nino p.
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domenica 8 marzo 2009
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un horror nuovo
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Il film mi è piaciuto molto come idea di base: un virus che a contatto col sangue trasmette in colui che è stato contagiato un'infezione simile se non addirittura peggiore della rabbia. Ennesima variazione ammonitrice sulle conseguenze che può causare il progresso scientifico ai danni dell'umanità, ma che comunque regge nella sua concezione e riesce a far decollare un pò tutto il film come minimo su buoni livelli. L'unico problema per il quale non mi sono sentito di dare a questo film i voti "ottimo" o "capolavoro" è costituito dal fatto che la trama sfocia in una sorta di finale analogo al terzo capitolo della saga degli zombi di Romero, ove appunto il messaggio politico contro la mentalità guerrafondaia dell'America è ben rappresentato simbolicamente.
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sixy89
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giovedì 17 febbraio 2011
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mediocre
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Sinceramente mi è parso di vedere un film di 96 ore..Io sono un'appassionata di horror, thriller, ecc, ma questo è veramente anonimo. Esiste una così grande filmografia del genere zombie o epidemico che se un regista decide di farci un nuovo film deve puntare molto più in alto. Tutta roba già vista e rivista, senza nulla di nuovo, e senza contare la parte finale dove i amrines si convincono che devono portare loro 9 avanti la specie umana accoppiandosi con delle donne...ma su dai..non è credibile
voto:5
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alessandro
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giovedì 30 agosto 2007
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hello?
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28 giorni dopo...un'occasione mancata. Lo spunto era buono, ma lo sviluppo del film ricalca clichet già visti senza mai aggiungere qualcosa di veramente nuovo. Anche le famose scene di una Londra deserta, le uniche apprezzabili del film, non comunicano sufficientemente il senso di angoscia tremenda scaturito dalla consapevolezza o dalla paura che non ci sia più nessuno. Due esempi a mio parere molto più riusciti del tema "apocalisse da virus" sono "l'esercito delle 12 scimmie" e una vecchia serie TV intitolata "I sopravvissuti", ambientato sempre in Inghilterra, dove alle scene del contagio, del panico, dell'evacuazione (che in 28 giorni dopo mancano assolutamente) fa seguito la ricerca da parte dei protagonisti di altri sopravvissuti per mettersi insieme e ricominciare.
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28 giorni dopo...un'occasione mancata. Lo spunto era buono, ma lo sviluppo del film ricalca clichet già visti senza mai aggiungere qualcosa di veramente nuovo. Anche le famose scene di una Londra deserta, le uniche apprezzabili del film, non comunicano sufficientemente il senso di angoscia tremenda scaturito dalla consapevolezza o dalla paura che non ci sia più nessuno. Due esempi a mio parere molto più riusciti del tema "apocalisse da virus" sono "l'esercito delle 12 scimmie" e una vecchia serie TV intitolata "I sopravvissuti", ambientato sempre in Inghilterra, dove alle scene del contagio, del panico, dell'evacuazione (che in 28 giorni dopo mancano assolutamente) fa seguito la ricerca da parte dei protagonisti di altri sopravvissuti per mettersi insieme e ricominciare. In "28 giorni dopo" invece l'accento si sposta alternativamente dal film apocalittico, poco convincente, a quello horror, ancor meno convincente. Ed è proprio la forzata unione di questi due generi che ha causato, a mio parere, il fallimento della pellicola.
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tiziana stanzani
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mercoledì 10 marzo 2004
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decisamente bruttino
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La differenza tra citazione e copia-incolla è purtroppo evidente in questo film a basso costo e di basso livello, nonostante il precedente “Train Spotting” avesse reso ben più grande omaggio a Boyle, il quale, in questa parodia, mostra un tale amore reverenziale nei confronti di Romero - dal quale ha scopiazzato praticamente tutto, e non mi riferisco solo a “La notte dei morti viventi”, ma perfino a “Monkey shines” - da annichilirsi in un delirio senza capo e con una coda spelacchiata. Un buon inizio, tuttavia, in una bellissima e allucinante Londra spopolata, ci fa sperare in un preludio per lo meno sibillino, per scoprire, di volta in volta, una pastoia di punti poco chiari, una serie di luoghi comuni e di botte di spavento dettate solo da un sonoro male assemblato.
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La differenza tra citazione e copia-incolla è purtroppo evidente in questo film a basso costo e di basso livello, nonostante il precedente “Train Spotting” avesse reso ben più grande omaggio a Boyle, il quale, in questa parodia, mostra un tale amore reverenziale nei confronti di Romero - dal quale ha scopiazzato praticamente tutto, e non mi riferisco solo a “La notte dei morti viventi”, ma perfino a “Monkey shines” - da annichilirsi in un delirio senza capo e con una coda spelacchiata. Un buon inizio, tuttavia, in una bellissima e allucinante Londra spopolata, ci fa sperare in un preludio per lo meno sibillino, per scoprire, di volta in volta, una pastoia di punti poco chiari, una serie di luoghi comuni e di botte di spavento dettate solo da un sonoro male assemblato. Insomma: un film che inizia con un individuo in coma che si risveglia ventotto giorni dopo in un ospedale, per ritrovarsi in un mondo dove gli unici abitanti sopravvissuti a un virus tentano di combattere i soliti zombi di turno, non può che annoiare. Da minorati mentali è il modo in cui i ricercatori si siano fatti sfuggire il virus, e terribilmente irritante il solito sistema per accusare gli animalisti di essere la causa della fine del genere umano: come se la vivisezione rappresentasse la salvezza dell’umanità.
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(di markfener)
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(di picci66)
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(di giovanni bau)
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