bettyboh
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sguardo quasi documentaristico sull'amore e sull'illogicità della violenza
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L’omosessualità maschile è diventata mainstream grazie al film di Ang Lee “Brokeback mountain” (2006). In quel caso i protagonisti erano rudi cowboys che scoprivano l’amore durante il periodo della transumanza estiva. Cosa succede invece se a innamorarsi sono due neo-nazisti in Danimarca? Questo è il cuore pulsante di “Brotherhood - Fratellanza” (2009), il primo lungometraggio dell’italo danese Nicolò Donato nonchè Marco Aurelio d’oro come miglior film all’ultimo festival del cinema di Roma.
Allontanato dall'esercito in seguito ad alcune dicerie sul suo conto, Lars (Thure Lindhardt) torna a casa dei genitori. Poco dopo, quasi senza volerlo, entra a far parte di un gruppo di neonazisti. E quando si trasferirà nella casetta vicino al mare che Jimmy (David Dencik), uno dei "camerati", sta ristrutturando, tra i due nascerà qualcosa di più che una semplice, virile amicizia.
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L’omosessualità maschile è diventata mainstream grazie al film di Ang Lee “Brokeback mountain” (2006). In quel caso i protagonisti erano rudi cowboys che scoprivano l’amore durante il periodo della transumanza estiva. Cosa succede invece se a innamorarsi sono due neo-nazisti in Danimarca? Questo è il cuore pulsante di “Brotherhood - Fratellanza” (2009), il primo lungometraggio dell’italo danese Nicolò Donato nonchè Marco Aurelio d’oro come miglior film all’ultimo festival del cinema di Roma.
Allontanato dall'esercito in seguito ad alcune dicerie sul suo conto, Lars (Thure Lindhardt) torna a casa dei genitori. Poco dopo, quasi senza volerlo, entra a far parte di un gruppo di neonazisti. E quando si trasferirà nella casetta vicino al mare che Jimmy (David Dencik), uno dei "camerati", sta ristrutturando, tra i due nascerà qualcosa di più che una semplice, virile amicizia.
La pellicola ci mostra uno spaccato della nuova destra radicale europea. Un misto di nazionalismo, paura del diverso e fobia dell’islam i fondamentali ideologici. La comunicazione come punto forte insieme ad un restyling di immagine riesce a nascondere la faccia più cattiva a favore di un lato “gentile” per rendere il discorso più accettabile. La scelta di ambientare quella che è a tutti gli effetti una storia d’amore nel contesto inconciliabile di un microcosmo formato sull'ideologia del Terzo Reich composto da picchiatori razzisti è utile a catalizzare l’attenzione proprio sull’ illogicità della violenza. Al regista va riconosciuta la capacità di narrare una storia difficile senza cadere in facili sentimentalismi e stereotipi
Lo sguardo della cinepresa è spietato e quasi documentaristico soprattutto nelle sequenze dei pestaggi ma allo stesso tempo è attento a rendere la delicatezza del sentimento che unisce i due giovani, Lars e Jimmy.
Infrangere tutte le regole e il patto di fratellanza del branco per restare accanto al proprio compagno ci porterà in un crescendo di tensione fino alla catarsi finale. La legge del contrappasso di dantesca memoria si materializzerà improvvisamente nelle ultime sequenze della pellicola: dopotutto violenza genera solo altra violenza. Qui il cerchio si chiude. O magari si apre su un futuro diverso.
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mark hollis
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un film che offre interessanti spunti di riflessione
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Vincitore del Marc’Aurelio d’oro all’ultimo Festival del Cinema di Roma, l’opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato, “Brotherhood”, approda questo weekend nelle sale tentando di ottenere lo stesso consenso da parte del pubblico delle sale nazionali. Il film è ispirato ad un documentario sui gruppi neonazisti emergenti che Donato vide in televisione. A quel contesto decise di inserire una storia d’amore omosessuale e il film, oltre al clamore suscitato, lascia molti spunti di interesse e più di una riflessione allo spettatore.
Lars, il protagonista, lasciato l’esercito in disaccordo con la famiglia e rimasto solo nel decidere del proprio destino, viene avvicinato da una sorta di talent scout neonazi che, intuendo un certo potenziale in lui, cerca di inserirlo nel proprio gruppo dedito al pestaggio di omosessuali e immigrati.
