carloalberto
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sabato 12 dicembre 2020
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il mezzo esalta la performance di hoffman
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Per la complessità dei temi trattati e per la molteplicità delle differenti possibili chiavi di lettura del testo, già la messa in scena teatrale del dramma di Miller si presenta problematica. L’approccio soggettivo del regista sottolineando, in alternativa, il carattere sociologico o esistenziale o ancora psicanalitico dell’opera può far prevalere uno degli elementi sugli altri, di fatto mettendo in scena ogni volta un dramma diverso. Più ardua appare la trasposizione filmica, che condanna all’immutabilità la rappresentazione, cristallizzandola in fotogrammi di celluloide, senza la possibilità di aggiustamenti né di una differente impostazione da una stagione all’altra, ed è, inoltre, segnata sin dall’inizio dalla stessa natura del mezzo, rilevante soprattutto in un adattamento televisivo, come quello di Schlöndorff, che privilegiando il primo piano determina la perdita della visuale a 180 gradi della scena, e di tutti i personaggi che in essa si muovono, e quindi la consequenziale rinuncia alla coralità del dramma, che, invece, coinvolge, in una prospettiva più ampia, tutta la famiglia e non soltanto Willy Loman, interpretato da uno straordinario Dustin Hoffman, per il pubblico italiano, magistralmente doppiato da Ferruccio Amendola.
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Per la complessità dei temi trattati e per la molteplicità delle differenti possibili chiavi di lettura del testo, già la messa in scena teatrale del dramma di Miller si presenta problematica. L’approccio soggettivo del regista sottolineando, in alternativa, il carattere sociologico o esistenziale o ancora psicanalitico dell’opera può far prevalere uno degli elementi sugli altri, di fatto mettendo in scena ogni volta un dramma diverso. Più ardua appare la trasposizione filmica, che condanna all’immutabilità la rappresentazione, cristallizzandola in fotogrammi di celluloide, senza la possibilità di aggiustamenti né di una differente impostazione da una stagione all’altra, ed è, inoltre, segnata sin dall’inizio dalla stessa natura del mezzo, rilevante soprattutto in un adattamento televisivo, come quello di Schlöndorff, che privilegiando il primo piano determina la perdita della visuale a 180 gradi della scena, e di tutti i personaggi che in essa si muovono, e quindi la consequenziale rinuncia alla coralità del dramma, che, invece, coinvolge, in una prospettiva più ampia, tutta la famiglia e non soltanto Willy Loman, interpretato da uno straordinario Dustin Hoffman, per il pubblico italiano, magistralmente doppiato da Ferruccio Amendola.
Willy Loman è un padre ossessivamente presente nella vita dei figli, è un marito autoritario e infedele, è bugiardo con gli altri e con sé stesso, è un commesso viaggiatore stanco del suo lavoro, è un uomo anziano con un inizio di demenza senile, ed è tante altre cose ancora. Nello stesso tempo, Willy Loman incarna sia l’eroe tragico moderno,che, impotente di fronte ad un destino avverso, perseguitato dai fantasmi del passato, consumato dai sensi di colpa per non essere stato un buon padre, si immola per lasciare ai figli il danaro dell’assicurazione e un’immagine di sé dignitosa di cui andar fieri, sia il cittadino della middle class americana che sogna ad occhi aperti, credendo ciecamente nel mito del successo e del danaro da ottenere a tutti i costi, mentre si arrabatta nella dura realtà di ogni giorno per riuscire a pagare il mutuo o la rata del frigo nuovo, acquistato in osservanza ai dettami della religione consumistica nata nel dopoguerra.
Il personaggio del protagonista, dal profilo psicologico complesso, al quale si sovrappongono differenti figure emblematiche, quindi fornisce, per la sua stessa ambiguità, un’ulteriore occasione di sviamento, prestandosi a derive interpretative, che, trascurando o esaltando eccessivamente taluni aspetti del suo carattere, possono condurre non solo alla rappresentazione di un personaggio piuttosto che di un altro, ma, come in questo caso, anche all’oblio delle altre sfaccettature della sua personalità e perfino all’eclissi totale dei temi centrali dell’opera, occultati dalla titanica e debordante presenza scenica del grande mattatore, che catalizza su di sé l’attenzione annullando tutto il resto.
