francesco rossini
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sabato 10 maggio 2008
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la fuga senza scampo
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La disperata e inesorabile discesa dello sbirro Louis Schneider, poliziotto con meriti speciali presso il dipartimento di Marsiglia, è il tema di fondo dell'ultima fatica di Olivier Marchal. Un devastato quanto strepitoso Daniel Auteil si appiccica letteralmente alla macchina da presa per consegnarci sospiri, gemiti, fiati alcolici e soprattutto l'immenso dolore di un uomo che era dove non doveva essere nel momento in cui la sua famiglia veniva distrutta per sempre. Una sofferenza tangibile per tutta la durata del film, quella dello sbirro in cerca di redenzione, che finisce per conferire alla pellicola un andamento organico e profondissimo come non se ne vedeva da tempo. A fare da contrappunto a questo lento precipitare c'è invece la storia di una rinascita, dolorosa e innocente di una ragazza (Olivia Bonamy), che sulle macerie di una famiglia distrutta da un duplice omicidio, trova la forza di portare a termine una gravidanza nonostante l'incubo di un terribile assassino.
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La disperata e inesorabile discesa dello sbirro Louis Schneider, poliziotto con meriti speciali presso il dipartimento di Marsiglia, è il tema di fondo dell'ultima fatica di Olivier Marchal. Un devastato quanto strepitoso Daniel Auteil si appiccica letteralmente alla macchina da presa per consegnarci sospiri, gemiti, fiati alcolici e soprattutto l'immenso dolore di un uomo che era dove non doveva essere nel momento in cui la sua famiglia veniva distrutta per sempre. Una sofferenza tangibile per tutta la durata del film, quella dello sbirro in cerca di redenzione, che finisce per conferire alla pellicola un andamento organico e profondissimo come non se ne vedeva da tempo. A fare da contrappunto a questo lento precipitare c'è invece la storia di una rinascita, dolorosa e innocente di una ragazza (Olivia Bonamy), che sulle macerie di una famiglia distrutta da un duplice omicidio, trova la forza di portare a termine una gravidanza nonostante l'incubo di un terribile assassino.
Film dai contenuti durissimi, c'è l'ormai consueta mancanza di ortodossia dei metodi da parte dei poliziotti di trincea che Marchal, forte di un'esperienza più che decennale nell'antiterrorismo francese, non manca di sottolineare; c'è il fallimento del tentativo di riscatto, ci sono scenari marsigliesi iperrealistici e talvolta grotteschi e c'è soprattutto una strepitosa fotografia - nelle inquadrature e nelle luci - che, cambiando repentinamente il registro visto in 36, si fa più intima, quasi a mostrificare le visioni del protagonista ossessionato da qualcosa di irreparabile. E infatti non c'è remissione per il nostro poliziotto, non c'è pace. Il meccanismo che lo stritola nasce proprio da una sua debolezza, da una sua visione delle cose, quasi da una questione di principio.
Un Daniel Auteil che raramente, in questo film, mostra i suoi occhi - quasi sempre coperti da due lenti giallo fumè - ma che ci lascia un'interpretazione superlativa per le continue sfumature di dolore, come un basso continuo impreziosito da struggenti acuti di impossibilità. Il cast è, come sempre nei film di Marchal, grottescamente perfetto. Ogni ruolo, dalla ragazza al nonno, dall'assassino ai colleghi di distretto, è ricoperto ed eseguito con misura nel non facile immaginario (forse non troppo) mondo di questo regista che si conferma un assoluto talento del genere polar.
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maurizio crispi
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domenica 11 maggio 2008
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un canto alla vita e all'amore
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, intensamente claustrofobiche, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di colori base della gamma cromatica. Il poliziotto Schneider, immerso in una spirale di deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista).