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Vincitore del Marc’Aurelio d’oro all’ultimo Festival del Cinema di Roma, l’opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato, “Brotherhood”, approda questo weekend nelle sale tentando di ottenere lo stesso consenso da parte del pubblico delle sale nazionali. Il film è ispirato ad un documentario sui gruppi neonazisti emergenti che Donato vide in televisione. A quel contesto decise di inserire una storia d’amore omosessuale e il film, oltre al clamore suscitato, lascia molti spunti di interesse e più di una riflessione allo spettatore.
Lars, il protagonista, lasciato l’esercito in disaccordo con la famiglia e rimasto solo nel decidere del proprio destino, viene avvicinato da una sorta di talent scout neonazi che, intuendo un certo potenziale in lui, cerca di inserirlo nel proprio gruppo dedito al pestaggio di omosessuali e immigrati.
Superate le diffidenze iniziali, complice anche la noia e un po’ di nostalgia di clima cameratesco, Lars diventa membro del gruppo e grazie alle sue capacità riesce a “scalare” i primi gradini gerarchici. Nel contempo, complice una casa isolata da ristrutturare, si avvicina al suo coinquilino fino a quando la passione non esplode tra i due.
Il regista adesso conduce lo spettatore in un viaggio parallelo nel quale da una parte pone la storia d’amore con i relativi problemi di accettazione e segretezza e dall’altra le azioni violente del gruppo che tenta di crescere, affermarsi agli occhi dei propri concittadini, tentando una legittimazione cercata attraverso l’uso della paura verso il pericolo derivante dalle diversità e la ricerca della protezione dello status quo.
In questo viaggio parallelo tra amore e odio, si sviluppano le dinamiche del gruppo e della coppia inserite in un contesto sociale altrettanto controverso. Siamo di fronte infatti alla civilissima Danimarca che inizia a fare i conti con il problema dell’immigrazione e con le prime crepe derivanti da una globalizzazione culturale che tende a portare l’Europa verso una pericolosa deriva razzista e violenta. Come per lo Yin e lo Yang il regista mette in scena le possibili trasformazioni e contaminazioni tra mondi opposti e tenta questa strada, aiutato da una recitazione all’altezza da parte dei protagonisti, per raccontare l’amore visto come il bianco che tenta una sua possibile esistenza nel buio profondo. Questa operazione avviene senza cedere a facili retoriche ma concentrandosi sull’essenzialità utilizzando numerosi primi piani e inquadrature sui protagonisti che riescono a trasmettere tutta la rabbia e soprattutto la paura di cercare se stessi in mezzo ad un’altra umanità identica alla loro ma di difficile condivisione.
La regia asciutta, seppur a volte si soffermi troppo su alcune lungaggini che rallentano la narrazione, riesce a non cedere in termini di tensione restituendo intatta l’asprezza e il coinvolgimento emotivo. La colonna sonora risulta azzeccata pur palesemente ispirata al sound dei Sigur Ros che ben si inseriscono in contesti di solitudine, desolazione e paesaggi nordici.
Nel finale interessante che non sveleremo, a conferma di quanto detto, il coprotagonista indossa una maglia bianca, simbolo della presa di coscienza di se stesso e del proprio cambiamento che copre i tatuaggi nazisti sulla pelle a vantaggio della riscoperta che il vero coraggio è nel compiere scelte difficili restando se stessi nel mondo piuttosto che aderire a pericolose ideologie derivanti solo dalla ricerca di un proprio posto nel branco.