La regia di Schlöndorff incentrandosi tutta su Hoffman, sulla sua recitazione, sulla sua mimica facciale e corporea, si autolimita espressivamente, mettendo fuori gioco le altre possibili letture, sia dell’opera che del personaggio, rischiando finanche di perdere di vista il dramma esistenziale, potenzialmente universale, del protagonista, che quasi cade in oblio rispetto alla tragedia di un uomo che a causa della sua malattia non riesce più ad affrontare in modo razionale le comuni avversità della vita. Insomma, da dramma esistenziale a trattazione compassionevole di un caso clinico.
Il sogno americano realizzato, personificato dal fratello che ha fatto fortuna, rimane relegato sullo sfondo, simile al coro delle tragedie greche, mimato nella battuta che suona come un irridente refrain:“Giovanotti, è semplice: a diciassette anni entrai nella giungla, a, ventuno ne uscii. E ricco, per Giove!” ripetuta più volte a Willy Loman per rammentargli che il sipario sta per calare sulla sua vicenda umana e che è giunto il tempo di prendere atto del suo fallimento, sebbene sia frustrante, e dolorosamente inaccettabile vederlo riflesso in quello del figlio prediletto, impersonato da un giovane ma già carismatico Malkovich.
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le saboteur
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sabato 11 maggio 2013
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film mediocre
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Il film nella sua estrema complicatezza non dà nulla, non lascia nessuna traccia allo spettatore. I dialoghi sono estremamente pedanti, e servono solo ad annoiare.
Tutto è rinchiuso in un rapporto padre-madre-figlio! Mi sembrano ormai vecchi discorsi da psicanalista edipico.
Fare un film è altro!
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le saboteur
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sabato 11 maggio 2013
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no!
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Il film mi ha annoiato fortemente: i dialoghi si susseguono per tutta la durata del film ... senza la capacità di dire qualcosa! Non lascia alcuna traccia nello spettatore.
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luca scialò
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domenica 7 marzo 2010
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la frustrazione di un padre
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Un agente di commercio ormai 63enne, Willy Loman, vive con la frustrazione del vedere il figlio 34enne non ancora realizzato nella vita, nonostante abbia avuto in lui sempre grandi speranze ed aspettative. Dall'età di 17 anni invece ha continuato a deluderlo, lasciando il rugby nonostante fosse una grande promessa, non riuscendosi subito a diplomare per una insufficienza in matematica, e cambiando continuamente lavoro.
A ciò si aggiunge la stanchezza fisica per l'avanzare dell'età, che non gli consente più come prima di svolgere un lavoro in continuo viaggio in macchina, nonché il vedere realizzato il figlio del vicino, secchione da ragazzo, ora brillante avvocato.
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Un agente di commercio ormai 63enne, Willy Loman, vive con la frustrazione del vedere il figlio 34enne non ancora realizzato nella vita, nonostante abbia avuto in lui sempre grandi speranze ed aspettative. Dall'età di 17 anni invece ha continuato a deluderlo, lasciando il rugby nonostante fosse una grande promessa, non riuscendosi subito a diplomare per una insufficienza in matematica, e cambiando continuamente lavoro.
A ciò si aggiunge la stanchezza fisica per l'avanzare dell'età, che non gli consente più come prima di svolgere un lavoro in continuo viaggio in macchina, nonché il vedere realizzato il figlio del vicino, secchione da ragazzo, ora brillante avvocato. Poi arriva per lui il colpo di grazia: nel chiedere un posto fisso in ufficio, riceve invece il benservito con tanto di licenziamento, dalla società con cui lavorava da 37 anni, senza riuscire ad arricchirsi.
Tratto dal dramma di Arthur Miller, è la terza riproposizione, questa volta per la tv (ce n'è una anche italiana, con Paolo Stoppa). Il film si concentra soprattutto sulla bravura dei due principali protagonisti, avendo inquadrature statiche e scenografie "da teatro": ovvero di Dustin Hoffman, che offre un'interpretazione intensa e struggente, ma anche di un giovane John Malkovich, che interpreta il figlio primogenito diseredato. Vari sono i "flashback", con il quale il protagonista rivede scene del passato ormai rimpianto, e anche il fratello morto che è stato bravo a farsi strada nel commercio, con audacia, a differenza di lui.
Finale tragico, che getta sul povero Willy un'ultima sconfitta, e delusione.
Lento e intenso, ha la capacità di non stancare malgrado i lunghi dialoghi e le inquadrature statiche. Offre anche una critica alla società contemporanea, eccessivamente arrivista ed egoista.
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