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pepito1948
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martedì 29 marzo 2011
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intimità e finzione
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Un viaggio nell’intimo familiare, una docu-fiction amatoriale, un puzzle di piccole tessere composto in 10 anni, un’opera casuale, la risposta antitetica ai Pugni in tasca: sono alcune delle definizioni che si possono dare dell’ultima opera di Marco Bellocchio, una tappa irripetibile nella sua carriera di cineasta per via della scelta anticonvenzionale di raccogliere frammenti, episodi di vita familiare girati nel tempo con gli studenti del laboratorio Farecinema, e farne un unicum, integrato da personaggi e situazioni aggiunte via via in corso d’opera.
“Non è un film autobiografico né nostalgico, ma è legato alla mia vita…E’ un lavoro fatto di niente, che la butta tutto sui sentimenti e sulle cose che a me appassionano di più”.
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Un viaggio nell’intimo familiare, una docu-fiction amatoriale, un puzzle di piccole tessere composto in 10 anni, un’opera casuale, la risposta antitetica ai Pugni in tasca: sono alcune delle definizioni che si possono dare dell’ultima opera di Marco Bellocchio, una tappa irripetibile nella sua carriera di cineasta per via della scelta anticonvenzionale di raccogliere frammenti, episodi di vita familiare girati nel tempo con gli studenti del laboratorio Farecinema, e farne un unicum, integrato da personaggi e situazioni aggiunte via via in corso d’opera.
“Non è un film autobiografico né nostalgico, ma è legato alla mia vita…E’ un lavoro fatto di niente, che la butta tutto sui sentimenti e sulle cose che a me appassionano di più”. Da questo punto di vista, come dichiarato dall’autore, si tratta di un’opera rivoluzionaria, girata con apporti molteplici, a costo zero e senza la iniziale consapevolezza di farne un prodotto da far circolare un giorno nelle normali sale.
L’azione si svolge nella natia Bobbio, la stessa in cui Bellocchio 50 anni fa ambientò la sua prima prova di regista, I pugni in tasca, incentrata sulla disgregazione di una famiglia e sulla violenza che la travolse (tanto che al film, probabilmente a torto, fu attribuito il “merito” di preconizzare gli sconvolgimenti, anche sul tema della famiglia, che di lì a qualche anno sarebbero sfociati nel ’68).
Il titolo Sorelle Mai (con la maiuscola) evidenzia un cognome fittizio, ma richiama anche l’ineluttabile stasi biografica delle due anziane protagoniste (sorelle del regista nella realtà), l’unico elemento umano per decenni immobile della vecchia casa di Bobbio, che hanno rinunciato per sempre a qualsiasi separazione dal contesto familiare in cerca di nuove avventure per proteggere, dare calore, orientare gli altri ospiti in perenne transito. Poi c’è l’ultima arrivata, la piccola Elena (figlia di Marco Bellocchio) affidata alle cure delle zie, il cui sviluppo fisico scandisce il passare del tempo ed è il leit motiv visivo del fluire della storia. (Che per la verità non esiste in quanto tale, poiché le lavorazioni estive del laboratorio si sono concretizzate in una sequenza di episodi, di microstorie con inizio e fine contrassegnate dagli anni di riferimento, poi rimontate per dare fluidità e coerenza al tutto). C’è ancora Gianni Schicchi (nome reale anche dell'attore), il vecchio amico di famiglia, il Consigliere, l’Amministratore, il Dispensatore di Saggezza cui è demandato il compito di arginare gli ardori talora spericolati dei giovani ospiti. Ed eccoli infine i giovani protagonisti, fratello e sorella, dalla natura precaria, perennemente in cerca di una dimensione di stabilità e di autorealizzazione, di diverso temperamento ma uniti dalla irrefrenabile spinta a rifugiarsi di tanto in tanto nella pace e nel ristoro del piccolo paese brumoso e nell’affetto discreto e rassicurante delle zie, e ad di immergersi nelle acque invitanti del Trebbia come in un rito purificatore e decontaminante dalle quotidiane incertezze. Fughe e ritorni da/in quel micromondo segneranno le loro vite movimentate in un incessante processo di disgregazione e rigenerazione interiore.
Sorelle Mai, nonostante le evidenti proiezioni emotive dell’autore e la contiguità parentale di molti attori, è una pura fiction, dove quasi tutto è inventato sia pure su un substrato di verità: fittizi sono i personaggi, i rapporti e le situazioni, in un continuo gioco di incastro tra presente e passato e tra realtà narrata e dimensioni oniriche, come sempre nel cinema di Bellocchio (gli innesti di spezzoni del primo film e le ombre sui muri durante il sonno di Giorgio). La vita scorre producendo le sue trasformazioni, le persone crescono così come le difficoltà cui vanno incontro nell’affrontare i nuovi traguardi, ma restano fermi i baluardi cui aggrapparsi nei momenti di bisogno come le brume del paese natio, il calore della casa atavica, i radiatori di umanità che sembrano eterni ma un giorno non ci saranno più, l’abbraccio rigenerante del fiume.
L’operazione-laboratorio, semplice, libera da ogni schematismo tradizionale, con immagini spesso sgranate, cesure forzate, inquadrature improvvisate, si chiude con il tocco del Maestro, in un finale dal magico sapore poetico: l’uomo in frac entra nelle acque chete e limpide del fiume, vi si immedesima, vi si scioglie, e da quel momento scorrerà con lui. E Bellocchio sembra dire: signori, cala il sipario; noi proseguiremo dietro le quinte.
