fabrizio dividi
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domenica 26 giugno 2011
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non chiedermi la parola
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Anatoly è un guru più che un monaco. È scorbutico e asociale, rispettato più per il suo enigmatico modo di esprimersi che per la sua fedeltà alla regola monastica; nonostante la sua apparente, anarchica follia, riesce tuttavia ad avere un seguito tra i fedeli, cosa che che disturba non poco i suoi fratelli di fede. Le sue risposte sono sempre dure ma sagaci, solo apparentemente irrazionali e ciniche e inevitabilmente conducono ad una forma di 'veritas' che fa crescere.
Vive da più di trent'anni separato dagli altri in una baracca adiacente al piccolo tempio, posta in un lembo di terra tra montagne di carbone stipato nella stiva di una nave in disarmo.
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Anatoly è un guru più che un monaco. È scorbutico e asociale, rispettato più per il suo enigmatico modo di esprimersi che per la sua fedeltà alla regola monastica; nonostante la sua apparente, anarchica follia, riesce tuttavia ad avere un seguito tra i fedeli, cosa che che disturba non poco i suoi fratelli di fede. Le sue risposte sono sempre dure ma sagaci, solo apparentemente irrazionali e ciniche e inevitabilmente conducono ad una forma di 'veritas' che fa crescere.
Vive da più di trent'anni separato dagli altri in una baracca adiacente al piccolo tempio, posta in un lembo di terra tra montagne di carbone stipato nella stiva di una nave in disarmo. Durante la guerra Anatoly ha ucciso il suo capitano per salvarsi dai nazisti, tradendo in uno sparo patria ed amicizia: quel che gli rimane è una lunga forma di espiazione che durerà una vita intera, nella sua isola spoglia, uno spazio metaforico in cui colpa e redenzione si inseguono senza fine.
I paesaggi d'acqua plumbea ricordano l'oceano-pensiero di Solaris: il logos del protagonista, mistico e razionale allo stesso tempo evoca il fantasma di Ordet, paragoni tutt'altro che irriverenti per un film profondo, colto e meditativo, figlio del miglior cinema d'oltre cortina. Fabrizio Dividi
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luca scial�
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martedì 26 maggio 2015
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un monaco dal passato tormentato
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In una Russia remota degli anni '70 vive il monaco Anatoly, alquanto anti-convenzionale ma anche capace di miracoli, al punto che il popolo si reca da lui a mo' di Santone. Ma il suo passato lo tormenta, avendo in piena guerra mondiale tradito il comandante della nave su cui viaggiava uccidendolo dietro ordine dei nazisti, avendo così cara la pelle. Cerca così di espiare la sua colpa con la fede e il lavoro umile in una caldaia, tra i fumi del carbone.
Lounguine affronta il tema della fede e di una Chiesa lontana dalla gente. Nei modi scapestrati e bizzarri di Anatoly cerca di rimetterla sulla retta via. Stupenda la fotografia, suggestivo il colore. Intimista ed esistenzialista.
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greyhound
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sabato 9 gennaio 2016
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il mistero dietro l'apparenza
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Ostrov, il titolo originale di questa pellicola, è un film piuttosto particolare. Rarefatto nella sua essenza e leggero nella tematica che apparentemente tratta, ovvero la vita di una comunità di monaci ortodossi. Al contempo, però, osservando attentamente ciò che esprime lungo tutto il suo svolgersi è possibile notare come in realtà i personaggi siano stati delineati con caratteristiche psicologiche piuttosto personali e precise. Si prenda, ad esempio, Padre Iov, giovane e colto sacerdote, incline a poggiarsi agli aspetti più formali della ritualistica ecclesiastica e piuttosto freddo e distaccato rispetto ai desideri/richieste dei fedeli. In questo modo incarnando bene il realismo e distacco meccanicistico del periodo storico in cui è ambientata la pellicola, ossia l’Unione Sovietica di metà anni ’70.
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Ostrov, il titolo originale di questa pellicola, è un film piuttosto particolare. Rarefatto nella sua essenza e leggero nella tematica che apparentemente tratta, ovvero la vita di una comunità di monaci ortodossi. Al contempo, però, osservando attentamente ciò che esprime lungo tutto il suo svolgersi è possibile notare come in realtà i personaggi siano stati delineati con caratteristiche psicologiche piuttosto personali e precise. Si prenda, ad esempio, Padre Iov, giovane e colto sacerdote, incline a poggiarsi agli aspetti più formali della ritualistica ecclesiastica e piuttosto freddo e distaccato rispetto ai desideri/richieste dei fedeli. In questo modo incarnando bene il realismo e distacco meccanicistico del periodo storico in cui è ambientata la pellicola, ossia l’Unione Sovietica di metà anni ’70.
Al centro della scena vi è, invece, Padre Anatoli, la cui figura può essere intesa meglio come quella del coprotagonista, dato che divide il ruolo con un qualcosa di immateriale ma estremamente concreto: la colpa. Proprio il ricordo di un episodio vissuto in gioventù lo attanaglia in modo così stretto da imprigionarlo in una sorta di personale inferno da cui non gli è possibile liberarsi, nemmeno tramite la continua mortificazione e penitenza. L’incontro con un visitatore e la sua problematica figlia lo condurranno a trovarsi nuovamente di fronte ad un bivio, permettendogli di intravedere una luce in fondo alle sue personali tenebre.
Un giudizio finale non può che tenere in considerazione che molti elementi presenti abbiano un carattere fortemente legato alla cultura russa e ortodossa, quindi non immediatamente leggibili agli occhi stranieri. Tuttavia la bellezza e la delicatezza dei paesaggi mostrati, nello specifico la regione della Carelia, e l’intensità della colonna sonora riescono a trasmettere la sensazione che a volte l’isolamento fisico, qui rappresentato dalla comunità stessa posta nel nulla, sia secondario rispetto all’isolamento psicologico. Anatoli, infatti, è esso stesso un’isola circondata dal nulla se non dal senso del fallimento e della colpa, impossibilitato a condividere questi pesi con gli altri. Di conseguenza costretto al silenzio, proprio perché in alcuni casi il silenzio stesso esprime molto più di mille parole.
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