paolo 67
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lunedì 12 dicembre 2011
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l'incomprensibile soggetto della vita
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Per la prima volta Fellini immette il tema autobiografico della vecchiaia nello sgomento di vedere un mondo degenerato in una visione infernale, nella nostalgia di uno spettacolo che non c'è più, ma anche nello sforzo di tenere gli occhi aperti sulla realtà cogliendo le occasioni che si pongono in una stoica accettazione dell'esistenza così com'è, coi suoi dolori e misteri. L'addio finale alla stazione conferma che la storia di Ginger e Fred appartiene al passato, anch'esso volgare ma più sognante e ingenuo rispetto a quello attuale. Espressione di questa nuova volgarità è la televisione, in particolare quella privata, coi suoi programmi continuamente interrotti dalla pubblicità: Fellini aveva colto profeticamente il cambiamento che stava avvenendo in quegli anni, quella civiltà televisiva piena di falsi (rappresentata nel film dalla trovata dei sosia) che corrispondeva puntualmente a uno sfascio sociale, sottolineato da Fellini con riprese anche dal vero di una Roma piena di sacchi di immondizia fumiganti e tipi che sembravano venuti da un altro mondo (visioni dantesche che vengono da lontano nell'opera felliniana, in particolare da "Toby Dammit" e "Roma").
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Per la prima volta Fellini immette il tema autobiografico della vecchiaia nello sgomento di vedere un mondo degenerato in una visione infernale, nella nostalgia di uno spettacolo che non c'è più, ma anche nello sforzo di tenere gli occhi aperti sulla realtà cogliendo le occasioni che si pongono in una stoica accettazione dell'esistenza così com'è, coi suoi dolori e misteri. L'addio finale alla stazione conferma che la storia di Ginger e Fred appartiene al passato, anch'esso volgare ma più sognante e ingenuo rispetto a quello attuale. Espressione di questa nuova volgarità è la televisione, in particolare quella privata, coi suoi programmi continuamente interrotti dalla pubblicità: Fellini aveva colto profeticamente il cambiamento che stava avvenendo in quegli anni, quella civiltà televisiva piena di falsi (rappresentata nel film dalla trovata dei sosia) che corrispondeva puntualmente a uno sfascio sociale, sottolineato da Fellini con riprese anche dal vero di una Roma piena di sacchi di immondizia fumiganti e tipi che sembravano venuti da un altro mondo (visioni dantesche che vengono da lontano nell'opera felliniana, in particolare da "Toby Dammit" e "Roma"). Come ogni film di Fellini, "Ginger e Fred" è godibile momento per momento, trasfigurando la realtà anche più inquietante in variopinta e sovente incantata rappresentazione. La poesia di questo film è che la descrizione degli squallori di una realtà grottesca non disturba la delicatezza, il pudore, i toni smorzati, la dignità della storia tra i due protagonisti, in un film in cui confluiscono i due tipi psicologici fondamentali dei personaggi felliniani, sempre rappresentati rispettivamente da Giulietta e Marcello: da una parte l'innocenza, l'entusiasmo infantile, la fede, l'ottimismo, il perbenismo e il pragmatico buon senso, dall'altra l'irresponsabilità di inventarsi anche con le bugie la vita per sfuggire alla tragedia e alla cesura del sogno (che Fellini rappresenta nella sua opera nell'agghiacciante personaggio dell'intellettuale ne "La dolce vita"), in quella sintesi che è Fellini.
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luca scial�
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martedì 4 marzo 2014
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la degenerazione di roma e dello spettacolo
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Una trasmissione televisiva convoca un pò di fenomeni da baraccone per una prima serata spacciata da grande evento. Ma tra loro ci sono anche Ginger e Fred, una coppia di ballerini che intorno agli anni '60 imitava con successo la mitica coppia di Tip tap. La loro riconciliazione artistica li metterà di fronte anche alla dura realtà dei tempi che corrono: un mondo dello spettacolo diventato volgare e degenerato, con loro che sembrano due fantasmi che diventano monito e promemoria di una classe artistica ormai persa.
