella invece tanto desidera, trova nella casa delle zie Maria Luisa e Letizia il nascondiglio ideale per riflettere sui propri dubbi.
Alcuni personaggi se ne vanno mentre altri restano; tutti sono comunque destinati inevitabilmente a tornare sulle sponde della Trebbia.
Attraverso attori della propria famiglia, acquisiti e non, professionisti e alle prime armi (una "distratta" Rohrwacher), Bellocchio dà vita ad un personalissimo film sperimentale che affonda le proprie radici nel passato; radici che legano la famiglia che trova soluzione nell'evasione ma che comunque fa ritorno all'albero.
Un Bellocchio che cita e si autocita; frammenti de "I pugni in tasca", Giorgio che legge Cechov, la misteriosa spasimante di Giorgio (ripresa sempre in penombra) che ricorda la forse l'illusoria insegnante di religione, Sara che recita Lady Macbeth.
Quasi come nel Kammerspiel tedesco, la cinepresa funge da epidermide ai personaggi che sono filmati in ogni loro impercettibile gesto ed espressione.
Da antologia la scena finale dove Gianni Schicchi si lascia annegare col suo vecchio frac, metafora di una forzata fusione col proprio luogo d'origine, eterno carcere e paradiso.
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