La trama prende spunto da un esperimento realmente avvenuto, arricchendolo di quella drammaticità che solo la finzione può offrire, per rendere simbolico e quindi leggibile il lato oscuro dell'uomo. Una ventina di cavie umane a pagamento vengono suddivise in due squadre, guardie e carcerati, per essere sottoposti ad un esperimento sociologico in un ambiente carcerario creato ad hoc. Il contesto scientifico fa da cornice a una escalation di potere e sottomissione, ed è allo stesso tempo la chiave di lettura di questo bellissimo e avviluppante thriller; sebbene i film sulle carceri e sugli abusi di potere non manchino, "The Experiment" ha qualcosa in più: la normalità. Lo spettatore si convince di poter mantenere uno sguardo cinico e oggettivo. Allo stesso tempo i personaggi non sono ebrei nè criminali, sono cittadini comuni come lo è lo spettatore, l'identificazione è massima e le emozioni che ne conseguono sono amplificate al parossismo, di pari passo con quelle dei personaggi, che vedremo ben presto coinvolti in un gioco più grande di loro. Le immagini mostrano l'animale uomo spogliato dalle millenarie stratificazioni di buone maniere che la società ci impone, messe da parte presto e volentieri non appena si è certi di non essere giudicati; le scene di autoerotismo, le posizioni lascive (seduta in lingerie a gambe aperte) e i comportamenti sleali (frugare innocentemente nei cassetti altrui) che riguardano l'unico personaggio fuori dal microambiente carcerario esprimono un messaggio univoco: nessuno è innocente, nessuno è davvero vaccinato.
All'interno del carcere le sequenze si sprecano nel mostrare una escalation di violenza e squilibrio di potere; dapprima lo spettatore tenterà di mantenere uno sguardo non partecipante, come si addice a un bravo scenziato, ma resterà coinvolto suo malgrado; la cinepresa, utilizzata dal regista come un manganello, non risparmia nulla allo spettatore inerme che, imbavagliato e legato alla poltrona, circondato dal buio di una sala sempre più stretta e soffocante, potrà solo subire: non potrà accendere le luci, non vorrà uscire dalla sala. Il gioco è fatto: lo spettatore è il prigioniero e il film non è più un passatempo. Unica nota stridente, il rispetto scolastico delle regole del thriller: la catarsi è perfetta, puntuale e scontata, al protagonista viene somministrata la dose standard di rischio, il cattivo è cattivo al punto giusto; per fortuna la verosimiglianza non ne risentirà, il messaggio arriva forte e chiaro: meglio non scherzare con la violenza.
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