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stefanosantoli
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riflettori puntati sui risvolti emotivi
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Scrive Jonathan Littell che il fascista “si è costruito un Io esteriorizzato che si presenta come una corazza. Tale armatura trattiene nell’interiorità le funzioni desideranti. Ma questo Io-corazza non è mai perfettamente ermetico, anzi è fragile; nei momenti di crisi si frantuma, e il fascista rischia di essere travolto dalle sue stesse produzioni desideranti incontrollabili”. E’ questa la tensione esistenziale, prima ancora che ideologica, da cui trae linfa la vicenda narrata nel film “Brotherhood” dell’esordiente danese Nicolo Donato, vincitore del Festival di Roma 2009. Il film racconta una passione omosessuale che sboccia all’interno di una cellula di naziskin danesi. Girato con nervosa camera a mano da un regista che esce dalla scuola di Von Trier dei cui canoni estetici si sente l’influenza, il film si nutre del contrasto tra i due mondi che fa cortocircuitare, nell’antitesi tra momenti di estrema violenza e altri di acceso erotismo (reso con mirabile equilibrio tra pudore e intensità: così come intensa e allo stesso tempo timida, pudica quasi, è la passione descritta).
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Scrive Jonathan Littell che il fascista “si è costruito un Io esteriorizzato che si presenta come una corazza. Tale armatura trattiene nell’interiorità le funzioni desideranti. Ma questo Io-corazza non è mai perfettamente ermetico, anzi è fragile; nei momenti di crisi si frantuma, e il fascista rischia di essere travolto dalle sue stesse produzioni desideranti incontrollabili”. E’ questa la tensione esistenziale, prima ancora che ideologica, da cui trae linfa la vicenda narrata nel film “Brotherhood” dell’esordiente danese Nicolo Donato, vincitore del Festival di Roma 2009. Il film racconta una passione omosessuale che sboccia all’interno di una cellula di naziskin danesi. Girato con nervosa camera a mano da un regista che esce dalla scuola di Von Trier dei cui canoni estetici si sente l’influenza, il film si nutre del contrasto tra i due mondi che fa cortocircuitare, nell’antitesi tra momenti di estrema violenza e altri di acceso erotismo (reso con mirabile equilibrio tra pudore e intensità: così come intensa e allo stesso tempo timida, pudica quasi, è la passione descritta). Il protagonista Lars (davvero bravo Thure Lindhardt: ma ottimi appaiono tutti gli interpreti), è un ex sergente che, scottato da una mancata promozione, abbandona la carriera e viene accolto da un gruppo neonazi nei confronti del quale provava un’iniziale avversione. Ne diverrà proselito, blandito nella sua frustrazione dal capo Michael, il quale intravede nel suo sdegno una superiore brillantezza intellettuale di cui il gruppo si gioverebbe. Sono dinamiche, ben descritte nel film, cui Hannah Arendt ha dedicato pagine importanti del suo “La banalità del male”. Tra Lars e Patrick (Morten Holst) nasce un rapporto in cui Patrick assiste letteralmente senza parole all’emersione della sua interiorità nascosta. Lars rimane più lucido, in un’autonomia di giudizio non scalfita dalle logiche del gruppo, tanto ottuse quanto frutto di profonda immaturità (rivelatore a riguardo il giudizio con cui i neonazi vengono liquidati dalla madre di Lars, della quale per il resto si intuisce un atteggiamento protettivo incentrato sulla carriera, e non ricettivo dell’identità del figlio). Lars è irriverente, e ragiona abbastanza da attrarsi più spesso le antipatie dei membri omologati del gruppo nazista, i cui comportamenti sono descritti attraverso stereotipi che non si fatica a ritenere purtroppo verosimili. La pellicola avrebbe tratto spessore da un loro più preciso approfondimento, e da un’esposizione meno schematica delle dinamiche interne di potere. Ma al regista e sceneggiatore interessano soprattutto i risvolti interiori, e li rivestono di adeguate tinte melodrammatiche. Donato ha affermato, riduttivo, che l’ambientazione neonazista fosse un espediente “per dimostrare che l'amore non si può controllare: volevo inserirlo in un contesto in cui non è accettato ma in cui nasce lo stesso”. I momenti più belli del film sono in effetti quelli in cui i rumori sfumano, e la musica apre un varco a scene di lirismo ricercato, quasi a indicare una (man mano più difficile) via di fuga. Quello che il film però manca è di sviscerare le contraddizioni dell’animo di Lars, andando al cuore delle loro conseguenze. Come rimane un’esposizione esteriore quella dei cerimoniali nazisti, così la pellicola ci offre un bagaglio di suggestioni e argomenti ben composti fra loro, ma il finale aperto lascia la sensazione di aver assistito alla superficie di un conflitto, di una frattura che è lontana dal risolversi: sia tra i diversi individui coinvolti, sia, soprattutto, nel profondo degli animi.
