riccardo-87
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domenica 3 gennaio 2010
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l'operazione cantona
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sono andato oggi a vederlo.. francamente mi aspettavo qualcosa in più, con le critiche che lo paragonavano ai film di Woody Allen e che lo definivano "una rivelazione". Invece, per quanto non possa dire di aver visto un film scadente, soprattutto considerando cosa offre il cinema d'oggi, non mi pare di poterlo definire un gran film; sicuramente il paragone con il genio di Allen è fuori luogo, tranne per il gusto di qualche battuta che effettivamente si avvicina a quello del newyorchese e per l'idea del "personaggio consigliere immaginario" che mi ricorda il film "play it again, Sam". Le scene migliori mi paiono quelle che mostrano i gol- e lo splendido assist- di Cantona, con l'aggiunta di qualche battuta ben riuscita e qualche frase filosofica del calciatore; a mio avviso però il film, dopo che entra in scena la storia della pistola e dello psicopatico, scade nell'iverosimile e nella favoletta che vuole colpire con l'happy end.
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sono andato oggi a vederlo.. francamente mi aspettavo qualcosa in più, con le critiche che lo paragonavano ai film di Woody Allen e che lo definivano "una rivelazione". Invece, per quanto non possa dire di aver visto un film scadente, soprattutto considerando cosa offre il cinema d'oggi, non mi pare di poterlo definire un gran film; sicuramente il paragone con il genio di Allen è fuori luogo, tranne per il gusto di qualche battuta che effettivamente si avvicina a quello del newyorchese e per l'idea del "personaggio consigliere immaginario" che mi ricorda il film "play it again, Sam". Le scene migliori mi paiono quelle che mostrano i gol- e lo splendido assist- di Cantona, con l'aggiunta di qualche battuta ben riuscita e qualche frase filosofica del calciatore; a mio avviso però il film, dopo che entra in scena la storia della pistola e dello psicopatico, scade nell'iverosimile e nella favoletta che vuole colpire con l'happy end. Era forse meglio che continuasse con la descrizione della vita del protagonista - la frase più bella è forse quando Eric Bishop desrive la sua frustrazione per la sua eccessiva lontananza dallo stadio, in cui riversava tutte le sue passioni e tutti i suoi sogni, cosa che credo rifletta gran parte dei tifoso d'oggi. unica scena degna comunque di nota dopo la caduta della trama è "l'operazione Cantona", la quale secondo me riflette abbastanza bene lo spirito di solidarietà dei tifosi inglesi. comunque un film da non denigrare, perchè l'idea c'è e a tratti è piacevole.
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maria cristina nascosi sandri
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lunedì 28 dicembre 2009
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'un' ken loach val ben sempre la pena ...
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'UN' KEN LOACH VAL BEN SEMPRE LA PENA…
di Maria Cristina Nascosi Sandri
Davvero val ben sempre la pena vedere un film di Kenneth Loach, anche se i suoi capolavori assoluti riguardano, per chi scrive, i suoi più ‘antichi’ come Poor Cow, sua opera prima del 1967 o Family Life, la sua terza, pellicole tuttora attuali, in ogni caso.
Loach ha, infatti, la grandezza di un classico e, come diceva T.S.Eliot, What’s a classic? – Cos’è un classico potremmo rispondere che è ciò che una volta approcciato non passa mai di moda, sia esso un libro, un’opera d’arte od un film, prodotto della Settima quintessenziale arte.
Ma anche Il mio amico Eric, film in uscita per le ultime feste natalizie si può guardare con intelligenza, con la larghezza di vedute e la delicatezza a cui Loach ci ha pian piano abituato negli anni, dopo i film ruggenti sulla classe operaia, sulle lotte sindacali e sulla condizione umana nel Regno Unito, cifre stilistiche, ma, soprattutto, contenutistiche, che mai mancano in ogni caso, nemmeno in quest’ultimo film, una lieve storia d’amore vissuta nel tempo, con tutte le sue vicissitudini, le sue sofferenze, le sua attese, troppo lunghe, ma che la dicono invece lunga sull’essere umano amato da Ken che non è mai privo/privato della solidarietà, della coralità, nemmeno nei dolori personali che divengono collettivi per esser meglio vissuti e sopportati.
