Architetto batte regista due a zero
di Irene Bignardi La Repubblica
L'architettura e il cinema hanno in comune almeno due caratteristiche: sono arti da vedere e, soprattutto, sono arti collettive. Certo, ci sono sempre il regista, e l'architetto, la cui visione unifica e rende coerente l'opera finale ma sono tante le esperienze e le specificità che contribuiscono a formare il film e l'opera architettonica. Era inevitabile, dunque che prima o poi un grande regista (Sydney Pollack) si decidesse a indagare e raccontare quello che fa un grande architetto (Frank Gehry). Il risultato è molto interessante e anche se non originale, nel senso che Pollack, pur con tutta la sua storia alle spalle, si mette quasi intimidito al servizio della creatività folle di Gehry e ne tira fuori un documentario limpido e rispettoso, ma estremamente tradizionale, in cui l'architettura batte il cinema due a zero.
Ciò detto, il ritratto che esce da questo incontro di due grandi è appassionante e ricco. Ecco Gehry e le sue fonti di ispirazione («anche il cestino della carta straccia»). Gehry che non sa usare il computer ma crea l'architettura più digitalizzata del mondo. Gehry ex Goldberg che cambia cognome perché sua moglie glielo chiede («ero vagina-dipendente»). Gehry e colui a cui dice di essersi più ispirato, Alvar Aalto. Gehry e i suoi collaboratori. Gehry e il suo analista, che, premette, non può garantire che altri diventino grandi architetti solo perché lui ha aiutato Frank a liberarsi di alcuni problemi in passato. II tutto in piacevole ma lindo disordine, come in una conversazione tra amici.
«Se a una cena incontri un architetto, picchialo senza pietà» suggeriva lo scrittore Auberon Waugh. Ma non picchiate Gehry: dalla sfilata delle sue opere, a partire dalla sua stessa casa, «gehryzzata» con uno strato sovrapposto alla sua vecchia struttura, fino al Museo Guggenheim di Bilbao, Gehry è veramente, un creatore di sogni. E nel grigiore del paesaggio urbano ne abbiamo più che mai bisogno.
Da Il Venerdì di Repubblica, 6 Luglio 2007
di Irene Bignardi, 6 Luglio 2007
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