Terz'ultimo film di Federico Fellini sulla decadenza di Roma, inondata di rifiuti e di cartelloni pubblicitari volgari, e della tv, volgare e commerciale.
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Una trasmissione televisiva convoca un pò di fenomeni da baraccone per una prima serata spacciata da grande evento. Ma tra loro ci sono anche Ginger e Fred, una coppia di ballerini che intorno agli anni '60 imitava con successo la mitica coppia di Tip tap. La loro riconciliazione artistica li metterà di fronte anche alla dura realtà dei tempi che corrono: un mondo dello spettacolo diventato volgare e degenerato, con loro che sembrano due fantasmi che diventano monito e promemoria di una classe artistica ormai persa.
Terz'ultimo film di Federico Fellini sulla decadenza di Roma, inondata di rifiuti e di cartelloni pubblicitari volgari, e della tv, volgare e commerciale. Il regista aveva già intuito dove ci avrebbe portato la Tv commerciale (di fatti c'è un personaggio che rievoca Berlusconi), e contrappone a quello squallore ormai dilagante e inarrestabile la classe di due vecchi artisti, che affida a due grandi attori: Marcello Mastroianni e Giulietta Masina. Le loro rughe, segno indelebile di un tempo andato e che non tornerà, rende il loro ruolo ancora più riuscito.
Vinse 4 Nastri d'argento e 4 David di Donatello.
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federico riccardo
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martedì 17 giugno 2014
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fellini e la televisione
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“Ginger e Fred” costituisce con “Intervista” e “La voce della luna” quella che io definisco la “trilogia della modernità”. Ed è una modernità non certo vista di buon occhio.
Fellini odiava l’oggetto “telecomando” : celebri le interviste in cui confessava di aver paura dell’uso improprio di questo strumento, capace di zittire chiunque senza pietà.
Ma il nemico numero uno del regista riminese era diventata la pubblicità (“non si interrompe un’emozione” ), e per quanto avesse provato a dirigere spot pubblicitari (vedi quello della “Barilla”) non è mai riuscito a convertirsi del tutto. E non poteva certo fare altrimenti: Fellini era un poeta, e non è un connubio che si sposa di certo, quello tra poesia e pubblicità.
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“Ginger e Fred” costituisce con “Intervista” e “La voce della luna” quella che io definisco la “trilogia della modernità”. Ed è una modernità non certo vista di buon occhio.
Fellini odiava l’oggetto “telecomando” : celebri le interviste in cui confessava di aver paura dell’uso improprio di questo strumento, capace di zittire chiunque senza pietà.
Ma il nemico numero uno del regista riminese era diventata la pubblicità (“non si interrompe un’emozione” ), e per quanto avesse provato a dirigere spot pubblicitari (vedi quello della “Barilla”) non è mai riuscito a convertirsi del tutto. E non poteva certo fare altrimenti: Fellini era un poeta, e non è un connubio che si sposa di certo, quello tra poesia e pubblicità.
Possiamo dire che è la pubblicità stessa la vera protagonista del film; più in particolare la pubblicità degli ultimi trent’anni, fatta di volgarità, nudi gratuiti (non è un caso che ci sia Moana Pozzi a interpretare la protagonista di uno spot) e maschilismo. Siamo dunque nella piena rivoluzione berlusconiana, che qualche anno dopo avrebbe letteralmente modificato il sistema di fare televisione in Italia.
In questo sfondo cialtronesco, ci sono i due personaggi forse più cari a Fellini: Marcello Mastroianni, alter ego del regista e Giulietta Masina, la moglie, che gli è sempre rimasta accanto, i quali interpretano rispettivamente Pippo e Amelia (due nomi disneyani, attribuiti forse per un tentativo di riscatto dell’innocenza).
I due, ex ballerini di tip-tap ormai invecchiati vengono chiamati da un’emittente privata per esibirsi dopo anni in una trasmissione televisiva , popolata da fenomeni da baraccone. Ci vuole poco ai due artisti per sentirsi pesci fuor d’acqua: maltrattati anche da un blackout che rovina il loro numero, i due tentano di abbandonare il palco in tempo, ma la luce riprende e decidono di terminare ciò che avevano lasciato in sospeso. Ma il pubblico non apprezza e ai due personaggi non resta altro che tornare alle proprie vite, forse non perfette e appaganti ma pur sempre più vere e autentiche di quelle dipinte dal tubo catodico.