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, intensamente claustrofobiche, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di colori base della gamma cromatica. Il poliziotto Schneider, immerso in una spirale di deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista). Le scene in flashback, invece, sono rigorosamente in bianco-nero, velocizzate al massimo e riprese per esplosioni di dettagli esasperati, ma tanto concitate che non è possibile registrarne i particolari: ciò è funzionale nell'enfatizzare la soggettività dei diversi personaggi, di Schneider e Bustine, entrambi alle prese con i propri fantasmi personali e con l'impossibilità di un'autentica elaborazione del dolore. Il volto di Schneider, livido e scavato dalle ombre, appare cadaverico, come se egli fosse da tempo morto.
Nel definire gli altri co-protagonisti - poliziotti disonesti senza rimedio e venduti ad un sistema che tutto vuole fuorché la ricerca della verità, rappresentati come "ipertipi" quasi grotteschi - si ravvisa una ridondanza che li porta ad essere dei clichè categoriali ed assoluti.
Forse, proprio per questo, la vicenda narrata da Marchal (ex-poliziotto lui stesso, con un servizio nel nucleo antiterroristico di Versailles) appare disperata ed eccessiva, profondamente esistenziale: la storia di un uomo che, ormai sulla via del declino e alcoolizzato, ancora in vita, vuole scontare da vivo la morte che non l'ha preso, quando avrebbe dovuto, assieme alle persone che per lui erano più care, è efficace e capace di alimentare un nucleo di emozioni profonde nello spettatore. Viceversa, l'altra protagonista "in parallelo", Justine, vive drammaticamente il ricordo, mai elaborato, della morte atroce di entrambi i genitori per mano di un brutale killer e, a causa di esso, non riesce a vivere con gioia autentica ed abbandono alcun momento della sua vita, dominata com’è dall'angoscia e dalla paura.
Mentre si dispiega l'indagine per fermare un serial killer autore di efferati delitti a sfondo sessuale (in cui Louis, pur sospeso dal sevizio, avrà un ruolo decisivo) avviene un incontro catalizzatore che, paradossalmente, genera vita e voglia di vivere in Justine e desiderio di "liberazione" definitiva in Louis, che si attiva per compiere appunto la sua "ultima missione".
Soltanto nel finale, si scioglierà la cupezza e il dramma giungerà alla sua risoluzione: il crepuscolo e le atmosfere mortifere lasceranno campo ai pieni colori dell'amore che, pur mai espresso, emerge con prepotenza in un intenso inno vitalistico, punteggiato dai vagiti di una nuova vita.
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(di marco padula (scrittore))
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lafcadio
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mercoledì 23 aprile 2008
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l'esserci di auteuil
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Una pellicola dura ma necessaria che sottolinea il sottosuolo delle coscienze - ben leggibile nei volti dei personaggi - colpite da una violenza che, entrando nell'apparente ordinario della vita, ne sconvolge i parametri costrinngendo a quel residuo unico di autenticità che apre alla morte(l'esserCI heideggeriano):unica possibilità che, per contrasto, fa apprezzare la vita ma solo a sprazzi.La dialettica ci pone, inermi, davanti ad ogni potenziale dramma in agguato e questa certezza annulla ogni tentativo di comoda assoluzione. Il finale,qui la simbologia è palese, in cui nascita e morte si coniugano,evidenzia l'impossibilità di fermare il meccanismo esistenziale che,a detta di chi scrive, non va letto in chiave positiva.
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Una pellicola dura ma necessaria che sottolinea il sottosuolo delle coscienze - ben leggibile nei volti dei personaggi - colpite da una violenza che, entrando nell'apparente ordinario della vita, ne sconvolge i parametri costrinngendo a quel residuo unico di autenticità che apre alla morte(l'esserCI heideggeriano):unica possibilità che, per contrasto, fa apprezzare la vita ma solo a sprazzi.La dialettica ci pone, inermi, davanti ad ogni potenziale dramma in agguato e questa certezza annulla ogni tentativo di comoda assoluzione. Il finale,qui la simbologia è palese, in cui nascita e morte si coniugano,evidenzia l'impossibilità di fermare il meccanismo esistenziale che,a detta di chi scrive, non va letto in chiave positiva. Belle le musiche e bravo il Direttore della fotografia e, naturalmente, il Regista,Oliver Marchal.
