paolp78
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domenica 21 marzo 2021
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schema affermato di cui non si ha vergogna di abus
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Secondo un modello affermatosi ormai da qualche decennio, i thriller polizieschi hanno particolare successo se contrappongono una donna investigatrice ad uno spietato assassino seriale.
Si tratta di uno schema che trova il suo più illustre precedente nel capolavoro di Jonathan Demme “Il silenzio degli innocenti” e che da allora è stato più volte replicato in pellicole di minor valore e altrettanto minor successo, ma che hanno comunque ottenuto un discreto consenso, almeno da parte del pubblico, proprio sfruttando questa ottima miscela di ingredienti ben bilanciati e vincenti.
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Secondo un modello affermatosi ormai da qualche decennio, i thriller polizieschi hanno particolare successo se contrappongono una donna investigatrice ad uno spietato assassino seriale.
Si tratta di uno schema che trova il suo più illustre precedente nel capolavoro di Jonathan Demme “Il silenzio degli innocenti” e che da allora è stato più volte replicato in pellicole di minor valore e altrettanto minor successo, ma che hanno comunque ottenuto un discreto consenso, almeno da parte del pubblico, proprio sfruttando questa ottima miscela di ingredienti ben bilanciati e vincenti.
Questa pellicola del regista inglese Jon Amiel richiama il capolavoro di Demme anche per il fatto che il serial killer a cui viene data la caccia ha un mentore che è un altro famoso omicida finito in galera. Ciò detto, le similitudine finiscono qua, emergendo per il resto la profonda differenza tra le due opera, tutta a svantaggio di quella di Amiel, decisamente inferiore.
Uno dei punti più dolenti è costituito dalla sceneggiatura che presenta numerose pecche ed elementi poco convincenti: innanzitutto gli agenti di polizia sono dei tonti imbranati che vengono facilmente sopraffatti ed uccisi dal cattivo di turno; poi c'è il serial killer che è talmente abile da sembrare quasi che disponga di superpoteri che gli consentono di introdursi ovunque a suo piacimento, senza essere visto, e di realizzare con disarmante facilità i più contorti piani criminali.
Non mancano le scene in cui la tensione viene tenuta alta, ricorrendo alle solite riprese insistite sulla vittima, mentre lo spettatore sa che l'assassino è in agguato e sta per colpire da un momento all'altro; in quest'ottica di accrescimento della suspense si fa apprezzare la trovata dell'agorafobia di cui soffre la psicologa criminale bersaglio del serial killer.
Come accennato si tratta di un poliziesco al femminile, difatti le protagoniste sono due donne: Holly Hunter interpreta l'investigatrice di polizia che indaga sugli omicidi, riuscendo a rendere il personaggio in modo tutto sommato convincente; l'altra protagonista è Sigourney Weaver non al meglio nella contraddittoria parte della criminologa agorafobica e terrorizzata da precedenti traumi, che però aiuta lo stesso la polizia a catturare l'assassino. Il ruolo maschile di maggior rilievo è invece quello del collega poliziotto della Hunter, interpretato da Dermot Mulroney.
Mal sviluppato l'intreccio amoroso tra le due protagoniste ed il personaggio di Mulroney: risvolto che non poteva trovare il giusto sviluppo in un film del genere, per il quale appare decisamente poco indovinato.
Troppo articolata e poco convincente la lunga scena finale.
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cronix1981
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mercoledì 7 aprile 2010
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film già visto
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Questo "Copycat: omicidi in serie" è un film che nulla toglie e nulla aggiunge alla lunga sequenza del cinema su questa tematica. Il tema del killer seriale nei film degli anni 80 e soprattutto degli anni 90 è stato ampiamente sviluppato e portato sul grande schermo, ma questo film non entra certo nella lista degli "imperdibili". Costruito su un cast di buon livello (Sigourney Weaver su tutti), non riesce nel tentativo di impressionare lo spettatore. Dopo un incipit che sembra promettere un seguito interessante, intrigante, inquietante, insomma da vero thriller, il seguito non è affatto dello stesso livello di tensione e pathos che ci si aspetterebbe.
La sceneggiatura lascia alcuni dubbi. Non tutti i personaggi sono approfonditi e sembrano comparire ad intermittenza senza lasciare il segno.
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Questo "Copycat: omicidi in serie" è un film che nulla toglie e nulla aggiunge alla lunga sequenza del cinema su questa tematica. Il tema del killer seriale nei film degli anni 80 e soprattutto degli anni 90 è stato ampiamente sviluppato e portato sul grande schermo, ma questo film non entra certo nella lista degli "imperdibili". Costruito su un cast di buon livello (Sigourney Weaver su tutti), non riesce nel tentativo di impressionare lo spettatore. Dopo un incipit che sembra promettere un seguito interessante, intrigante, inquietante, insomma da vero thriller, il seguito non è affatto dello stesso livello di tensione e pathos che ci si aspetterebbe.
La sceneggiatura lascia alcuni dubbi. Non tutti i personaggi sono approfonditi e sembrano comparire ad intermittenza senza lasciare il segno. Ma soprattutto il punto che lascia maggiormente perplessi è il tentativo di utilizzare la Hunter come pseudo-sosia di Clarice Starling (Jodie Foster) de "Il silenzio degli innocenti": assolutamente non regge il paragone e impoverisce ancor di più il livello qualitativo del film stesso.
Del film solo il titolo sembra rappresentare perfettamente il contenuto, infatti Copycat non è solo il serial killer che emula le gesta di altri serial killer più famosi, ma è il film stesso che copia in modo più o meno esplicito da altri film del genere.
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