Fellini non è mai stato tanto lucido quanto in questo film (e “La voce della luna” ne è un degno seguito: lì è addirittura l’immagine della luna incantevole e leopardiana ad annunciare la pubblicità), una consapevolezza amara di ciò che sta accadendo, testimoniata anche dal monologo di Mastroianni in camerino. Non resta che accettare tristemente il destino e stare pronti a essere taciuti dal demoniaco telecomando , in una società che dagli anni ‘60 sta vivendo, parafrasando Pasolini, “un nuovo fascismo”.
Bello e triste. E tutto ciò molto prima di vari Grandi Fratelli, di “vallettopoli”, Lele Mora, Corona, Isole e Fattorie . Molto prima della parolina “trash”, ormai attribuibile a un buon 80 per cento della televisione pubblica e non.
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greatsteven
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mercoledì 26 luglio 2017
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la malinconia trascorsa e l'arrivismo odierno.
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GINGER E FFED (IT/FR/RFT, 1985) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da GIULIETTA MASINA, MARCELLO MASTROIANNI, FRANCO FABRIZI, TOTO MIGNONE, FRIEDRICH VON LEDENBURG, AUGUSTO PODEROSI
Amelia Bonetti e Pippo Botticella, in arte Ginger & Fred, erano un duo di ballerini di tip-tap che eseguivano insieme i numeri musicali dei celebri Fred Astaire e Ginger Rogers, il cui sodalizio artistico fu bruscamente interrotto nella stagione 1939-40. Più di quarant’anni dopo, vengono reclutati dalla troupe televisiva del programma Ed ecco a voi… per fare il loro stacchetto migliore davanti ad un pubblico che, in occasione della nutrita puntata natalizia, vedrà una carrellata di personaggi singolari e pacchiani da ogni prospettiva.
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GINGER E FFED (IT/FR/RFT, 1985) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da GIULIETTA MASINA, MARCELLO MASTROIANNI, FRANCO FABRIZI, TOTO MIGNONE, FRIEDRICH VON LEDENBURG, AUGUSTO PODEROSI
Amelia Bonetti e Pippo Botticella, in arte Ginger & Fred, erano un duo di ballerini di tip-tap che eseguivano insieme i numeri musicali dei celebri Fred Astaire e Ginger Rogers, il cui sodalizio artistico fu bruscamente interrotto nella stagione 1939-40. Più di quarant’anni dopo, vengono reclutati dalla troupe televisiva del programma Ed ecco a voi… per fare il loro stacchetto migliore davanti ad un pubblico che, in occasione della nutrita puntata natalizia, vedrà una carrellata di personaggi singolari e pacchiani da ogni prospettiva. Invecchiati nel corpo, ma ancora giovanili e pimpanti nello spirito, Amelia e Pippo effettueranno il numero più riuscito di tutto l’episodio, sovrastando di una spanna abbondante tutta la sgargiante volgarità che il programma propone col solo obiettivo di pompare a dismisura l’audience. Sarà l’occasione per guardarsi indietro e scoprire cosa si è fatto di giusto e di sbagliato in un passato denso di opportunità perdute e successi conseguiti. Pippo e Amelia si salutano alla stazione, con la promessa di scriversi una lettera o, ancora meglio, di tornare a rivedersi. Discesa nel mondo bieco e stringente della televisione commerciale, di cui vengono prontamente denunciati il consumismo, la pubblicità sempre più intontente e ossessiva, lo sfruttamento delle sfortune delle persone allo scopo di impinguare le finanze, il totale disimpegno della privacy (per nulla rispettata), la mostra troppo esplicita di individui che non dovrebbero esporre così platealmente le loro caratteristiche "fuori dal comune"e il bisogno ormai inderogabile di avere in casa un apparecchio televisivo di cui si è diventati dipendenti quasi senza accorgersene. Gli unici due che