maurizio crispi
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giovedì 7 settembre 2006
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il difficile percorso di un adolescente
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Ho letto su questo film pareri discordanti: uno positivo ed uno in parte negativo (del quale, la principale critica è stata rivolta alla lentezza e all'incapacità del regista di tagliare per rendere la vicenda più fluida, facendo volare più in alto i contenuti, trattati peraltro con grande finezza psicologica. Sono d'accordo su ciò che è stato detto della colonna sonora che offre una splendida carrellata su alcuni pezzi rock di autori-culto della scena musicale di quegli anni, spaziando all'incirca in un ventennio (brani e refrain che fanno da contraltare ai gusti musicali del padre). Soprattutto, ho apprezzato il modo in cui la musica interviene a sottolineare alcuni stati d'animo di Zac oppure ad amplificarli, o ancora a far risaltare meglio il viraggio nelle scelte esistenziali.
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Ho letto su questo film pareri discordanti: uno positivo ed uno in parte negativo (del quale, la principale critica è stata rivolta alla lentezza e all'incapacità del regista di tagliare per rendere la vicenda più fluida, facendo volare più in alto i contenuti, trattati peraltro con grande finezza psicologica. Sono d'accordo su ciò che è stato detto della colonna sonora che offre una splendida carrellata su alcuni pezzi rock di autori-culto della scena musicale di quegli anni, spaziando all'incirca in un ventennio (brani e refrain che fanno da contraltare ai gusti musicali del padre). Soprattutto, ho apprezzato il modo in cui la musica interviene a sottolineare alcuni stati d'animo di Zac oppure ad amplificarli, o ancora a far risaltare meglio il viraggio nelle scelte esistenziali. La musica in questo film può essere tante cose: ha sempre una funzione, non viene mai utilizzata a senso unico, non è un'aggiunta, un'interpunzione, mero cromatismo sonoro di ciò che viene rappresentato nelle sequenze. No, sono gli stessi personaggi che ascoltano la loro musica e che la cercano spinti dal proprio stato d’animo, per aver sollievo da un tormento interiore, per ricercare qualcosa, per dimenticare...: noi ascoltiamo assieme a loro. Ci sarebbe molto da dire sulla verosimiglianza (davvero notevole) della rappresentazione filmica della ricerca dell'identità da parte d'un adolescente (ZAC) combattuto tra il modello paterno (burbero, machista, brusco di modi e poco propenso a qualsiasi forma di espansività tenera ed affettuosa, incapace quasi di toccare i propri figli nel segno dell'affettività) e quello iper-religioso della madre, affettuosa e comprensiva ma anche propensa a credere che il figlio possegga il "dono" (a partire dal particolare rapporto empatico che li lega, forse perché Zac - il suo quarto figlio, nato simbolicamente un 25 di Dicembre come un Gesù Bambino - rivela di possedere sin dall'inizio particolari doti di sensibilità che mal si adattano al modo di vedere del padre. Si potrebbe dire, senza andare troppo lontano dal vero, che vi è il racconto d'un percorso di formazione che porta Zac sino alla serena accettazione della propria identità e alla riscoperta d'una possibilità di rapporto sereno(finalmente) e non conflittuale con il padre. Nello stesso tempo, c'è anche il percorso di "formazione" del padre che, alla fine, per accettare la "diversità" del proprio figlio, dovrà confrontarsi con la difficoltà d'essere genitore, accettando il dubbio e l'incertezza che finalmente lo portano a lasciare per sempre l'illusoria monolitica convinzione della bontà delle sue credenze. Come per Zac, questo passaggio lo farà passare attraverso sofferenza, perdite e lutti: non sarà certamente cosa agevole. Per l'uno (Zac) è la transizione dall'indefinizione e dal conflitto tra modelli diversi in lotta dentro di lui sino quasi ad impedirgli di respirare (la crisi d'asma ricorrente), per l'altro è l'abbandono forse più destruente dell'incrollabile convinzione dell'essere nel giusto e d’una autentica, irragionevole, fobia dell'omosessualità. Quest'ultima peraltro in linea con i tempi quando pur di sfuggire alla vergogna di scoprire un figlio omosessuale si preferiva pensarlo malato di mente oppure drogato, tutto insomma ma non omosessuale. Ciò che è diverso, comporta una lotta accesa (e faticosissima) con i propri fantasmi interni.