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[+] un noire d'altri tempi
(di oz-zadolica)
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[+] x oz-zadolica
(di lafcadio138690)
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(di x oz - zadolica)
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martedì 10 aprile 2012
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marchal e auteuil, che altro?
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Con questo cupo, triste e delirante "polar" Olivier Marchal si conferma degno erede di Melville, che con "Frank Costello faccia d'angelo" e "I senza nome" raggiunse le vette più alte del "noir" francese anni '60. Marchal va ancora oltre con il personaggio di Louis Schneider (Daniel Auteuil), un uomo alla deriva deluso, arrabbiato, colpito nei suoi affetti e tormentato dai fantasmi del passato che lo torturano impedendogli di condurre una vita serena, di vedere con lucidità il futuro davanti a lui. Il suo tempo non è più scandito neppure dall'orologio ma dalla... bottiglia. Daniel Auteuil si conferma grande impersonando il protagonista, il poliziotto Schneider, odiato da Kovalski e aiutato dalla splendida Marie (Catherine Marchal) e dal fido Georges, gli unici due pronti a scommettere ancora su di lui prima dell'arrivo della triste Justine, preoccupata per l'uscita dal carcere dell'assassino che massacrò la sua famiglia rovinandole l'esistenza.
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Con questo cupo, triste e delirante "polar" Olivier Marchal si conferma degno erede di Melville, che con "Frank Costello faccia d'angelo" e "I senza nome" raggiunse le vette più alte del "noir" francese anni '60. Marchal va ancora oltre con il personaggio di Louis Schneider (Daniel Auteuil), un uomo alla deriva deluso, arrabbiato, colpito nei suoi affetti e tormentato dai fantasmi del passato che lo torturano impedendogli di condurre una vita serena, di vedere con lucidità il futuro davanti a lui. Il suo tempo non è più scandito neppure dall'orologio ma dalla... bottiglia. Daniel Auteuil si conferma grande impersonando il protagonista, il poliziotto Schneider, odiato da Kovalski e aiutato dalla splendida Marie (Catherine Marchal) e dal fido Georges, gli unici due pronti a scommettere ancora su di lui prima dell'arrivo della triste Justine, preoccupata per l'uscita dal carcere dell'assassino che massacrò la sua famiglia rovinandole l'esistenza. Per Schneider una motivazione in più, confortare la ragazza e trovare questo "fantasma" probabilmente ancora pericoloso. La pioggia è spesso presente e insieme al cielo scuro aumenta il senso d'inquietudine di tutta la pellicola. Comunque la dipendenza dall'alcool non impedisce al poliziotto di avere intuizioni vincenti (tutte le vittime del serial killer a cui deve dare la caccia, prima ufficialmente e poi ufficiosamente, avevano un animale domestico...) e riesce anche ad aiutare Justine (Olivia Bonamy), cha alla fine si appoggia totalmente a lui, rimasta anche lei sola, proprio sola. Marchal è davvero bravo, forse un paio di scene sono troppo lunghe e violente, ma d'altronde ha anche un'idea geniale e vincente. Il film è girato in epoca attuale, ma sceglie come auto personale di Schneider una vecchia Volvo degli anni '60, seppure ben conservata e con il volante sportivo... Questa vettura si integra a meraviglia con la personalità del protagonista, è un complemento ideale per Schneider/Auteuil, così dimesso, a volte barcollante e con la barba sempre incolta. Bellissima la scena in cui esce dalla pensione, sale sulla Volvo posteggiata in strada e accende il motore, partendo per proseguire le indagini. Anche la vettura di Justine, una BMW degli anni '70, è una scelta atipica e dà un tocco "retro" al parco macchine dei protagonisti, un valore aggiunto in termini di originalità. Straordinario Auteuil quando, parlando con Marie del dramma più grande che sta vivendo, esclama - "Nessuno lo ha voluto, però è successo..."- Si poteva approfondire di più la figura di Georges, dal momento che moglie e figlia non si vedono mai, nè prima nè... dopo. Ma è un dettaglio marginale, il film regge benissimo così. Per gli appassionati di "polar" davvero imperdibile, da vedere senza interruzioni e in silenzio. - di "Joss" -
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maurizio crispi
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sabato 10 maggio 2008
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un canto alla vita e all'amore
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di alcuni colori. Il poliziotto Louis Schneider, immerso in una spirale di inarrestabile deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti con cui interagisce, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista).