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paola_alioto
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brotherhood, ma la fratellanza non c'è
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Nessuna redenzione per i Neo-nazisti: questo sembra essere il messaggio di Brotherhood - Fratellanza, opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato. All'interno di un gruppo neo-nazi danese si insinua un nuovo adepto, Lars, un ex-soldato, che pian piano guadagnerà punti all'interno dell'organizzazione, entrando nelle grazie di Kilo (il capo banda diciamo). Tra i vari membri del gruppo, Lars crea un legame, complice, in tutto questo, la convivenza in una casa sulla spiaggia da ristrutturare, con Jimmy. Il rapporto sfocerà in una relazione d'amore, che porterà con se il grave problema di essere nata in un ambiente che non la consente. La micro-società nazi in cui Lars e Jimmy, soprattutto quest'ultimo, vivono, non ammette relazioni omosessuali, al contrario, proprio gli omosessuali sono oggetto dei loro pestaggi (proprio con la violenza su un ragazzo gay inizia il film); del resto, si sa, i nazisti, per antonomasia, sono omofobi, xenofobi.
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Nessuna redenzione per i Neo-nazisti: questo sembra essere il messaggio di Brotherhood - Fratellanza, opera prima del regista italo-danese Nicolo Donato. All'interno di un gruppo neo-nazi danese si insinua un nuovo adepto, Lars, un ex-soldato, che pian piano guadagnerà punti all'interno dell'organizzazione, entrando nelle grazie di Kilo (il capo banda diciamo). Tra i vari membri del gruppo, Lars crea un legame, complice, in tutto questo, la convivenza in una casa sulla spiaggia da ristrutturare, con Jimmy. Il rapporto sfocerà in una relazione d'amore, che porterà con se il grave problema di essere nata in un ambiente che non la consente. La micro-società nazi in cui Lars e Jimmy, soprattutto quest'ultimo, vivono, non ammette relazioni omosessuali, al contrario, proprio gli omosessuali sono oggetto dei loro pestaggi (proprio con la violenza su un ragazzo gay inizia il film); del resto, si sa, i nazisti, per antonomasia, sono omofobi, xenofobi. Essere "diversi" e appartenere ad un mondo che contro quei diversi usa la violenza: l'unica soluzione per Lars e Jimmy è tenere tutto nascosto (Lars, propone a Jimmy di scappare, mollare tutto ma lui, fedele all'organizzazione ribadirà che non è possibile lasciarla, ripetendo "Sai cosa succede?!?"). Ma tutti i nodi vengono al pettine, e così i due verranno scoperti dal fratello minore di Jimmy che andrà a riferire tutto a Kilo. Qui viene da chiedersi dove sta la Fratellanza del titolo, se con tale termine si indica quel vincolo affettivo, di sangue che lega due persone e, sulla base del quale, anche con delle reticenze, il giovane dovrebbe accettare lo "status" di Jimmy ed invece... Davanti all'ideologia nazista nemmeno i legami di sangue valgono qualcosa... o forse, a questo c'è da aggiungere l'eventualità che, riportare la situazione a Kilo, per il giovane sia l'unica possibilità di liberarsi di Lars... Un forte senso della circolarità sembra propagarsi: Jimmy, quasi alla fine, quando sembra deciso a fuggire via con Lars, viene ferito dal giovane gay picchiato nella scena d'apertura del film. Fine della pseudo-fuga. I sogni di Jimmy distrutti allo stesso modo in cui lui e gli altri "fratelli" distruggono quelli degli altri. Ed il finale del film ne è il corollario. Per questo amore non c'è speranza... Lodevole è l'intento del regista di aver scelto di trattare un tema abbastanza forte, ma il film in alcuni punti tende un pò a cadere in coloriture da "mèlos hollywoodiano" che ne sviliscono il valore.
