Come cinefilo e amante del cinema, non mi vergogno di confessare di avere grosse lacune, ho spesso posposto la visione di alcuni capolavori del passato pensando che dovesse arrivare il "momento giusto". Tra le lacune più grosse citerei 'Il Padrino', ma arriverà il suo momento.
La lacuna che ho deciso di riempire è stata 'C'eravamo tanto amati', film considerato uno dei vertici della "Commedia all'italiana" intesa come quel genere di film che dietro l'apparente intenzione comica, svelava lo scopo di descrivere la società italiana e di denunciarne i suoi mali, o semplicemente di parlare in maniera scherzosa di fatti seri. Da "La Grande Guerra" di Monicelli, attraverso Divorzio all'Italiana e Signore e signori di Germi, fino ai due Amici miei, sempre di Monicelli.
Fin dal titolo, C'eravamo tanto amati dà l'impressione di essere un film sulla nostalgia. Infatti il titolo è il primo verso di "Come Pioveva", una vecchia canzone di Armando Gill, il primo vero cantautore italiano (napoletano) che infatti annunciava i suoi pezzi dicendo: «Versi di Armando, musica di Gill, cantati da sé medesimo».
E infatti il film ripercorre la storia di tre partigiani, dal dopoguerra al 1974, uniti dal comune scopo di liberare l'Italia ma in realtà molto diversi fra loro per origine sociale e culturale e, vedremo, nelle loro ambizioni. Antonio (Nino Manfredi) un portantino d'ospedale romano fedele ai suoi ideali, Gianni (Vittorio Gassmann) che un aspirante avvocato di Pavia e Nicola (Stefano Satta Flores) che un insegnante di Nocera Inferiore con la passione del cinema.
Il film finisce proprio a cavallo di quegli anni che i film sulla nostalgia ci hanno fatto più amare: gli anni settanta del rock, della ribellione, del sogno del cambiamento. E invece nel film assistiamo all'imbruttimento di un'Italia che nasce dalla lotta partigiana piena di speranze, ma queste speranze svaniscono presto mentre alcuni si rassegnano (come Antonio), altri si arrangiano (come Gianni) ed altri perdono il filo del discorso sociale (some Nicola): tutti e tre sconfitti, in modi diversi, ma perdenti.
Il film ricrea quell'atmosfera dell'occasione perduta per l'Italia tenendo sullo sfondo un paese che sta fiorendo con suo boom economico ma che sfiorisce allo stesso tempo. In particolare una scena che ricrea il set de La Dolce Vita di Fellini, con Mastroianni anche lui sul set, fa venire i brividi. Ma, alla fine, quando arrivano quegli anni settanta che io avevo tanto amato, mi rendo conto che la rivoluzione era già persa da tempo e che il film, forse, spiegando una fase della storia d'Italia, contiene in se il finale di questa nuova rivoluzione, che, come sappiamo, ha portato ad un ulteriore imbruttimento del nostro paese.
Riguardando il film nel 2010, mi rimane in mente il personaggio di Romolo Catenacci (uno strepitoso Aldo Fabrizi) come quello che più rappresenta l'essenza del nostro paese: un uomo schifoso e ignorante, re del malaffare che crede che è convinto di essere nel giusto perché
Negli onesti c'è quella purezza che se gli capita l'occasione diventano più mascalzoni dei mascalzoni veri.
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