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'UN' KEN LOACH VAL BEN SEMPRE LA PENA…
di Maria Cristina Nascosi Sandri
Davvero val ben sempre la pena vedere un film di Kenneth Loach, anche se i suoi capolavori assoluti riguardano, per chi scrive, i suoi più ‘antichi’ come Poor Cow, sua opera prima del 1967 o Family Life, la sua terza, pellicole tuttora attuali, in ogni caso.
Loach ha, infatti, la grandezza di un classico e, come diceva T.S.Eliot, What’s a classic? – Cos’è un classico potremmo rispondere che è ciò che una volta approcciato non passa mai di moda, sia esso un libro, un’opera d’arte od un film, prodotto della Settima quintessenziale arte.
Ma anche Il mio amico Eric, film in uscita per le ultime feste natalizie si può guardare con intelligenza, con la larghezza di vedute e la delicatezza a cui Loach ci ha pian piano abituato negli anni, dopo i film ruggenti sulla classe operaia, sulle lotte sindacali e sulla condizione umana nel Regno Unito, cifre stilistiche, ma, soprattutto, contenutistiche, che mai mancano in ogni caso, nemmeno in quest’ultimo film, una lieve storia d’amore vissuta nel tempo, con tutte le sue vicissitudini, le sue sofferenze, le sua attese, troppo lunghe, ma che la dicono invece lunga sull’essere umano amato da Ken che non è mai privo/privato della solidarietà, della coralità, nemmeno nei dolori personali che divengono collettivi per esser meglio vissuti e sopportati.
Un film che si può serenamente definire educativo, pregnante, per adulti ed ancor più, forse, per giovani, perché una lezione di vero amore può sempre servire a tutti.
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[+] anacronistico
(di mary22)
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[+] una storia d'amore?
(di francesco2)
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gabrjack
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domenica 27 dicembre 2009
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il tifo secondo ken
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Un film del genere dovrebbero farlo vedere negli stadi italiani prima di ogni partita per far capire ai nostrani tifosi come si dovrebbe vivere la passione per il calcio. Allo stesso bar bevono pinte di birra i tifosi del City e dello United(Menchester). Si sfottono ovviamente ma tutto rientra in uno civilissimo scambio di ironiche opinioni, vorrei proprio vedere se in italia allo stesso bancone milanisti e interisti oppure romanisti e laziali con addosso le magliette della rispettive squadre riescono a berci la birra assieme, temo che a rimetterci sarebbe il povero barista che si ritroverebbe un giorno si e uno no con il locale sfasciato. E già questo è un buon motivo per vedere "il mio amcio eric".
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Un film del genere dovrebbero farlo vedere negli stadi italiani prima di ogni partita per far capire ai nostrani tifosi come si dovrebbe vivere la passione per il calcio. Allo stesso bar bevono pinte di birra i tifosi del City e dello United(Menchester). Si sfottono ovviamente ma tutto rientra in uno civilissimo scambio di ironiche opinioni, vorrei proprio vedere se in italia allo stesso bancone milanisti e interisti oppure romanisti e laziali con addosso le magliette della rispettive squadre riescono a berci la birra assieme, temo che a rimetterci sarebbe il povero barista che si ritroverebbe un giorno si e uno no con il locale sfasciato. E già questo è un buon motivo per vedere "il mio amcio eric". Concordo con chi trova il film un pò troppo favolistico, in ogni caso i temi di base rimangono, nel cinema di Loach, immutati e chiari. Il tifo è un ingrediente importante nella vita della classe operaia, di tutte le classi operaie dove il calcio è sport di massa, però essendo manipolato dai padroni del vapore che impongono miti ed esaltazioni, favoriscono indubbiamente tutte le sue devianti ferneticazioni. In questo contesto il finale rappresenta secondo me un'idea del tifo violento e bullista sconfitto dall'ironia e dalla fantasia dei tifosi postini.
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blasiot
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giovedì 24 dicembre 2009
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il calciatore filosofo e il postino triste
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quello che stupisce in un maestro del cinema è la capacita di prenderti per mano e portarti ,senza che te ne accorga, a piangere di felicità o rabbia a metà del racconto dopo che per la prima mezz'ora ti sei chiesto che cosa avrà mai di speciale questo film.E' quello che ancora una volta riesce a fare Ken Loach .Ma prima devi affezionarti a questo postino apatico e stralunato, umiliato e depresso,che sembra abbia il physique du role del fallito , che continua a scappare dal suo passato e non riesce ad affrontare il presente.Devi dare poi un senso all'ingombrante presenza dell'ologramma del calciatore-filosofo Cantona ,che non sai se giustificare come il frutto della seduta di psicanalisi collettiva degli amici di Eric o del "fumo" che Eric inala quando si chiude nella sua stanza e si isola da un ambiente familiare che gli sta facendo scontare a caro prezzo i suoi errori di gioventù.