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lunedì 28 agosto 2006
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dischi rotti
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Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo, il celebre incipit di Anna Karenina potrebbe essere tuttora lapidario commento alle tragedie della cronaca, del cinema e della letteratura. In realtà dal 1878, quando Tolstoj pubblicava il romanzo, la società è radicalmente mutata, esercizio fatuo chiedersi se in meglio o in peggio: in C.R.A.ZY il regista canadese Vallé fa incontrare un padre e un figlio davanti a un vecchio disco in vinile rotto due volte per errore, ritrovato per caso in un mercato di Gerusalemme, suonato in un momento di lutto e di riconciliazione, idea felice per dire che padri, madri e figli, chiamati dalla società ad avere un’identità individuale e cercandola fra mille stimoli contrastanti, stabiliscono oggi almeno saltuariamente un’armonia familiare sempre sul punto di rompersi.
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Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo, il celebre incipit di Anna Karenina potrebbe essere tuttora lapidario commento alle tragedie della cronaca, del cinema e della letteratura. In realtà dal 1878, quando Tolstoj pubblicava il romanzo, la società è radicalmente mutata, esercizio fatuo chiedersi se in meglio o in peggio: in C.R.A.ZY il regista canadese Vallé fa incontrare un padre e un figlio davanti a un vecchio disco in vinile rotto due volte per errore, ritrovato per caso in un mercato di Gerusalemme, suonato in un momento di lutto e di riconciliazione, idea felice per dire che padri, madri e figli, chiamati dalla società ad avere un’identità individuale e cercandola fra mille stimoli contrastanti, stabiliscono oggi almeno saltuariamente un’armonia familiare sempre sul punto di rompersi. In realtà il film ambientato nel Canada fra gli anni ’60 e 80’, pur risolvendosi in una tipica storia di formazione omosessuale, ha dignità soprattutto nell’illustrare all’interno di un microcosmo familiare tradizionalista, andando indietro nel tempo di qualche decennio, gli inizi della morte della famiglia come depositaria di valori etici immutabili e rifugio dai pericoli esterni: cenoni natalizi, messe, tavole imbandite e sorrisi parentali costituiscono il cerimoniale di un santuario votato alla venerazione di un idolo infallibile, il pater familias fecondo, e C.R.A.ZY. ne fotografa lo sgretolamento ad opera dei fermenti culturali e sociali di un macrocosmo in movimento, evocati dalle canzoni e dalla musica rock. Lo sofferta diversità di Zach, la tossicodipendenza disperata del fratello-rivale e le reazioni del genitore esemplificano le difficoltà per le diverse generazioni di introiettare mutamenti epocali irreversibili: contestazione, rivoluzione sessuale e divismo trasgressivo lasciano un segno indelebile, ma varcano tardi la porta di casa e quella dell’aula al liceo; la lacerazione per lo più si ricompone nell’integrazione, raramente nella salvifica rottura, talvolta è catastrofica. Ai guerrieri contemporanei non si chiede più spada, bensì coscienza e forza d’animo: la capitolazione del maschilismo ha portato alla luce l’eroismo interiore delle donne, storicamente consacrate all’intimità degli affetti, devote emotivamente a una religiosità magica, tollerante e protettiva. Le femmine dei Beaulieu, in modo particolare la madre, si troverebbero a loro agio nel gineceo almodovariano di Volver: Vallè nella scelta di privilegiare l’educazione sentimentale virile fa sbiadire i vividi colori muliebri nell’ombra di una patetica innata bontà. E in effetti la visione di C.R.A.ZY. ispira pacifico buon senso, ma non cancella il sospetto che le famiglie infelici siano costrette a inventarsi la felicità e ciascuno a modo loro.
