marica romolini
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giovedì 16 febbraio 2012
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pavese senz'anima
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Il problema della (in)traducibilità di un'immagine da un linguaggio artistico all'altro professata da Lotman e la conseguente «esplosione di senso», generatrice di nuovi significati, sembra essere la scommessa su cui la coppia Straub-Huillet imposta il proprio lavoro. Quei loro incontri è infatti la trasposizione cinematografica dei pavesiani Dialoghi con Leucò, già convertiti dai registi in un testo teatrale. Nella modalità di conduzione dei dieci attori, il cui accento rimanda a varie parti d'Italia, risulta chiaro anche l'intento di recuperare le riflessioni teoriche che stanno alle fondamenta della produzione di Pavese.
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Il problema della (in)traducibilità di un'immagine da un linguaggio artistico all'altro professata da Lotman e la conseguente «esplosione di senso», generatrice di nuovi significati, sembra essere la scommessa su cui la coppia Straub-Huillet imposta il proprio lavoro. Quei loro incontri è infatti la trasposizione cinematografica dei pavesiani Dialoghi con Leucò, già convertiti dai registi in un testo teatrale. Nella modalità di conduzione dei dieci attori, il cui accento rimanda a varie parti d'Italia, risulta chiaro anche l'intento di recuperare le riflessioni teoriche che stanno alle fondamenta della produzione di Pavese. Nel Mestiere di vivere si afferma infatti che la differenza tra linguaggio letterario e linguaggio della comunicazione risiede nel fatto che il primo deve essere «filtrato» e «spersonalizzato». Così gli attori del film alterano la scansione canonica delle frasi in una parlata innaturale e straniante, sia per ritmo che per modulazione della voce. Il confronto diretto con un Tempo primigenio dei Dialoghi diventa sguardo rivolto a certe modalità del cinema delle origini (il potenziamento del gesto, le pose dilatate, la fissità della macchina da presa, la preponderanza della visione sul montaggio). Le pièces di Quei loro incontri si svolgono inoltre in campagna, topos pavesiano per antonomasia per la permanenza di quegli elementi magici e irrazionali che – vichianamente – erano in principio (della vita dell'individuo così come dei popoli). Il tempo ciclico, eterno e immutabile, che le è consustanziale si invera, nel film, nell'immobilità dei personaggi, nelle estenuanti inquadrature, nel ritmo sempre uguale della recitazione (del resto, per riprendere un altro titolo pavesiano, Raccontare è monotono). La chiusa introduce l'unico elemento non autorizzato, alla lettera, dal libro, ma che comunque deriva dalla stessa identica matrice: la città, emblema della storia, della collettività, della maturità, che subentra a dialettizzare il polo della campagna, simbolo di infanzia, mito, individualità. Tutto ciò in teoria, appunto. Perché gli dèi in abito contadino non restituiscono la compartecipazione alle sofferenze umane dei protagonisti dei Dialoghi, né tantomeno la commovente riflessione sul destino di caducità. Intraducibilità lotmaniana, c.v.d. E piuttosto che un'«esplosione di senso» avviene un'implosione, proprio per ostinata fedeltà filologica, per aver barattato la ricerca artistica con mal sopportabili accanimenti intellettualistici.
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paola di giuseppe
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lunedì 28 giugno 2010
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dal mito alla storia, nei dintorni di leucò
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Dal mito alla storia,gli Straub-Huillet tornano sui Dialoghi con Leucò, facendo recitare un gruppo di dieci attori.
La cornice è il verde frusciante della macchia mediterranea (siamo nella campagna pisana) Colori e atmosfere da dramma pastorale, personaggi immobili che recitano i dialoghi,suggestioni pittoriche del naturalismo ottocentesco si fondono ad incursioni nella prospettiva "aerea" di certe tele di Manet.
La macchina scruta la realtà con occhio incantato, il montaggio alterna con semplicità lineare il totale dell’ambiente e i due campi americani sugli attori,i dialoghi terminano con un lungo momento di silenzio, lo stesso che stacca ogni verso, anche in presenza di enjambements (con effetto indubbiamente straniante),le voci declamano,è teatro/cinema ed è,insieme,l’eco di un passato mitico.
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Dal mito alla storia,gli Straub-Huillet tornano sui Dialoghi con Leucò, facendo recitare un gruppo di dieci attori.