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quello che stupisce in un maestro del cinema è la capacita di prenderti per mano e portarti ,senza che te ne accorga, a piangere di felicità o rabbia a metà del racconto dopo che per la prima mezz'ora ti sei chiesto che cosa avrà mai di speciale questo film.E' quello che ancora una volta riesce a fare Ken Loach .Ma prima devi affezionarti a questo postino apatico e stralunato, umiliato e depresso,che sembra abbia il physique du role del fallito , che continua a scappare dal suo passato e non riesce ad affrontare il presente.Devi dare poi un senso all'ingombrante presenza dell'ologramma del calciatore-filosofo Cantona ,che non sai se giustificare come il frutto della seduta di psicanalisi collettiva degli amici di Eric o del "fumo" che Eric inala quando si chiude nella sua stanza e si isola da un ambiente familiare che gli sta facendo scontare a caro prezzo i suoi errori di gioventù.
Sembra tutto assai arduo e invece minuto dopo minuto tutto si incastra e assisti alla faticosa metamorfosi di Eric e partecipi alla sua maturazione , avvenuta con quasi trent'anni di ritardo ma capace finalmente di interrompere la sua fuga dalla vita e di ridargli la gioia di vivere e la dignità di uomo.Da non perdere.
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edward teach
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martedì 22 dicembre 2009
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non ci siamo
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O si e' rimbecillito o si e' fatto furbo; il flm e' una irritante favoletta a lieto fine.
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olgadik
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lunedì 21 dicembre 2009
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c'è anche un altro calcio
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Vale la pena raccontarlo. Un postino di mezza età sfigato e depresso attraversa uno dei momentacci più brutti della sua esistenza, aggravato dai tempi di crisi e dallo smarrimento psicologico in cui versa. I soldi non bastano, gli affetti sono a pezzi, mentre al fondo si aggira il ricordo e il rimorso per un amore giovanile abbandonato per insicurezze varie. Inoltre egli si trova ad essere l’unico responsabile di una casa vecchiotta e malandata dove bivaccano senza un minimo di dialogo e collaborazione i due figliastri ereditati dalla seconda moglie fuggita non si sa dove. C’è però chi si preoccupa del momento nero di Eric Bishop (Steve Evets): sono i suoi amici di tifo e di vita. “Tutto si può cambiare nella vita ma non la propria squadra”: così è scritto nei loro cuori, ma in essi c’è posto anche per il calore dell’amicizia, per il sostegno più o meno serio o scherzoso che bisogna dare a un compagno in difficoltà, c’è insomma il gioco umano fatto di valori semplici e sempre validi.
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Vale la pena raccontarlo. Un postino di mezza età sfigato e depresso attraversa uno dei momentacci più brutti della sua esistenza, aggravato dai tempi di crisi e dallo smarrimento psicologico in cui versa. I soldi non bastano, gli affetti sono a pezzi, mentre al fondo si aggira il ricordo e il rimorso per un amore giovanile abbandonato per insicurezze varie. Inoltre egli si trova ad essere l’unico responsabile di una casa vecchiotta e malandata dove bivaccano senza un minimo di dialogo e collaborazione i due figliastri ereditati dalla seconda moglie fuggita non si sa dove. C’è però chi si preoccupa del momento nero di Eric Bishop (Steve Evets): sono i suoi amici di tifo e di vita. “Tutto si può cambiare nella vita ma non la propria squadra”: così è scritto nei loro cuori, ma in essi c’è posto anche per il calore dell’amicizia, per il sostegno più o meno serio o scherzoso che bisogna dare a un compagno in difficoltà, c’è insomma il gioco umano fatto di valori semplici e sempre validi. Ma il vero angelo custode del nostro postino è Eric Cantona, un giocatore fuori classe del Manchester con i cui poster egli ha tappezzato la propria camera da letto. Un bel giorno, mentre sprofonda sempre di più nel vuoto, se lo trova accanto, presenza immateriale ma concreta, pronta a fornirgli la sua filosofia esistenziale per superare l’impasse. Ad incarnare questo personaggio, mirabilmente descritto dal regista, è lo stesso Eric Cantona che interpreta se stesso, mostrando come dietro il discusso campione si nasconda un uomo come