meritano un’attenzione speciale da parte del pubblico sono, com’è logico, i due protagonisti (eccellente gioco di squadra fra Masina e Mastroianni, straordinari nel compensarsi a vicenda), vecchie glorie del ballo quand’era considerato un puro mezzo di espressione artistica. E del resto loro sono Artisti con la A maiuscola: praticano il tip-tap per il gusto di ballarlo. Ma c’è anche il confronto della loro onestà intellettuale con la finta cultura che regna intorno a loro: ne è un’efficace dimostrazione il colloquio che Pippo intrattiene con gli scrittori a proposito delle rime poetiche che annota su un taccuino, approfittando di un’ispirazione momentanea. Ma tutta la sequenza dell’attesa nella sala colorata e gagliardamente illuminata è un esempio assai calzante della volgarità spicciola, più che culturale, che animava il mondo del piccolo schermo già nel 1985: non ci si fanno scrupoli nello sfruttare le storie private di transessuali, né di portare in studio una vacca con quindici mammelle, né nel far esibire in un numero musicale un gruppo di nani, di cui per altro viene rivelata la statura. Tanti piccoli personaggi popolano un universo magniloquente, nel quale Amelia e Pippo si sentono spaesati, e per quanto le ragioni del disorientamento siano differenti per l’uno e per l’altra, lo sbigottimento e la sensazione di non appartenenza a questo becero microcosmo è identica. Ottima anche la scelta di tenere Masina sola per la prima mezz’ora del film, e di far comparire Mastroianni nelle sembianze di un dormiente che russa rumorosamente durante il sonno: ma da quando i due attori recitano in coppia, la simbiosi è in meravigliosa sintonia! E almeno una volta tanto, Fellini ha avuto l’idea opportuna di non fare di Mastroianni il suo alter ego. Quanto alla prova del regista riminese, ha diretto i suoi due attori-feticcio (di cui una, com’è noto, era sua moglie) tenendoli a briglia sciolta e permettendo loro uno spazio espressivo di lunga gittata, il che sortisce come risultato la signorilità eccelsa della Masina, cui fa da contraltare la saggezza compassata, ma pur sempre intelligente, di Mastroianni. E che dire degli stupefacenti contributi tecnici? I costumi di Danilo Donati e le scene di Dante Ferretti furono premiati con un Nastro d’Argento, ma anche le musiche sognanti di Nicola Piovani avrebbero meritato il riconoscimento. Altri due Nastri furono conquistati da Masina e Mastroianni, migliore attrice e miglior attore protagonista. Un connubio fra costumi, scenografia e colonna sonora che impreziosisce un’opera omnia capace di fornire agli spettatori un affresco sulla comunicazione odierna, praticata attraverso il veicolo catodico, ma sempre travisata per far arrivare agli italiani che la guardano comodamente in casa un messaggio manierato e falsificato. La qual cosa serve soltanto a convincere le persone che ciò che stanno osservando sia pregno di bellezza e grazia, quando in realtà esclusivamente la boria e l’arroganza non fanno che abbondare da tutti i pori. Eccezionale prova di F. Fabrizi nelle vesti del conduttore che presenta lo spettacolo serale: posato benché ciarliero, col sorriso d’ordinanza, inserito alla perfezione nel contesto che è stato poc’anzi descritto. Uno degli ultimi opus di Fellini che, avviandosi al termine del suo repertorio registico, ha sfornato un prodotto su cui non valeva certo la pena di scrivere un testamento spirituale, ma pur tuttavia una pellicola che è valsa a testimoniare la sua sensibilità verso temi attuali, la cui attualità è direttamente proporzionale al loro essere scottanti e soprattutto inascoltati dalla maggior parte dei telespettatori. Un discreto successo al box office che non mancò di farlo lodare anche dalla critica.
