Ne L’Attimo Fuggente (1989) Tom Schulman e Peter Weir propongono, in chiave poetica e brillante ma con esiti tragici, un rapporto tra le generazioni più aperto rispetto alle rigide regole degli anni ’50 in cui è ambientato il film, anticipando nella scena finale la prossima rivoluzione giovanile. In Elina (As If J Wasn’t There - 2002) Klaus Härö, basandosi sull’omonimo romanzo di K. Johansson i Backe (1990) adotta una struttura narrativa basata sugli stessi personaggi-tipo (anziano preside/insegnante retrivo, figlio/studente sensibile e vittima, giovane insegnante dalla parte dei ragazzi) per rappresentare un’altra scottante asimmetria.
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Ne L’Attimo Fuggente (1989) Tom Schulman e Peter Weir propongono, in chiave poetica e brillante ma con esiti tragici, un rapporto tra le generazioni più aperto rispetto alle rigide regole degli anni ’50 in cui è ambientato il film, anticipando nella scena finale la prossima rivoluzione giovanile. In Elina (As If J Wasn’t There - 2002) Klaus Härö, basandosi sull’omonimo romanzo di K. Johansson i Backe (1990) adotta una struttura narrativa basata sugli stessi personaggi-tipo (anziano preside/insegnante retrivo, figlio/studente sensibile e vittima, giovane insegnante dalla parte dei ragazzi) per rappresentare un’altra scottante asimmetria. Intorno al 1950 in Svezia non circolano ancora neri e mussulmani, ma nonostante la medesima pelle bianchissima, gli occhi azzurri, i capelli biondi e la stessa Bibbia, una frattura separa gli svedesi, relativamente ricchi e progrediti, dalla minoranza povera dei contadini-allevatori finnici stanziati nell’inospitale settentrione del paese. L’anziana insegnante svedese Tora Holm (l’ottima fu-bergmaniana Bibi Andersson), responsabile della scuola di un remoto villaggio, è intenzionata sradicare la lingua finnica dalle labbra, ma soprattutto dalla testa, dei suoi bambini. Ottimo esemplare di missione educativa priva non solo d’amore, ma pure di riflessione storica e psicologica, Holm, come tutti i civilizzatori, si crede depositaria esclusiva dei veri valori. Sono suoi la superiorità materiale, culturale e quindi morale, l’orgoglio colonialistico di portare ordine e luce nella caotica tenebra della tundra, e naturalmente il credito di gratitudine vantato sulla razza inferiore. Elina è una ragazzina finnica, orfana di padre irregolare, col quale continua a incontrarsi nei boschi e nella palude; da lui ha appreso la dignità, la giustizia e la solidarietà. A scuola inevitabilmente colliderà con la severa maestra, rischiando di essere distrutta quando Tora Holm, in un estremo tentativo di piegarla, comincia a trattarla in classe come se non esistesse. Non esiste come alunna che oppone le sue ragioni all’insegnante, non esiste come membro di una cultura subordinata rispetto a quella dominante. In mezzo, ma dalla parte di Elina, il giovane maestro appena trasferito Einar Björk, disponibile verso la gente del villaggio, curioso di lingua e tradizioni locali. Quando sta per arrivare in paese la sua auto (svedese), forse la prima capitata da quelle parti, va in panne e deve essere trainata dal cavallo di un contadino (finnico). Il bene, qualunque cosa sia, – Einar lo sa – non proviene mai da una sola parte e non cammina sempre sulle stesse ruote. Ambientata nel passato secolo dell’estremo nord, Klaus Härö ci consegna una buona storia la cui inavvertita lezione rimane urgentemente attuale sotto ogni latitudine.
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