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gagnasco
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mercoledì 21 luglio 2010
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ne gay ne nazi
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Lars è un giovane di buona famiglia ben avviato alla carriera militare...quando beve un bicchiere di troppo molesta però altri uomini, atteggiamento non tollerato nell'esercito e infatti gli viene fatta ritirare la domanda di promozione e viene indotto a cambiare attività. Durante un ritrovo in casa di amici si fa notare da Micheal detto Kilo, alto membro di un'organizzazione neo-nazista che lo tira dentro attraverso una contropsicologia spicciola. Kilo si innamora subito delle capacità e della brillantezza di Lars (tuttavia non viene mostrato cotanto ingegno) e lo affida a un pari grado, Jimmy, per l'apprendistato e finalizzato a rendere l'ex militare un membro A dell'organizzazione. Jimmy sta riparando una casa per i vertici dell'organizzazione e intanto vive li.
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Lars è un giovane di buona famiglia ben avviato alla carriera militare...quando beve un bicchiere di troppo molesta però altri uomini, atteggiamento non tollerato nell'esercito e infatti gli viene fatta ritirare la domanda di promozione e viene indotto a cambiare attività. Durante un ritrovo in casa di amici si fa notare da Micheal detto Kilo, alto membro di un'organizzazione neo-nazista che lo tira dentro attraverso una contropsicologia spicciola. Kilo si innamora subito delle capacità e della brillantezza di Lars (tuttavia non viene mostrato cotanto ingegno) e lo affida a un pari grado, Jimmy, per l'apprendistato e finalizzato a rendere l'ex militare un membro A dell'organizzazione. Jimmy sta riparando una casa per i vertici dell'organizzazione e intanto vive li. Lars viene condotto da Kilo a vivere con Jimmy e cambia un po' il registro narrativo. I due superano un'iniziale diffidenza e poi cominciano a fare amicizia fino ai fatali due bicchieri di troppo con i quali Lars si scatena, Jimmy ci pensa due secondi e si lascia andare e comincia la loro galeotta storiella d'amore.
Discutibile la metamorfosi dei personaggi: prima della convivenza sono tutti dei duri, al partire della convivenza(prima degli atti omosessuali) a mio parere sono troppi i sorrisetti e le azioni da uomo molto sensibile.
Discutibile la banalizzazione di ogni argomento politico-sessuale ( non mi intendo di neo nazismo ma la morale del film è che, e sono daccordo, queste organizzazioni sono una manica di froci).
Occhio alla masturbazione subita da lars. In una pubblicità di uno sciampo si strattonano delle ciocche di capelli indistruttibili, nella realtà meglio astenersi.
Tutto sommato decente, visto l'argomento e la coda di paglia degli omosessuali e degli omosessualisti (ben peggio che parlare male di chiesa, cosa comunque gratificante) è già tanto che non sia didascalico...forse perchè si voleva solo dimostrare lo slogan: "il razzismo è un boomerang" più che parlare di gay o nazismo...per fortuna.
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marco capraro
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domenica 10 giugno 2012
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un film commovente e struggente
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Un film delicato e al contempo struggente. E' la storia di un amore difficile ma non per questo poco vissuto. La sceneggiatura di questo regista mi ha colpito. E' fredda ma al contempo molto introspettiva, profonda e dinamica. Brillante anche la colonna sonora che accompagna i momenti più toccanti, intimi e commoventi di questa pellicola. Un colpo al cuore è dato fortemente dal finale che preferisco non rivelare per principio. Ne consiglio vivamente la visione e per quanto possa considerarlo lontano dal capoalvoro cinematografico devo ammettere che è per me un esordio più che gradito!
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ultimoboyscout
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venerdì 1 luglio 2011
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un urlo a bassa voce.
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Passato inosservato nei cinema, ha fatto furore al Festival del cinema di Roma. E' un film forte, duro, intelligente e di qualità con una prima parte molto migliore della seconda. In effetti la fase iniziale, quella della conoscenza e del reclutamento del protagonista da parte del gruppo nazi è affascinante e ricca di spunti e significati. Si perde invece successivamente, quando si addentra nella fase gay, palesando uan regia incerta e una sceneggiatura poco convincente. Chissà quali fossero gli intenti di Donato, tra alti e bassi comunque ampiamente promosso: dimostrare che c'è omosessualità in un ambiente machista e xenofobo come quello nazifascista, significando che tutti hanno un lato omosex latente? Oppure che anche uomini spietati possono avere sentimenti veri?.