gli altri, capace di ironizzare sulla passata grandezza. Affiancato da questo trainer d’eccezione, Eric riacquista poco a poco fiducia. Rivede la donna che non ha mai dimenticato, allacciando rapporti con la figlia avuta da lei, sempre ignorata; risolve con l’aiuto dei suoi compagni tifosi i guai del figliastro maggiore, implicato nei crimini del boss del quartiere; riprende infine il controllo della sua casa, responsabilizzando anche il figliastro più piccolo. Al suo fianco come modello ispiratore quel calciatore massiccio e barbuto capace di trovare le parole giuste (vedi Humphrey Bogart in Provaci ancora Sam di Allen), ma soprattutto di indurre il postino a ripescare al fondo di sé i mezzi per risalire. Ancora una volta Ken Loach non fa che coniugare solidarietà sociale, quella del gruppo di amici che darà l’assalto alla villa del criminale, e riscossa individuale nonché capacità di sognare. A questo mix , sempre presente nei suoi lavori anche più duri, il garbatissimo e intelligente inglese “rosso” aggiunge in termini popolari e spontanei il calcio inteso certo in maniera diversa da quello praticato e corrotto. Quando Cantona dichiara al suo protetto di ricordare come momento più bello della sua carriera non una rete ma un passaggio, “perché mandare in goal un compagno per far vincere la tua squadra è un’emozione unica”, sentiamo tutta la partecipazione e l’emozione di Loach, che non è solo uomo di sinistra ma anche indomito tifoso. E, mi raccomando, la squadra, sia che vinca sia che perda, non si cambia per nessun motivo al mondo.
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lore tore
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domenica 20 dicembre 2009
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"non sono un'uomo... io sono cantonà"
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Qual migliore inizio per comprendere e descrivere la situazione di Eric, il protagonista della pellicola, se non trovandoci catapultati nel suon mondo fin dalle prime battute? Un quadro poco chiaro di una situazione turbolenta mentre il protagonista imbocca una rotonda contro mano accecato dalla rabbia, e la cinepresa, che quasi prende sembianze umane, cerca di corrergli dietro per metter a fuoco l’ansia e lo smarrimento di cui è succube. All’arrivo in ospedale una continua cantilena: “… Lily… devo andare a lavoro… Lily… scusa…”. Le cose di cui abbiamo più bisogno sono quelle che ci circondano tutti i giorni.
Eric, un postino, vede la sua vita, i suoi sogni, il lavoro e la famiglia andare alla deriva allontanandosi sempre più.
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Qual migliore inizio per comprendere e descrivere la situazione di Eric, il protagonista della pellicola, se non trovandoci catapultati nel suon mondo fin dalle prime battute? Un quadro poco chiaro di una situazione turbolenta mentre il protagonista imbocca una rotonda contro mano accecato dalla rabbia, e la cinepresa, che quasi prende sembianze umane, cerca di corrergli dietro per metter a fuoco l’ansia e lo smarrimento di cui è succube. All’arrivo in ospedale una continua cantilena: “… Lily… devo andare a lavoro… Lily… scusa…”. Le cose di cui abbiamo più bisogno sono quelle che ci circondano tutti i giorni.
Eric, un postino, vede la sua vita, i suoi sogni, il lavoro e la famiglia andare alla deriva allontanandosi sempre più. I suoi amici (gli unici a sostenerlo), cercano in ogni modo, tra vane battute e buffe sedute di psicoterapia di rivitalizzare il suo animo e tirarlo fuori dal tunnel depressivo. Solamente con l’aiuto del suo idolo, l’ex calciatole del Manchester U., Cantonà, e il suo duro regime di vita, Eric riuscirà a credere di più in se stesso fino a trovarsi faccia a faccia con la dura realtà…
Lo scenario descritto dal regista britannico (impegnato politicamente e che nei suoi film non esclude il duro racconto della realtà) delinea alla perfezione i caratteri delle classi meno abbienti in una città ormai in mano ai ricchi capitalisti: problemi con l’ex moglie, un figlio cresciuto nella mala-vita di strada, un lavoro insoddisfacente, un mondo che cambia velocemente e che come il passato non tornerà più. Tutto sembra perduto, insensato,vuoto. Fino all’arrivo de “le Roi” (il re), o meglio The God come lo chiamavano a Manchester, che, presentandosi quasi miracolosamente agli spettatori come un poster a grandezza naturale (195cm – 93kg) in carne ed ossa buca lo schermo come un grande attore Hollywoodiano.