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jekyll
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mercoledì 16 dicembre 2015
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la dolce vita anni '80
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Il cinema di Fellini ha assunto nei suoi ultimi film uno sguardo sempre più cupo e sgomento In “Ginger e Fred” egli dimostra la profeticità di chi coglie in anticipo i segni dell'apocalisse. Protagonista, insieme a Pippo e Amelia, sublimi Mastroianni e Masina, la cui storia egli narra con tono delicato, in magnifico contrasto con tutto il resto, è la civiltà televisiva (contemporanea, ma con radici in quella della tv che oggi ci sembra migliore), una realtà di finzione, di falsi (sottolineata dalla presenza nel film di sosia di personaggi famosi) che rispecchia una società di valori apparenti, senza verifiche.
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Il cinema di Fellini ha assunto nei suoi ultimi film uno sguardo sempre più cupo e sgomento In “Ginger e Fred” egli dimostra la profeticità di chi coglie in anticipo i segni dell'apocalisse. Protagonista, insieme a Pippo e Amelia, sublimi Mastroianni e Masina, la cui storia egli narra con tono delicato, in magnifico contrasto con tutto il resto, è la civiltà televisiva (contemporanea, ma con radici in quella della tv che oggi ci sembra migliore), una realtà di finzione, di falsi (sottolineata dalla presenza nel film di sosia di personaggi famosi) che rispecchia una società di valori apparenti, senza verifiche. Quella che racconta Fellini è una televisione che dà legittimazione a qualsiasi imbecille e per la quale viviamo nel migliore dei mondi possibili, non importa se all'esterno fumano i sacchi dell'immondizia e gli stessi cartelloni pubblicitari (la pubblicità - contro la quale Fellini in sé non aveva nulla, era contrario al fatto che i film venissero spezzettati dalla stessa - è l'anima di questa tv) sembrano l'illustrazione dell'inferno. Fellini ha sempre operato un processo di deformazione caricaturale, un intervento di chiarificazione magistrale della realtà, come nelle immagini dilatate e barocche de ”La dolce vita”. Da un certo punto in poi non c'è stato più bisogno di intervenire: in “Ginger e Fred” alcune riprese sono effettuate dalla realtà stessa, senza trucchi o forzature. Ma a muovere Fellini non è lo sdegno per una modernità che a pare fare a meno dei valori in cui egli si era sempre riconosciuto; egli comunque rispetta e riesce a sorridere. Affiora invece persino una filosofia del successo (il protagonista si vedrà chiedere l'autografo), l'orgoglio di avergliela fatta, di esserci riusciti; oltre il facile moralismo (anch'esso sbeffeggiato da Fellini in questo film) nei confronti del successo e della volgarità. Che vuol dire che vivere, anche in una realtà spesso che appare poco nobile, sgradevole, che atterrisce, dà già abbastanza. Il mesto finale deciso da Fellini é emblematico: bisogna accettare il proprio destino e non rinchiudersi in un conservatorismo ostile al nuovo. Molti intellettuali e moralisti italiani all'epoca si unirono al nuovo vento francese (con i gollisti al governo al posto dei socialisti che avevano appoggiato Berlusconi nel suo tentativo di entrare nel mercato televisivo d'oltralpe) nell'interpretazione antiberlusconiana del film, attaccando molto pesantemente l'impreditore, con tanta furia quanta miopia. In realtà Fellini, molto più lungimirante, stava raccontando una favola guardando come sempre aveva fatto nel profondo dell'anima italiana, in una mutazione culturale, mentale più che di costume cui la televisione é solo specchio, riflesso, manifestazione.
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danko188
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mercoledì 9 marzo 2016
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non si interrompe un'emozione
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Amelia Bonetti (Giulietta Masina) e Pippo Botticella (Marcello Mastroianni) si sono distinti da giovani per essere stati due abili ballerini di Tip-tap dagli emblematici nomi d’arte: Ginger & Fred. Una rete televisiva privata per indire un varietà natalizio convoca giovani e vecchie personalità dello spettacolo, un rendez-vous a cui i due compagni di lunga data, spinti da motivi diversi, vi prenderanno parte. Sarà l’occasione per entrambi di rincontrarsi dopo tanti anni e tornare ad assaporare per l’ultima volta, l’ebbrezza del palcoscenico e gli applausi del pubblico.