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di alcuni colori. Il poliziotto Louis Schneider, immerso in una spirale di inarrestabile deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti con cui interagisce, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista).
Le scene in flashback, invece, sono rigorosamente in bianco-nero, velocizzate al massimo e riprese per esplosioni di dettagli esasperati, ma tanto concitate che non è possibile registrarne i particolari: ciò è funzionale nell'enfatizzare la soggettività dei diversi personaggi, di Schneider e di Justine entrambi alle prese con i propri fantasmi personali e con l'impossibilità di un'autentica elaborazione del dolore. Il volto di Schneider, livido e scavato dalle ombre, appare cadaverico, come se egli fosse da tempo morto, assieme alla figlia deceduta per un tragico incidente, quello stesso che ha determinato un danno neurologico irreversibile nella moglie che ora giace in un letto condannata ad un'esasperante impossibilità di comunicare e vivere.
Nel definire gli altri co-protagonisti - poliziotti tutti corrotti senza rimedio e venduti ad un sistema che tutto vuole fuorchè la ricerca della verità, rappresentati come "ipertipi" - si ravvisa una ridondanza che li porta ad essere dei clichè categoriali ed assoluti.
Forse, proprio per questo, la vicenda narrata da Marchal (ex-poliziotto lui stesso, con un servizio nel nucleo antiterrostico di Versailles) appare disperata ed eccessiva, profondamente esistenziale: la storia del poliziotto che, ormai sulla via del declino e alcoolizzato, ancora in vita, vuole scontare da vivo la morte che non l'ha preso, assieme alle persone che per lui erano più care, è efficace e capace di alimentare un nucleo di emozioni profonde nello spettatore. Viceversa, l'altra protagonista "in paralello", Justine, vive drammaticamente il ricordo, mai elaborato, della morte atroce di entrambi i genitori per mano di un brutale killer e, a causa di esso, non riesce a vivere con gioia alcun momento della sua vita, dominata dall'angoscia e dalla paura. Mentre si dispiega l'indagine per fermare un serial killer autore di efferati delitti a sfondo sessuale (in cui Louis, pur sospeso dal sevizio, avrà un ruolo decisivo) avviene un incontro catalizzatore che, paradossalmente, genera vita e voglia di vivere in Justine e desiderio di "liberazione" definitiva in Louis, che si attiva per compiere appunto la sua "ultima missione", quella definitiva. Soltanto nel finale, si scioglierà la cupezza e il dramma giungerà alla sua risoluzione: il crepuscolo e i colori mortiferi lasceranno campo ai pieni colori della vita che trionfa e dell'amore che, pur mai espresso, emerge con prepotenza in un intenso inno di gioia e serenità, punteggiato dai vagiti d'una nuova vita.
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leo pellegrini
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martedì 17 marzo 2009
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analisi spietata dei traumi che la vita infierisce
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Al suo terzo lungometraggio Oliver Marchal (produttore sceneggiatore attore nonché ex-poliziotto) si conferma maestro nel polar, genere tipicamente francese che intreccia giallo poliziesco noir. Nessuno come lui sa dipingere atmosfere cupe e laceranti, personaggi dilaniati e tormentati…
Una Marsiglia desolata e desolante, resa magistralmente da una fotografia livida al massimo e che quasi disturba la vista, espressione di una realtà senza speranza dove ogni forma di moralità sembra bandita, un mondo che vede il male trionfare e gli esseri umani profondamente feriti nel corpo e nell’anima.