La cornice è il verde frusciante della macchia mediterranea (siamo nella campagna pisana) Colori e atmosfere da dramma pastorale, personaggi immobili che recitano i dialoghi,suggestioni pittoriche del naturalismo ottocentesco si fondono ad incursioni nella prospettiva "aerea" di certe tele di Manet.
La macchina scruta la realtà con occhio incantato, il montaggio alterna con semplicità lineare il totale dell’ambiente e i due campi americani sugli attori,i dialoghi terminano con un lungo momento di silenzio, lo stesso che stacca ogni verso, anche in presenza di enjambements (con effetto indubbiamente straniante),le voci declamano,è teatro/cinema ed è,insieme,l’eco di un passato mitico.
Gli oggetti della natura,compagni di vita quotidiana,diventano,in un attimo, oggetto di stupore, epifanie di immortalità.
Il testo di Pavese si trasforma in linguaggio filmico e s’immerge in quella dimensione orale/aurale in cui il mito parlò all’uomo del dolore e della morte,del destino e delle leggi imperscrutabili del Fato.
Il dramma di una società sconvolta dagli orrori delle due guerre e il doloroso senso di smarrimento,l’incapacità di radicarsi a certezze e valori irreparabilmente compromessi,la solitudine disperante dell’uomo che non trova risposte al perché della sua esistenza, l’angoscia del tragico non-senso delle cose,furono l’esperienza umana e letteraria di Pavese,“esemplare e cruciale di tutta una generazione” (I.Calvino).
Nei Dialoghi, la sua opera più coraggiosa ed estrema, lo scrittore affrontò un discorso d’avanguardia sulla contemporaneità, che allora non fu capito (tra il 1945 e il 1947), anzi gli valse l’accusa di disimpegno da parte del mondo della cultura.
Il realismo imperante del secondo dopoguerra marchiò l’autore di allontanamento dai problemi, di fuga dal mondo, mentre Pavese non faceva altro che parlare del mondo e del suo destino, della morte e della felicità dell’uomo, ma il suo linguaggio era una sfida al conformismo del proprio tempo.
“L’Italia è il paese dove ogni scheletro si sistema nell’armadio, in cui tutto viene rimosso, in cui tutto cade nel pozzo dell’indifferenza e quel che c’è in comune tra Vittorini e Pavese è proprio invece il fatto che erano spiriti che non facevano questi giochini.” aggiunge Jean-Marie Straub, rendendoci ancor meglio conto delle sue scelte letterarie.
Nasce così un film rigoroso, innovativo, coerente con il lungo impegno della coppia franco-tedesca di minare le estetiche tradizionali, muovendosi contro le vecchie strutture narrative.
Il percorso fra i Dialoghi va dal momento in cui gli dei cominciarono ad invidiare gli uomini a quando gli uomini ricordarono che una volta si incontravano con gli dei.
L’oggetto del dialogo tra gli immortali è l’incapacità umana di trovare soddisfazione alla vita: "loro che hanno istanti unici non ne capiscono il valore e vogliono l’immortalità".
Il destino dell’uomo è ineluttabile e la morte necessaria, ma egli non trova in ciò che già possiede la propria felicità.
Il film di Straub-Huillet rivela una comprensione intima, quasi viscerale, della poetica di Pavese, è profondamente consapevole della tensione etica di quella grande voce del’900.Le polemiche nate intorno al film,ma soprattutto l’alone di ignoranza ancora esistente intorno alla filmografia dei due registi, rivelano una fatale convergenza con il destino di Pavese, e non solo.
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daniele sciolla
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mercoledì 17 gennaio 2007
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quei loro incontri
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Io ho visto il film "Quei loro incontri" e mi è sembrato molto interessante e trasmissivo. Non avendo letto il libro di Pavese evito un paragone tra i due comunque mi spiace che la recensione in questo sito sia così notevolmente schierata contro quest' opera cinematografica.
La recitazione così lenta e "lontana dal comune dialogare" penso descriva in modo efficace l' esenza dei personaggi: molti di questi appartengono alla mitologia e mentre leggendo ci è permesso di immaginarli, nel cinema il regista realizza e delinea la loro condizione astratta con immagini, suoni e recite molto particlari.
Un film molto interessante e consigliato
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