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umb78
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martedì 12 febbraio 2008
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film così così
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C.R.A.Z.Y. è un film canadese, quebecoise per l’esattezza. Gradevole e ben recitato, lascia un po’ di spazio alla noia, soprattutto verso la fine, quando il regista Jean Marc Vollé si dilunga in modo un po’ prolisso sull’itinerario di uno dei giovani protagonisti, Zachary. La storia ruota intorno alle vicende di una famiglia della classe media canadese, padre, madre e cinque figli maschi, nel bel mezzo degli anni Sessanta e Settanta. Il titolo fa riferimento a una canzone cantata da Patsie Cime, “Crazy” appunto, evocata spesso nel corso del film. L’attenzione alla musica è uno dei pregi (un po’ furbo per la verità) del film. Ci sono quasi tutti: i Pink Floyd, i Jefferson Airplanes, i Rolling Stones, David Bowie, un po’ di Latino America d’annata e un Aznavour molto ben invecchiato.
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C.R.A.Z.Y. è un film canadese, quebecoise per l’esattezza. Gradevole e ben recitato, lascia un po’ di spazio alla noia, soprattutto verso la fine, quando il regista Jean Marc Vollé si dilunga in modo un po’ prolisso sull’itinerario di uno dei giovani protagonisti, Zachary. La storia ruota intorno alle vicende di una famiglia della classe media canadese, padre, madre e cinque figli maschi, nel bel mezzo degli anni Sessanta e Settanta. Il titolo fa riferimento a una canzone cantata da Patsie Cime, “Crazy” appunto, evocata spesso nel corso del film. L’attenzione alla musica è uno dei pregi (un po’ furbo per la verità) del film. Ci sono quasi tutti: i Pink Floyd, i Jefferson Airplanes, i Rolling Stones, David Bowie, un po’ di Latino America d’annata e un Aznavour molto ben invecchiato. L’universo domestico descritto non ha molto di originale e inconsueto, salvo che il piccolo Zachary sembra rivelare sin da piccolo doti da sensitivo, da guaritore. Vera o presunta, alla sua eccezionalità crede sua madre, cattolica abbastanza timorata e determinata a non ostacolare le inclinazioni del figlio. Ma che queste prendano le pieghe di una femminilità incipiente, accennata, seppure incerta, preoccupa sin da subito il padre e alimenta sfottò e allusioni da parte dei fratelli. Il rapporto padre-figlio, le implicazioni sociali di un’omosessualità non dichiarata, occultata, quasi inconsapevole perfino in chi ne è “affetto”, il confronto generazionale e la difficoltà a educare i giovani, oltre che la difficoltà speculare a esserne educati, a capirne cioè ragioni e pulsioni, la complessità delle azioni e delle reazioni innescate dall’ambiguità e dall’indecidibilità tra maschio e femmina, l’interdizione e non accettazione borghese: ecco i temi toccati da C.R.A.Z.Y. Commedia di costume, a metà tra il periodo della moda dei capelloni e quella dei punk, non sfugge ad alcune rappresentazioni di maniera. Il figlio tossico e incazzato e quindi debitamente tatuato, il figlio effeminato proprio nel modo in cui ce lo si aspetta, la cameretta come luogo delle verità private, la Chiesa come ispettore della coscienza e metro morale, gli amici perfidamente cinici e sottilmente felici delle disgrazie altrui. Situazioni raccontate dal regista in maniera credibile. La sceneggiatura non è felicissima, mediocre, niente di più. Talvolta il racconto si abbandona a divagazioni dal sapore misticheggiante, trasfigurazioni, telepatie spicce, visioni, allucinazioni e ciò lo rende un po’ noioso. L’alternanza realismo domestico/incisi quasi soprannaturali non arricchisce di profondità la pellicola. Anzi la rende pretenziosa, la sovraccarica di elementi superflui. Tratteggiare la formazione del giovanissimo Zachary, il suo apprendistato, i suoi turbamenti, le tentazioni inconfessabili, calate nel contesto familiare e sociale, bastava! Senza andare a disturbare il paranormale.
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