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Passato inosservato nei cinema, ha fatto furore al Festival del cinema di Roma. E' un film forte, duro, intelligente e di qualità con una prima parte molto migliore della seconda. In effetti la fase iniziale, quella della conoscenza e del reclutamento del protagonista da parte del gruppo nazi è affascinante e ricca di spunti e significati. Si perde invece successivamente, quando si addentra nella fase gay, palesando uan regia incerta e una sceneggiatura poco convincente. Chissà quali fossero gli intenti di Donato, tra alti e bassi comunque ampiamente promosso: dimostrare che c'è omosessualità in un ambiente machista e xenofobo come quello nazifascista, significando che tutti hanno un lato omosex latente? Oppure che anche uomini spietati possono avere sentimenti veri?. Credo che ci siano picchi di delirante follia e che l'omosessualità sia solo un pretesto per raccontare una storia coraggiosa e nera, nera come l'animo dei protagonisti, nera come le notti buie e fredde di Danimarca. La fotografia livida e gelida è infatti funzionale allo scopo, contribuendo in maniera decisiva a rendere ambienti ed atmosfere ancor più glaciali. Rischia, tra corpi nudi che si aggrovigliano, pestaggi violenti e richiami di hitleriana memoria di scivolare in più di un'occasione nel retorico, riuscendo a sfangarla sempre piuttosto bene. Cast sconosciuto ma che si è ben prestato. Non vuole certo fare il verso a "Brokeback Mountain", lo ricorda e non gli è nemmeno troppo inferiore, tratta argomenti simili ma in situazioni agli antipodi. Fosse stato di produzione americana avrebbe spopolato.
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lukemc67
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film ambiguissimo sul piano ideologico
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Melodrammone in salsa nordica che cerca di coniugare il gelo scandinavo con le torride passioni mediterranee esattamente come cerca di far coniugare ai suoi protagonisti omosessualità latente con la scelta di rifiutarla aderendo a chi la combatte e la punisce attivamente. Risultato: se dal lato sentimentale l'obiettivo è centrato quasi shakespearianamente, la delusione è totale quanto al rapporto tra fobia per il diverso e l'essere se stessi "diversi". Il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un documentario della tv danese: ammesso pure che la televisione in Danimarca sia di buon livello qualitativo, Donato casca in pieno nella trappola di tratteggiare a suon di stereotipi proprio l'ambiente neonazista che invece avrebbe meritato una ben più profonda analisi realistica e una rielaborazione personale.
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Melodrammone in salsa nordica che cerca di coniugare il gelo scandinavo con le torride passioni mediterranee esattamente come cerca di far coniugare ai suoi protagonisti omosessualità latente con la scelta di rifiutarla aderendo a chi la combatte e la punisce attivamente. Risultato: se dal lato sentimentale l'obiettivo è centrato quasi shakespearianamente, la delusione è totale quanto al rapporto tra fobia per il diverso e l'essere se stessi "diversi". Il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un documentario della tv danese: ammesso pure che la televisione in Danimarca sia di buon livello qualitativo, Donato casca in pieno nella trappola di tratteggiare a suon di stereotipi proprio l'ambiente neonazista che invece avrebbe meritato una ben più profonda analisi realistica e una rielaborazione personale. Quanto al dramma umano dei protagonisti, sempre Donato ha affermato che voleva "mostrare il lato umano dei cattivi": il materiale c'era, sarebbe bastata la passione tra i protagonisti, resa così meravigliosamente dalla fisicità e dalla prossimità insistente e impietosa della cinepresa sui loro corpi. Ma, anche qui, l'ingranaggio non funziona: se lo spettatore è letteralmente inghiottito nella passione dei due, non altrettanto lo è in tutto ciò che accade "collateralmente" e che invece avrebbe dovuto essere il co-protagonista obbligato dell'intera vicenda. Peccato davvero perché era una notevole occasione per analizzare quell'omofobia che infesta anche il nostro Paese e che spessissimo è alimentata e praticata proprio da chi reprime con ogni mezzo le proprie spinte omoerotiche. Oppure, avrebbe potuto essere un viaggio