Un intreccio dalle molte trame parallele che può disorientare lo spettatore ma che lo avvince dall’inizio alla fine, in un clima di tensione a volte quasi insopportabile.
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Al suo terzo lungometraggio Oliver Marchal (produttore sceneggiatore attore nonché ex-poliziotto) si conferma maestro nel polar, genere tipicamente francese che intreccia giallo poliziesco noir. Nessuno come lui sa dipingere atmosfere cupe e laceranti, personaggi dilaniati e tormentati…
Una Marsiglia desolata e desolante, resa magistralmente da una fotografia livida al massimo e che quasi disturba la vista, espressione di una realtà senza speranza dove ogni forma di moralità sembra bandita, un mondo che vede il male trionfare e gli esseri umani profondamente feriti nel corpo e nell’anima.
Un intreccio dalle molte trame parallele che può disorientare lo spettatore ma che lo avvince dall’inizio alla fine, in un clima di tensione a volte quasi insopportabile.
In L’ultima missione non è importante l’azione ma il dramma dei protagonisti (fragili esseri umani consumati dal dolore), l’analisi spietata dei loro tormenti, dei traumi che la vita infierisce continuamente. Un lavoro assimilabile più a una tragedia greca che a un puro e semplice thriller.
Un film sconsigliato a chi non ha lo stomaco forte, un film crudo e dissacrante come pochi, che parla di solitudine corruzione disperazione…
Un film che vede un grande Daniel Auteuil, eccezionale nella rappresentazione di un uomo alla deriva, vera e propria maschera di dolore dannazione e autodistruttività.
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luigi chierico
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venerdì 22 luglio 2016
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imperdonabile
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Povero Daniel Auteuil, così bravo a recitare, chiamato da Olivier Marchal a ricoprire un ruolo di perdente, ossessionato dai suoi ricordi, travolto dai fatti e delitti di cui più che poliziotto è assistente inerme. Un film con tanto sangue, il rosso non lo si vede in tutte le scene girate in bianco e nero, un film del genere andava fatto vedere proprio così, diversamente il rosso sangue sarebbe stato sempre presente. La sfortuna,la disgrazia,il crimine hanno un solo colore : il nero, è così che si rappresenta la morte avvolta in un mantello con una falce, vedi il capolavoro di Ingmar Bergman “Il settimo sigillo”. Il poliziotto Louis Schneider ricorda vagamente Paul Kersey (Charles Bronson) in “il giustiziere della notte”.
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Povero Daniel Auteuil, così bravo a recitare, chiamato da Olivier Marchal a ricoprire un ruolo di perdente, ossessionato dai suoi ricordi, travolto dai fatti e delitti di cui più che poliziotto è assistente inerme. Un film con tanto sangue, il rosso non lo si vede in tutte le scene girate in bianco e nero, un film del genere andava fatto vedere proprio così, diversamente il rosso sangue sarebbe stato sempre presente. La sfortuna,la disgrazia,il crimine hanno un solo colore : il nero, è così che si rappresenta la morte avvolta in un mantello con una falce, vedi il capolavoro di Ingmar Bergman “Il settimo sigillo”. Il poliziotto Louis Schneider ricorda vagamente Paul Kersey (Charles Bronson) in “il giustiziere della notte”. Imperterrito nel suo compito , disobbedendo agli ordini e disposizioni ricevute, continua ad investigare sui delitti compiuti a Marsiglia. Pare che lo accompagni la morte ovunque passi, una vita disordinata al servizio di una legge che cerca la verità spesso per poterla poi nascondere. Il film propone un serial killer ed un omicida sanguinario messo in liberà perché “redento!” due famiglie distrutte dal dolore, una bambina che per anni rivede scene di violenza, vivendo nel terrore, una bella Olivia Bonamy nella parte di Justine Maxence. È lei a mettere al mondo un figlio con immagini uniche di un crudo verismo a cui non tutti sono pronti, il regista ce li poteva risparmiare e fare a meno di una controfigura disposta a mostrare come si mette al mondo un figlio e come lo si porti al seno. Un film, in cui è protagonista la morte anche nell’atto finale, si chiude con la vita di un bambino che forse potrà vivere tranquillamente a Marsiglia, anche senza più il poliziotto Louis Schneider.