Se il ritratto di una Roma sorniona ma ancora genuina come quella del ’72 poteva essere rappresentato da Anna Magnani, lo stesso non possiamo dire di quella degli anni ’80 che di volti pare averne fin troppi.
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Amelia Bonetti (Giulietta Masina) e Pippo Botticella (Marcello Mastroianni) si sono distinti da giovani per essere stati due abili ballerini di Tip-tap dagli emblematici nomi d’arte: Ginger & Fred. Una rete televisiva privata per indire un varietà natalizio convoca giovani e vecchie personalità dello spettacolo, un rendez-vous a cui i due compagni di lunga data, spinti da motivi diversi, vi prenderanno parte. Sarà l’occasione per entrambi di rincontrarsi dopo tanti anni e tornare ad assaporare per l’ultima volta, l’ebbrezza del palcoscenico e gli applausi del pubblico.
Se il ritratto di una Roma sorniona ma ancora genuina come quella del ’72 poteva essere rappresentato da Anna Magnani, lo stesso non possiamo dire di quella degli anni ’80 che di volti pare averne fin troppi. Mi riferisco naturalmente agli innumerevoli volti della televisione, che proprio in quegli anni cominciava ad imporsi con le relative televendite e quiz come mezzo centrale e dominante della cultura di massa nella società contemporanea. Il 1986 era ad un passo e Fellini in questo film ci dà un assaggio profetico del potere incasellato in quei cassetti che giacciono tuttora sul mobile di ogni italiano e che non sembra volersene distaccare, un potere a cui oggi abbiamo affibbiato il termine di berlusconismo. Fu lo stesso Fellini, che qualche spot l’aveva girato, a coniare il famoso slogan Non si interrompe un'emozione, spiegando lo sbaglio sacrilego del mandare in onda la pubblicità durante un film in quanto opera d’arte e mezzo di espressione per un autore. Puntando il dito contro lo scempio delle televisioni private non manca di sottolineare molti di quegli elementi che oggi rivestono tristemente ruoli di prim’ordine anche nelle reti nazionali, come lo sfruttamento del corpo femminile che non lascia trasparire persino alcuni messaggi dal fine pruriginoso, la strumentalizzazione dei sentimenti delle persone: Dite che siete compagni anche nella vita, alla gente piacciono le storie d’amore si sente consigliare ai due protagonisti, che a breve si sarebbe trasformata in vera e propria strumentalizzazione del dolore. Per tutto il film si vedono enormi cartelloni pubblicitari in secondo piano che ritraggono senza censure il corpo della donna, davvero agghiacciante. Ogni aberrazione di un mondo dello spettacolo finto e costruito ci viene mostrato attraverso gli occhi di una nonna, una Giulietta Masina che riesce sempre ad intenerire, nei suoi occhi prevale la stessa nostalgia del passato che persiste durante un po’ tutto il film, nel suo essere così fuori dagli schemi con un’umanità che non è ancora andata perduta si cela un senso di disagio in un ambiente che dopo tanti anni sembra aver perso quei valori professionali e principi morali che un tempo vi erano alla base. Spinta dai suoi nipotini e dal desiderio di ritrovare un vecchio amico, Amelia si cala in un’avventura dalla quale non sa come ne uscirà e nel trambusto delle prime ore in albergo, quando l’attenzione maschile è canalizzata alla partita di calcio, sembra già smarrirsi finchè sul punto di addormentarsi non si imbatte nel fragoroso russare di Pippo. Il primo approccio tra i due sembra brusco e un po’ bonario, lui è ridotto uno straccio dall’alcool e riesce a rivolgersi alla sua Ginger solo con aria di scherno. Successivamente il rapporto comincerà ad ingranare e si renderanno conto di non essere poi cambiati più di tanto nel corso degli anni, ciò che importa è che tra i due sussiste un legame sincero, una spontaneità del tutto estranea a coloro i quali devono prestare servizio per la cifra, ribadita con pretenziosità da Pippo, di 800 mila lire. Il personaggio di Mastroianni/Fred è quello che tra i due conserva maggior astio e ribellione verso la corruzione televisiva, passa dalla fama di sciupafemmine alcolizzato a ballerino non impeccabile suscitando quella compassione che alla fine dei conti sarà traducibile come sentita comprensione da parte dello spettatore. Mi ha fatto ridere di gusto quando appena dopo il black out ha fatto il gesto dell’ombrello al pubblico in sala bollandoli come Teledipendenti, credendo di essere ancora avvolto nell’oscurità.