al fondo del mondo neonazi europeo, alimentato da giovani impauriti, insoddisfatti e soprattutto senza alcuna prospettiva di futuro migliore rispetto a quello che i loro padri e nonni hanno prima conquistato e poi goduto oltremisura. Il film, però, non è da buttar via perché comunque funziona benissimo sul piano melodrammatico: le straordinarie interpretazioni dei vari attori, che (si) mettono in gioco tutto quel che il fisico, la mimica facciale e gli sguardi possono comunicare, lo stile "Dogma-attenuato" che Donato sceglie per fotografia e montaggio (alla produzione di questa pellicola c'è anche la Zoentropa di un certo signor Von Trier), restituiscono in pieno l'erotismo estremo che regna tra i due protagonisti: una fisicità talmente spinta che sembra quasi di poter sentire l'odore e le temperature dei corpi quando stanno per approcciarsi, mentre si abbandonano agli amplessi, quando si separano e quando si dilaniano. Il tutto però è condito da troppi stereotipi e troppe citazioni (forse involontarie) del celebre film di Ang Lee, con tanto di pianto rotto del compagno-carnefice(?) sul corpo coperto di tumefazioni del compagno-vittima(?)... Suo malgrado, quindi, il film finisce con l'essere ambiguissimo proprio sul piano ideologico, non approfondendo quel razzismo profondo che colpisce il gay Jimmy e i suoi compagni (più o meno) etero. Il finale aperto salva in parte il pasticcio lasciando volutamente sospese sull'orlo del baratro le esistenze di tutti i personaggi del film. Nota particolare di merito all'attore che impersona Patrick, il fratello drogato del protagonista: il suo dramma di persona ferita dall'assenza di riferimenti "adulti" stabili e dal sentirsi (ed essere) continuamente tradito, "passano" molto più delle contorsioni sentimentali troppo ragionate dei protagonisti, i quali, ultima e definitiva ambiguità del film, finiscono con esprimerle attraverso il linguaggio più emotivo che c'è: quello degli occhi.
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brian77
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martedì 6 luglio 2010
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compitino didascalico
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Ennesimo compitino stucchevole. Tema: come raccontare una relazione omosessuale in ambiente terribilmente omofobo? Svolgimento: mettiamola tra i neonazisti, peggio di così... E allora, sotto con una sceneggiatura didascalica, personaggi a una dimensione, andamento scontato, mai un'invenzione di regia manco a pagarla, lentezza esasperata - non lentezza di ritmo (ogni film ha il suo ritmo), ma lentezza di noia per amncanza di idee. Il problema è: per quale motivo questi difetti ammorbano il novanta per cento di quei film che si autodefiniscono "di qualità", mentre non si capisce mai dove sia questa qualità? Ridateci un cinema di idee, di invenzioni, di slanci, di iperboli! Basta con questi compitini per professoresse, dove sai già in anticipo quello che succederà nei dieci minuti successivi - ma non dico a livello di sceneggiatura, chissenefrega, ma a livello di cinema, di idee, di invenzioni.
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Ennesimo compitino stucchevole. Tema: come raccontare una relazione omosessuale in ambiente terribilmente omofobo? Svolgimento: mettiamola tra i neonazisti, peggio di così... E allora, sotto con una sceneggiatura didascalica, personaggi a una dimensione, andamento scontato, mai un'invenzione di regia manco a pagarla, lentezza esasperata - non lentezza di ritmo (ogni film ha il suo ritmo), ma lentezza di noia per amncanza di idee. Il problema è: per quale motivo questi difetti ammorbano il novanta per cento di quei film che si autodefiniscono "di qualità", mentre non si capisce mai dove sia questa qualità? Ridateci un cinema di idee, di invenzioni, di slanci, di iperboli! Basta con questi compitini per professoresse, dove sai già in anticipo quello che succederà nei dieci minuti successivi - ma non dico a livello di sceneggiatura, chissenefrega, ma a livello di cinema, di idee, di invenzioni. Solito piattume. Cinema da festival, ahimé. Andate a vedere questo tipo di produzioni negli ultimi trent'anni: non ce n'è una che sia rimasta nella storia del cinema. Passano e volano via nel nulla, naturalmente dopo essere state coperte di elogi...
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