Il film lo si vede volentieri sebbene tutta la storia sia frantumata da diversi eventi , tasselli che non vanno a comporre un puzzle, è girato magistralmente ed interpretato egregiamente dal sempre bravo Daniel Auteuil , lo ricordo volentieri nel recente agghiacciante capolavoro”In nome della figlia”. Un plauso per Olivia Bonamy e per Catherine Marchal nella parte di Marie Angéli. Ancora una volta la musica si sovrappone al dialogo lasciando poco spazio al modesto doppiaggio, come spesso accade. Buona invece la fotografia soprattutto nei flash in bianco e nero. La pioggia che abbondantemente cade su Louis Schneider, non servirà a pulire le pareti , i corpi ed i volti insanguinati in nome di una giustizia, di una pietà e di una disperazione, e se Cristo ha versato tanto sangue per l’Uomo, l’uomo non lo torni ad insanguinare del suo sangue.chibar22@libero.it
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fabal
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lunedì 4 novembre 2013
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la sintonia tra auteil e marchal
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Tormentato dal ricordo di un tragico incidente per il quale la moglie giace paralizzata su un letto d'ospedale, Louis Schneider consuma la sua esistenza tra il dolore e gli effetti dell'alcool. A causa della sua condotta spesso violenta e imprevedibile viene trasferito di sezione, continuando però a indagare su un serial killer che terrorizza Marsiglia.
Marchal (tra l'altro ex poliziotto) getta benzina sul fuoco insistendo sulle tematiche di violenza e corruzione, come se 36 quai des Orfèvres non avesse offerto un quadro già abbastanza brutale della criminalità e di chi il crimine lo combatte. Rispetto al predecessore, però, L'ultima missione manifesta un cerebrale distacco dall'attivismo dell'hard boiled: il sangue e le scene crude non prevalgono in uno scenario dove tutto sembra marcio o comunque troppo stantio per lunghi inseguimenti o sparatorie, non più invogliate dall'atmosfera apertamente citoyenne di 36.
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Tormentato dal ricordo di un tragico incidente per il quale la moglie giace paralizzata su un letto d'ospedale, Louis Schneider consuma la sua esistenza tra il dolore e gli effetti dell'alcool. A causa della sua condotta spesso violenta e imprevedibile viene trasferito di sezione, continuando però a indagare su un serial killer che terrorizza Marsiglia.
Marchal (tra l'altro ex poliziotto) getta benzina sul fuoco insistendo sulle tematiche di violenza e corruzione, come se 36 quai des Orfèvres non avesse offerto un quadro già abbastanza brutale della criminalità e di chi il crimine lo combatte. Rispetto al predecessore, però, L'ultima missione manifesta un cerebrale distacco dall'attivismo dell'hard boiled: il sangue e le scene crude non prevalgono in uno scenario dove tutto sembra marcio o comunque troppo stantio per lunghi inseguimenti o sparatorie, non più invogliate dall'atmosfera apertamente citoyenne di 36.
