Cochabamba, Bolivia, intorno all'anno 2000. Una troupe di cineasti spagnoli giunge in città per girare un film storico sull'arrivo di Colombo nel Nuovo Continente: più che della scoperta del Nuovo Mondo, la pellicola tratterà degli abomini nei confronti dei nativi e del cinismo con il quale i colonizzatori li hanno sottomessi. A poco varranno le prediche di due religiosi: Montesinos -che per primo si accorge dello sfruttamento dei locali e della bestemmia che rappresenta la loro sottomissione nel nome di Cristo- e Bartolomé de las Casas, che tradurrà poi in azione le prediche del collega. E fin qui si parla di storia.
Come è storia la "rivolta dell'acqua" che si scatena in quei giorni nella città: armati di sassi e bastoni, gli indigeni si ribellano alla privatizzazione di questo bene fondamentale, cui li condannano i capitali stranieri e la colpevole connivenza delle autorità locali.
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Cochabamba, Bolivia, intorno all'anno 2000. Una troupe di cineasti spagnoli giunge in città per girare un film storico sull'arrivo di Colombo nel Nuovo Continente: più che della scoperta del Nuovo Mondo, la pellicola tratterà degli abomini nei confronti dei nativi e del cinismo con il quale i colonizzatori li hanno sottomessi. A poco varranno le prediche di due religiosi: Montesinos -che per primo si accorge dello sfruttamento dei locali e della bestemmia che rappresenta la loro sottomissione nel nome di Cristo- e Bartolomé de las Casas, che tradurrà poi in azione le prediche del collega. E fin qui si parla di storia.
Come è storia la "rivolta dell'acqua" che si scatena in quei giorni nella città: armati di sassi e bastoni, gli indigeni si ribellano alla privatizzazione di questo bene fondamentale, cui li condannano i capitali stranieri e la colpevole connivenza delle autorità locali. Una nuova colonizzazione, assolutamente parallela alla prima per cattiveria e cinismo.
La sola parte di fantasia di questa stupenda pellicola, per il resto quasi un documentario, è appunto la finzione della troupe cinematografica. Il cinema parla di se stesso e si fa metalinguaggio. E nel farlo la regista avverte lo spettatore che il cinema è FINZIONE: l'assistente che gira un documentario sul film-in-progress viene "spenta" dal produttore quando cerca di riprendere i moti di piazza. Niente è come sembra, e i soli personaggi che restano coerenti dall'inizio alla fine sono proprio i nativi, fra cui spicca per dignità e fierezza la splendida figura di Daniel. Gli "europei" sono tutti doppi, e finiscono per rivelarsi antitetici alle impressioni iniziali: così gli eroici religiosi di cui sopra si dimostrano due egoisti codardi, per nulla coinvolti nelle vicende dei locali; Sebastian -il regista, all'apparenza così aperto e disponibile- è legato in realtà solo al buon esito della sua creatura, il film, e non si accorge mai -nemmeno in fondo- che al mondo "c'è qualcosa di più vitale del film" come gli dice Daniel. Per contro l'"emborrachado" attore che impersona il feroce Colombo è il solo a compiere gesti di solidarietà verso i locali imprigionati sulla camionetta della polizia. E soprattutto il cinico Costa, il produttore del film, è il solo a lasciarsi coinvolgere dalla vicenda umana che colpisce Daniel, con il quale -unico fra tutti- instaurerà un legame profondo, commovente ed autentico.
Il film avvince lo spettatore dall'inizio alla fine. E' soprattutto molto sapiente il passaggio continuo fra finzione della ricostruzione filmica e storia della colonizzazione: tutte queste scene (dal discorso di Colombo appena sbarcato alla crocefissione di gruppo, passando per la liberazione dei prigionieri e la mancata scena dell'affogamento dei bambini) sono stupende e shoccanti. A contribuire alla resa emotiva dell'opera va poi sottolineata lo stupendo -come al solito!- commento sonoro di Alberto Iglesias, la cui mano autoriale è riconoscibile fin dalle prime note dei titoli di testa. A chiudere, su quelli di coda, un ringraziamento a Inàrritu (ma ci piacerebbe sapere perché...).
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