Cantonà è il pilastro portante dell’intero film, dà consigli, racconta i suoi sogni e problemi, filosofeggia e quando sei sazio di racconti o infastidito dalla sua arrogante ma saggia parlantina, sa anche rollare spinelli. Ciò non significa che in assenza dell’ex calciatore il film perda credibilità, Loach è riuscito a ricreare quasi lo storico rapporto comico-esistenziale instauratosi tra Bogart e Allen in “Provaci ancora Sam”, con una rinascita emotiva e morale che rimanda al film di Mendes “American Beauty”. Il nuovo regime ha inizio proprio quando Eric smette di cucinare a tutta la famiglia pensando solo a se stesso.
Ken Loach è tutto questo, ma per chi pensa di assistere ad una storia strappa-lacrime rimarrà deluso. L’opera non solo alterna fasi di tensione a scene comiche, ma è carico di ottimismo, parola quasi dimenticata in questo periodo ma di cui abbiamo assolutamente bisogno, anche senza far riferimento alla passata (?) crisi economica. Sin dall’inizio dimentichiamo il cinema contemporaneo fatto di Drammi Eastwoodiani, di maghi di Harry P. e degli sciagurati vampiri di New Moon.
Il mondo è un gran bel posto dove nascere, o meglio, come dice il n.7 più famoso della storia : “ogni uomo è libero di scegliere la strada che preferisce, basta volerlo”.
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mary22
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mercoledì 16 dicembre 2009
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si salva il secondo tempo ma è un film noioso
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Nel primo tempo si russa: è praticamente girato tutto in una stanza. Un po' di movimento arriva nel secondo tempo,riciclato dal vecchio repertorio di Loach e nel quale si capovolge la furia della tifoseria calcistica per dare una lezione al cattivo di turno. Favolistico riscatto di un uomo. Niente di nuovo e originale. Tutto già visto nella primissima filmografia di Loach, decisamente migliore.
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sassolino
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domenica 13 dicembre 2009
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delicatezza e irriverenza
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E' un Ken Loach un po diverso quello visto ieri sera al cinema flora; più ottimista, più lieve nel mettere al centro dell'attenzione un padre/marito al disarmo, giunto alla soglia dei 50 anni con un unico sogno/stimolo, Eric Cantona, leggendario calciatore del Manchetser United divenuto famoso, oltre che per la sue doti tecniche, per una sforbiciata non proprio corretta ai danni di un britannico curvista.
L'irriverenza sembra essere la molla che innesca la bomba al plastico; basta essere succubi di un passato che non ritorna! di una società avvilente e claustrofobica!
Ci penserà il novello counselor Cantona a tirar fuori dalle secche il protagonista avvizzito, gli apparirà in camera da letto, dall'alto della sua barba prometeica e in tutta la saggezza di un ancor più irriverente spinello a due, capiranno che la vita è fatta di passaggi, che la verà felicità è fare un assist e non un gol, che si gode di più a provocar piacere che a piacersi.
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E' un Ken Loach un po diverso quello visto ieri sera al cinema flora; più ottimista, più lieve nel mettere al centro dell'attenzione un padre/marito al disarmo, giunto alla soglia dei 50 anni con un unico sogno/stimolo, Eric Cantona, leggendario calciatore del Manchetser United divenuto famoso, oltre che per la sue doti tecniche, per una sforbiciata non proprio corretta ai danni di un britannico curvista.
L'irriverenza sembra essere la molla che innesca la bomba al plastico; basta essere succubi di un passato che non ritorna! di una società avvilente e claustrofobica!
Ci penserà il novello counselor Cantona a tirar fuori dalle secche il protagonista avvizzito, gli apparirà in camera da letto, dall'alto della sua barba prometeica e in tutta la saggezza di un ancor più irriverente spinello a due, capiranno che la vita è fatta di passaggi, che la verà felicità è fare un assist e non un gol, che si gode di più a provocar piacere che a piacersi.
Ad aiutare il povero Eric (quello un po più sfigato di Catnona) accorreranno anche gli amici postali, che in un divertente finale/farsa faranno man bassa di tutte le prepotenze locali in un insurrezione da stadio molto "colorata".
Un film dalle apparenze semplici, girato con discrezione e coerenza psicologica, sottolineato da una finezza di sceneggiatura che dona all'insieme un tono delicato e incisivo.
Da vedere.