Qui ci troviamo, invece, in una Marsiglia cupa che per poco non riesuma le pennellate di gothic con cui il thriller francese ha esagerato fino a pochi anni fa. Marchal, tuttavia, se ne lascia sedurre poco e focalizza l'attenzione sugli aspetti verosimili della vicenda. Le mosse di una polizia corrotta coinvolgono Louis più di una caccia all'assassino che nulla ha di allegorico o cavalleresco. Niente dualismi tra bene e male: il limbo in cui si muove il protagonista è (soltanto) tragicamente amorale. Auteil dimostra una splendida sintonia con il cambio di registro voluto da Marchal, ed interpreta un personaggio che rende irriconoscibile il più morigerato Léo Vrinks di 36. Supportato dai primi piani bui e dagli occhiali scuri, Schneider non è troppo atipico nei panni del poliziotto depresso: ma pur ricordando Jigen, l'aiutante animato di Lupin, con tanto di barba e sigaretta, il personaggio non è un duro spaccatutto, e mantiene intatto, per tutto il film, il fascino della non-caricatura. Il solo Kowalski, il corrotto e progressivamente "cattivo" capo della polizia, pecca di un certo schematismo.
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giorpost
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venerdì 22 luglio 2016
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auteuil: se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo
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Louis Schneider è un ispettore veterano della omicidi di Marsiglia, con svariati arresti di serial killer nel suo curriculum. Ne ha viste tante nella sua vita, ma l'incidente che ha da poco colpito sua moglie e la figlioletta (quest'ultima deceduta, la consorte rimasta in stato catatonico), lo ha sconvolto al punto da esser sceso nell'inferno dell'alcolismo. A seguito di svariate bravate che gli costano il declassamento al turno di notte, Louis decide di seguire comunque il caso di un nuovo assassino che sta sconvolgendo i quartieri “bene” della città, colpendo ricche signore, sottoponendole a violenza e tortura, per finire con ucciderle brutalmente.
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Louis Schneider è un ispettore veterano della omicidi di Marsiglia, con svariati arresti di serial killer nel suo curriculum. Ne ha viste tante nella sua vita, ma l'incidente che ha da poco colpito sua moglie e la figlioletta (quest'ultima deceduta, la consorte rimasta in stato catatonico), lo ha sconvolto al punto da esser sceso nell'inferno dell'alcolismo. A seguito di svariate bravate che gli costano il declassamento al turno di notte, Louis decide di seguire comunque il caso di un nuovo assassino che sta sconvolgendo i quartieri “bene” della città, colpendo ricche signore, sottoponendole a violenza e tortura, per finire con ucciderle brutalmente. L'amico George è tutto quello che gli rimane, il solo che ancora possa dargli una spalla su cui aggrapparsi, mentre tutta la caserma gli è contro, composta sopratutto da poliziotti corrotti ed altrettanto violenti. Nel frattempo Justine, orfana dall'infanzia, è in attesa di due uomini: un figlio che porta in grembo, e l'assassino dei suoi genitori, che dopo 20 anni di galera sta per ottenere un permesso premio per essersi ben comportato e per aver abbracciato la fede, ma che vorrà completare quanto iniziato due decenni prima...
MR 73 (FRA, 2008) è un thriller dai lineamenti noir di grande livello, un'opera che prende spunto da fatti realmente accaduti vissuti in prima persona dal regista Oliver Marchal, ex poliziotto. Marchal chiama al suo fianco il miglior attore di Francia degli ultimi 30 anni ed uno dei migliori interpreti europei di sempre, Daniel Auteuil, autore di una prova straordinaria, basata su un tratteggio molto complicato di un uomo provato dal dolore che sceglie, suo malgrado, la strada dell'auto-distruzione. Auteuil è maestro in questo genere di pellicole ed occorre precisare sin da subito che senza la sua presenza questo film non avrebbe trasmesso il medesimo impatto visivo, seppur condito da una sceneggiatura intensa, da scene raccapriccianti di inaudita violenza e da un'eccellente fotografia vintage, ad effetto, quasi si trattasse di un film degli anni '60. Tranne un paio di attori, il resto del cast, forse, non è pienamente all'altezza del protagonista, ma la forza del lavoro (di squadra) sta nel crescendo della tensione che corre lungo tutta la spina dorsale dell'opera. La parte finale si prolunga un tantino troppo, ma il pathos riesce a tenere incollato lo spettatore.