Un certo sdegno viene destato nello spettatore che nel conoscere i concorrenti dello show televisivo viene a capire di come tutti fossero una manica di gentaglia senza talento, messi lì solo perché somiglianti ad un cantante, un attore o un personaggio famoso a caso (il boom dei sosia), per essere dei fenomeni da baraccone (i nani), un frate che afferma di poter volare, un transessuale la cui “vocazione” lo avrebbe condotto a prestare i propri “servigi” in un carcere, o addirittura dei mafiosi.
Film decadente che tanto dice del vero Fellini che palesa la sua pura ingenuità nella moglie Giulietta Masina, e la sua amara disillusione nello storico alter-ego Mastroianni in un ruolo che a tratti sembra richiamare spudoratamente quello dell’intellettuale ne La dolce vita. Interpreti perfetti, commovente nel suo essere carica di malinconia la scena in cui indossano gli abiti di scena e provano i passi dell’esibizione. Nonostante fossero dei veterani è evidente il loro disorientamento quando percorrono gli immensi corridoi del backstage, curato nel dettaglio dall’encomiabile Dante Ferretti, qui per l’appunto molto “felliniano”.
Le musiche di Nicola Piovani si adattano bene al cinema visionario del regista riminese, che lo rivolle con sé anche per firmare le colonne sonore dei successivi lavori.
Bello il film ma bellissimo il finale alla stazione in cui Ginger e Fred, finalmente promettono di rincontrarsi dando un seguito alla loro unione professionale.
Segno che persino Fellini riconosce che la televisione, per quanto squallida, può dispensare alle persone una gioia veritiera.
Voto 8.5
Danko188
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frdb82
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martedì 5 aprile 2005
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televisione e modernità fra satira e attrazione
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Per quello che ho percepito, l'atteggiamento verso la televisione commerciale come in generale verso il mondo moderno rappresentato è ambiguo. Da una parte la deformazione grottesca con quei due protagonisti purissimi, portavoci di un mondo dello spettacolo ormai perduto, dispersi nei gironi infernali del set della rete privata; dall'altra l'esser ammaliante di quello stesso degrado, l'innegabile attrazione verso questa miniera magmatica, esplosiva, pirotecnica di forme e di corpi, così energica e imponente da suscitare quanto meno (anche) stupita ammirazione. E poi il mondo (nuovo e vecchio) dello spettacolo visto da dietro le quinte, nell'ottica umorale-emozionale, eroica degli stessi protagonisti-esibizionisti che si gettano in pasto alla telecamera come kamikaze.
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Per quello che ho percepito, l'atteggiamento verso la televisione commerciale come in generale verso il mondo moderno rappresentato è ambiguo. Da una parte la deformazione grottesca con quei due protagonisti purissimi, portavoci di un mondo dello spettacolo ormai perduto, dispersi nei gironi infernali del set della rete privata; dall'altra l'esser ammaliante di quello stesso degrado, l'innegabile attrazione verso questa miniera magmatica, esplosiva, pirotecnica di forme e di corpi, così energica e imponente da suscitare quanto meno (anche) stupita ammirazione. E poi il mondo (nuovo e vecchio) dello spettacolo visto da dietro le quinte, nell'ottica umorale-emozionale, eroica degli stessi protagonisti-esibizionisti che si gettano in pasto alla telecamera come kamikaze. L'intellighenzia di sinistra l'ha voluto classificare come satira feroce della nuova televisione; non dico che parzialmente non lo sia, ma si dovrebbe incominciarlo a leggere anche come omaggio possente e commovente di un grande uomo di spettacolo allo spettacolo in quanto tale
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