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bigmaf
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lunedì 28 marzo 2011
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che due pal..
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veramente lento, noioso e poco comprensibile..il fatto che abbia messo quasi l'intera famiglia (tutti attori???) nel cast non aiuta di certo ad aumentare la qualità del film,anzi..per me da evitare o se qualcuno vi ci porta con la "forza" come è successo a me,non dimenticate coperta e cuscino
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bigmaf
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lunedì 28 marzo 2011
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noiosissimo
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capisco che non abbia grandi fondi x il cast, ma ci mancavano solo i nonni e nel film ci piazzava la famiglia bellocchio al completo e credo che questo influisca sulla qualità generale del film..da evitare
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asiadafne
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martedì 22 marzo 2011
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film poco godibile
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film poco godibile,si segue con fatica.
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asiadafne
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martedì 22 marzo 2011
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poco godibile
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E' un film di qualità ma poco godibile per gli episodi che sembrano cortometraggi,la lentezza e itoni spenti.Il fim richiede molta attenzione,è confuso e poco empatico.
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melania
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martedì 22 marzo 2011
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poco consistente
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Film volutamente sottotono,immagini sovente buie e spente,parole sussurrate.....ho fatto fatica a seguirlo,perchè il tutto risulta lento,monotono e un po'cervellotico.Solo dopo ho capito che "mai" non è un avverbio ma il cognome delle sorelle,appunto,,,
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ghismina1
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sabato 19 marzo 2011
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poetico onirico...come al solito un gioello
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...sorelle mai è un gioiello inaspettato e unico,una perla rara,un film da vedere perchè pieno di idee,affetti,talenti,vita....fatto con pochi mezzi ma non per questo non affascinante e ammaliante....anzi...che bello sarebbe se oltre alle commedie il pubblico si riabituasse ad apprezzare anche film così delicati!!
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brian77
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sabato 19 marzo 2011
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la mano del maestro
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Capisco che il film può sconcertare uno spettatore che non sa come è stato prodotto e conosce poco l'opera di Bellocchio, perché c'è dentro il suo mondo ma raccontato in modo semi-diaristico, totalmente estraneo alle convenzioni narrativo-spettacolari cui siamo abituati quando andiamo al cinema.
Inoltre la fotografia ha ruvidezze dovute alla limitatezza dei mezzi, e i singoli episodi hanno una loro parziale autonomia, anche se poi vengono fatti rientrare in un disegno più generale (quello scolastico resta comunque un corpo estraneo).
Ma chi ha un po' di sensibilità per il cinema - e magari ci vuole anche una certa dimestichezza col mondo di Bellocchio - non può che essere coinvolto da questo bellissimo esempio di regia.
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Capisco che il film può sconcertare uno spettatore che non sa come è stato prodotto e conosce poco l'opera di Bellocchio, perché c'è dentro il suo mondo ma raccontato in modo semi-diaristico, totalmente estraneo alle convenzioni narrativo-spettacolari cui siamo abituati quando andiamo al cinema.
Inoltre la fotografia ha ruvidezze dovute alla limitatezza dei mezzi, e i singoli episodi hanno una loro parziale autonomia, anche se poi vengono fatti rientrare in un disegno più generale (quello scolastico resta comunque un corpo estraneo).
Ma chi ha un po' di sensibilità per il cinema - e magari ci vuole anche una certa dimestichezza col mondo di Bellocchio - non può che essere coinvolto da questo bellissimo esempio di regia. So che c'è chi si è annoiato: io sono uno che si annoia facilmente a vedere il cinema di questi ultimi anni, a volte muoio di noia (ad es coi blockbuster fumettari...), ma qui il magnetismo delle immagini e la tensione interna delle scene è forte per tutto il film, l'attenzione non è calata nemmeno per un attimo, perché il rapporto tra cinepresa (digitale), personaggi, storia e presenza sempre molto forte del regista è un tutt'uno di purissimo cinema.
Sarebbe da tre stellette, perché obiettivamente si sente la forzatura dell'assemblaggio e i limiti della lavorazione: ma metto la quarta stella perché quando c'è un occhio registico di questa levatura bisogna distinguere il film da tutta la piccola modesta produzione paratelevisiva italica che ci affligge.
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goldy
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venerdì 18 marzo 2011
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disorientata
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Non leggo mai nulla di un film, prima di andarlo a vedere. Così per due terzi del film, mi sono sforzata di cercare nessi tra personaggi e storie che fossere logici e legati tra loro. . Mal me ne incolse. Gli episodi sono ben raccontati con soluzioni registiche da bravo regista ma perchè sottovalutare così tanto la benevolenza dello spettatore che è naturalmente portato a seguire una narrazione con inizio, sviluppo e fine.? Il regista, questa volta, può essere accusato di una certa supponenza.
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stalker
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venerdì 18 marzo 2011
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i pugni ammorbiditi
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L'ho visto ieri sera con due amiche. la prima sorpresa vedere nella sala molta gente. la seconda ho visto quasi tutto il film con un sorriso che mi veniva spontaneo e che non riuscivo a togliermi. terza: le musiche il montaggio, la tecnica: come nel regista di matrimoni già solo questo basterebbe ad affascinare. ultima sorpresa la bontà di bellocchio: i pugni che diventano carezze famigliari, la durezza e il conforto della famiglia. un film saggio, sapiente, quella che gli anziani acquistano con la vita (Kurosawa di Madadayo; il Bergman di Fanny ed Alexander; l'ultimo Rohmer. Grazie Marco per la bella serata. che voglia di abbracciarti con le tue zie.
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