Ancora un grande film made in France, ancora un poliziesco di alto livello che tiene testa agli americani per una pellicola che ci ricorda la violenza insita in ogni uno di noi. Infine, ancora un convincente e decadente (nel senso del ruolo) Daniel Auteuil: un attore che, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo.
Voto: 8
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elgatoloco
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domenica 24 luglio 2016
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grande film, nell'eccesso"barocco"
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"MR 73-L'ultima missione"di Olivier Marchal, ridondante, "barocco"(dove gli elementi tipici di quest'arte e del concetto sono l'eccesso di elementi e la sua anche provocatoria ridondanza, appunto), nelle scene di"azione"e violenza, nella scenografia, nell'illuminazione, nel"play"coreografico, nell'accentuazione dei due personaggi.chiave(il poliziotto eroico-sfortunato, "drop-out")e il serial-killer, spietato, senza in nessun modo sposare la tesi dell'identificazione quasi raggiunta o almeno"tendenziale"mostra come il cinema francese, anche prendendo spunto da un fatto forse reale-di cronaca(non sono abbastanza informato in merito, anche perché ritengo che qui il pre-testo non sia essenziale), da una tematica classica nella letteratura, nel cinema e in altri media che trattino il genere"noir-poliziesco", ossia il contrasto"dialettico"tra protagonista(in genere uomo"di legge")e antagonista(criminale), lo sappia trattare in modo assolutamente"eccedente"rispetto alla "norma"esemplificata dal cinema USA, generalmente.
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"MR 73-L'ultima missione"di Olivier Marchal, ridondante, "barocco"(dove gli elementi tipici di quest'arte e del concetto sono l'eccesso di elementi e la sua anche provocatoria ridondanza, appunto), nelle scene di"azione"e violenza, nella scenografia, nell'illuminazione, nel"play"coreografico, nell'accentuazione dei due personaggi.chiave(il poliziotto eroico-sfortunato, "drop-out")e il serial-killer, spietato, senza in nessun modo sposare la tesi dell'identificazione quasi raggiunta o almeno"tendenziale"mostra come il cinema francese, anche prendendo spunto da un fatto forse reale-di cronaca(non sono abbastanza informato in merito, anche perché ritengo che qui il pre-testo non sia essenziale), da una tematica classica nella letteratura, nel cinema e in altri media che trattino il genere"noir-poliziesco", ossia il contrasto"dialettico"tra protagonista(in genere uomo"di legge")e antagonista(criminale), lo sappia trattare in modo assolutamente"eccedente"rispetto alla "norma"esemplificata dal cinema USA, generalmente. Qualcosa di non proprio"consueto"nelle sale(il film è del 2008, quando c'erano ancora...ed erano relativamente piene...), ma anche in TV, in Internet etc, questo"MR 73"dove entrano echi da"Vidocq", da"The Master of Ballantrae"di Stevenson e ancora dal famoso ttesto su Jekyll e Hyde sempre del geniale scrittore britannico...Inquietante, perturbante, capace di mettere in discussione schemi interiorizzati troppo preso e con troppa convinzione -passività, per quanto si è detto della regia(e soggetto e sceneggiatura di Marchal)ma anche di due interpreti di grande spessore, Auteuil, il poliziotto"déraciné"e di Francis Renaud, che è"Kowalsky"(non a caso è nome emblematico, essendo il nome del"vilain", meglio l'amante problematico di"Un tram che si chiama desiderio"di Tennesse Williams-Elia Kazan), il serial killer, ma anche di tutti/e gli/le altri/e, dove un'enumerazione risulterebbe forse noiosa e pletorica. El Gato
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