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paola di giuseppe
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martedì 8 dicembre 2009
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la working class andrà in paradiso
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La working class andrà in Paradiso, questo è certo, se solo darà retta a questa ricetta di vita che Loach affida a Eric Cantona, star del calcio, numero 7 del Manchester United pre-Beckham e mito personale di Eric Bishop, un cinquantenne depresso, prossimo al suicidio, che gira per un po’ contromano in una rotonda finchè la macchina finalmente si schianta e lui esce per fortuna solo con qualche bernoccolo.
Fa il postino, ha due odiosi figliastri a carico che gli ha mollato una ex che non si vedrà mai, una casa che sembra un deposito di bric à brac, un rifugio in camera da letto dove, tra una sigaretta e l’altra, trova conforto nel poster a grandezza naturale del calciatore.
Potenza della fede calcistica, Cantona all’improvviso si materializza e da questo momento diventerà il suo coach personale per una risalita spettacolare verso il senso della vita.
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La working class andrà in Paradiso, questo è certo, se solo darà retta a questa ricetta di vita che Loach affida a Eric Cantona, star del calcio, numero 7 del Manchester United pre-Beckham e mito personale di Eric Bishop, un cinquantenne depresso, prossimo al suicidio, che gira per un po’ contromano in una rotonda finchè la macchina finalmente si schianta e lui esce per fortuna solo con qualche bernoccolo.
Fa il postino, ha due odiosi figliastri a carico che gli ha mollato una ex che non si vedrà mai, una casa che sembra un deposito di bric à brac, un rifugio in camera da letto dove, tra una sigaretta e l’altra, trova conforto nel poster a grandezza naturale del calciatore.
Potenza della fede calcistica, Cantona all’improvviso si materializza e da questo momento diventerà il suo coach personale per una risalita spettacolare verso il senso della vita.
Looking for Eric, cercando Eric, rende meglio del titolo italiano il plot, che scorre con piacevole e intelligente leggerezza tra reale e surreale, fra le secche della banalità quotidiana in cui Eric è intrappolato e il magico virare di questa verso esiti imprevedibili, addirittura drammatici, a volte, come accade quando figli incoscienti si cacciano nei guai.
Cantona, deus ex machina quanto mai in forma atletica (anche in questo il mingherlino Eric dovrà seguirlo, con severi step di fitness e jogging), procede sicuro sul nostro eroe con i suoi magici aforismi, concentrati di spinte vitali all’insegna del “Non ci sono parole per dire non lo so fare", pillole anabolizzanti per il superIo decisamente disastrato di Eric.
“Per difendere l’avversario devi innanzitutto sorprendere te stesso” è la regola aurea, quella che segnerà il goal della vittoria. In questo ci saranno gli amici di Eric a dare man forte, e sono anche loro grandiosi esemplari di una normalità eroica nel saper prendere la vita dal verso giusto: “ridere è la medicina migliore” è il loro motto, e cercano di tirar su con barzellette ed esilaranti sedute di autoscienza self help il povero Eric, il quale, tra le altre cose, ha un grosso gap di tipo sentimentale: ama Lily, la mogliettina, ancora molto carina, abbandonata con la figlia trent’anni prima.
Insomma, situazioni del genere prima di Ken Loach solo Frank Capra avrebbe potuto dirimerle!
L’angelo però c’è anche qui, è Cantona in persona, che appare e scompare, fuma le sigarette che gli passa Eric, tranquillamente seduto in poltrona o sul letto gli dà le dritte giuste da bravo personal trainer, gli dice di tagliarsi intanto la barba, se vuol riconquistare Lily, e, alla fine, che la vita sia meravigliosa arriveranno a pensarlo anche i nostri eroi postmoderni, protagonisti di una memorabile scena finale con maschere di Cantona sul viso e pistole lanciavernice, arrivati con i classici tre pullmann da tifoseria doc a dare una lezione al mafiosetto di quartiere.
Dosaggio perfetto di ingredienti, regia, interpretazione, sceneggiatura (un Laverty al meglio di sé stesso), Il mio amico Eric è un film che riesce a riportare in primo piano concetti superati come amicizia, solidarietà, coraggio di ricominciare soprattutto da sé stessi.
Ken Loach non ha abbandonato il suo impegno sociale, ha solo cercato una formula vincente e, merito anche del campionissimo, stavolta ha fatto un gran bel goal.
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[+] frank capra..
(di mary22)
[ - ] frank capra..
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