alessandro vanzaghi
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venerdì 21 agosto 2009
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lampo di genio
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Film capace di emozionare, quindi degno di essere visto. Immedesimarsi nel protagonista immerso nella sua lotta (a lungo) solitaria contro tutti è tanto ambizioso quanto utopico. Personalmente mi piacerebbe pensare di avere il coraggio di rifiutare un assegno da 30 milioni di dollari per restare attaccato ai miei principi etici. Poi però arriva la realtà del quotidiano, quella che ti schiaccia, che ti obbliga ad avere soldi, tanti soldi, quelli cui sembra non essere possibile poter rinunciare. E allora ti rendi conto che gli uomini di tale scorza morale sono pochi, pochissimi, degni di essere ammirati e non condannati per aver trascurato se stessi e la propria famiglia per mantenere alta la propria dignità.
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Film capace di emozionare, quindi degno di essere visto. Immedesimarsi nel protagonista immerso nella sua lotta (a lungo) solitaria contro tutti è tanto ambizioso quanto utopico. Personalmente mi piacerebbe pensare di avere il coraggio di rifiutare un assegno da 30 milioni di dollari per restare attaccato ai miei principi etici. Poi però arriva la realtà del quotidiano, quella che ti schiaccia, che ti obbliga ad avere soldi, tanti soldi, quelli cui sembra non essere possibile poter rinunciare. E allora ti rendi conto che gli uomini di tale scorza morale sono pochi, pochissimi, degni di essere ammirati e non condannati per aver trascurato se stessi e la propria famiglia per mantenere alta la propria dignità. Si parla di uomini che possono alzarsi la mattina, disfatti dai propri pensieri e nel proprio corpo, ma fieri di guardarsi allo specchio e trasmettere ai propri figli valori perduti, antichi, quasi irreali nel mondo che viviamo.
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mauro@lanari
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domenica 17 gennaio 2021
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la disfatta del problem solving
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(Un grazie a Orietta Anibaldi e Fabio) Un debutto di portata epocale. L'esordiente Abraham si lascia alle spalle gl'inconsistenti entusiasmi di Coppola ("L'uomo della pioggia", 1997; "Tucker - Un uomo e il suo sogno", 1998) e si catapulta oltre "A Civil Action" (1998) di Zaillian e "Michael Clayton" (2006) di Gilroy. Da Zaillian riprende l'idea del biopic etico, da Gilroy la portata metafisica della disfatta. One man show: non solo contro la multinazionale di turno, ma contro moglie, famiglia, soci, patrocinatori legali, lavoro e soprattutto se stesso, la propria salute mentale ancor prima di quella fisica. Donchisciottismo da perdenti completamente consapevoli, contro la totalità cosmica e nella piena coscienza che vincendo la singola battaglia si contribuisce a perdere la guerra.
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(Un grazie a Orietta Anibaldi e Fabio) Un debutto di portata epocale. L'esordiente Abraham si lascia alle spalle gl'inconsistenti entusiasmi di Coppola ("L'uomo della pioggia", 1997; "Tucker - Un uomo e il suo sogno", 1998) e si catapulta oltre "A Civil Action" (1998) di Zaillian e "Michael Clayton" (2006) di Gilroy. Da Zaillian riprende l'idea del biopic etico, da Gilroy la portata metafisica della disfatta. One man show: non solo contro la multinazionale di turno, ma contro moglie, famiglia, soci, patrocinatori legali, lavoro e soprattutto se stesso, la propria salute mentale ancor prima di quella fisica. Donchisciottismo da perdenti completamente consapevoli, contro la totalità cosmica e nella piena coscienza che vincendo la singola battaglia si contribuisce a perdere la guerra. I cinque minuti del piano sequenza finale con Clooney disincantato e privo d'ulteriori illusioni sul taxi senza meta, qui vengono dilatati ed estesi all'intera durata del film. Ogni elemento è sommesso e dimesso: fotografia in penombra, sceneggiatura in penombra, comprimari in penombra, in penombra pure il protagonista, un immenso Kinnear. Circa una dozzina d'anni di spietata e impietosa agonia nell'inseguire Giustizia e Moralità ch'esigono e ottengono solo sacrificio, l'impossibilità di svellersi, trascendendola, l'indole personale, l'atroce condanna alla fedeltà verso il proprio destino. Ci sono dei combattimenti deleteri verso vita ed esistenza poiché, come specificato in questo caso, si ricorre al pensiero creativo, all'intuizione geniale, alla capacità inventiva, alla coscienza aurorale ch'eruttano a dismisura più problemi di quanti se ne vorrebbero risolvere. Quasi che la conoscenza del negativo non possa non esacerbarlo almeno fin'al subentro d'una qualche forma ignota d’ingenuità di ritorno. Quand'è che l'intelletto smetterà di mostrarsi il modo forse più crudele d'accanimento terapeutico? S'è provato col logos sillogistico/deduttivo aristotelico, poi con l'induzione della scienza e delle sue inferenze ampliative, e al termine del 1800 con l'abduzione. Invece: un fulmineo lampo d'ingegno? L'accecamento quasi completo d'un occhio. Abraham si sofferma sulla morte, ma non più tanto dell'arte (Dickens, letteratura, cinema), quanto del tipo d'intelligenza che ne è all’origine, quell'attività psichica che insulsamente è feconda, creativa, concepisce e partorisce idee quanto l'utero della coprotagonista coi suoi 6 figli "secondo tradizione".
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