paola di giuseppe
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domenica 14 marzo 2010
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l’umanissimo angelo dei bassifondi
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Shimura e Mifune per la prima volta insieme (l’anno dopo saranno la straordinaria coppia di Cane randagio) in un lungometraggio sui disastri della guerra,nel degrado morale e ambientale dei bassifondi di Tokio,per un tema che in Kurosawa è particolarmente urgente e tornerà anche in tempi ormai lontani da quella tragedia collettiva (Dodés‘Ka-dén del ’70) in una desolata verifica a posteriori del perdurare di un male che affonda le radici nell’uomo e che la guerra serve solo a mettere a nudo.
Dunque gli “eroi” positivi,in Kurosawa, possono essere anche “angeli ubriachi” (“Anche tu credi che gli angeli somiglino alle pupattole che frequentano i vostri locali notturni?Gli angeli veri sono come me”dice Samada,medico collerico e altruista, ubriacone e competente,capace di battute al vetriolo “I giapponesi offrono sempre la loro vita per ideali idioti”,e di gesti di grande dolcezza, con la piccola paziente guarita dell’ultima scena,che accompagna cantando a comprare una torta alla crema).
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Shimura e Mifune per la prima volta insieme (l’anno dopo saranno la straordinaria coppia di Cane randagio) in un lungometraggio sui disastri della guerra,nel degrado morale e ambientale dei bassifondi di Tokio,per un tema che in Kurosawa è particolarmente urgente e tornerà anche in tempi ormai lontani da quella tragedia collettiva (Dodés‘Ka-dén del ’70) in una desolata verifica a posteriori del perdurare di un male che affonda le radici nell’uomo e che la guerra serve solo a mettere a nudo.
Dunque gli “eroi” positivi,in Kurosawa, possono essere anche “angeli ubriachi” (“Anche tu credi che gli angeli somiglino alle pupattole che frequentano i vostri locali notturni?Gli angeli veri sono come me”dice Samada,medico collerico e altruista, ubriacone e competente,capace di battute al vetriolo “I giapponesi offrono sempre la loro vita per ideali idioti”,e di gesti di grande dolcezza, con la piccola paziente guarita dell’ultima scena,che accompagna cantando a comprare una torta alla crema).
Del resto, non aveva già pensato nel ’46 Frank Capra a mostrarci Clarence,un angelo senza ali? Questa però non è una favola,il Giappone è stato devastato dalla ventata di morte che dall’Europa si è estesa fino all’Asia,travolgendo coscienze e destini,su Hiroshima il tempo si è già fermato da tempo e Kurosawa riuscirà ad esorcizzarne il ricordo solo nel suo penultimo film,Rapsodia d’agosto del ’91.
Ora per l’artista è il tempo della meditazione,quando occorre capire e costruire metafore che sovrappongano il loro dominio concettuale ad una realtà altrimenti incomprensibile.
Matsunaga (Mifune) è un boss tubercolotico in disarmo della Yakuza,feroce malavita nipponica di antica origine che nel dopoguerra ha ripreso vigore.
Sanada (Shimura) vuol curarlo a tutti i costi,gli incontri finiscono spesso con insulti e scontri fisici,Matsunaga è un ribelle,un cane rabbioso che non accetta di essere malato.Ma Sanada è così, non fa differenze fra i bambini che scaccia a pietrate dallo stagno infetto perché non prendano il tifo,la giovane donna che tiene in casa al riparo dal perverso Okada e questo esemplare di gioventù bruciata, bello, atletico, eppure con un grosso buco nel polmone.
Certo, per far sopravvivere i propri sogni in quel quartiere putrido bisogna bere anche acquavite pura se non c’è di meglio,ma in fin dei conti Sanada si rialza sempre, anche quando lo scaraventano fuori da un locale a calci,lui cammina nel fango guardando le stelle, chi barcolla e crolla sono gli altri, la vile sgualdrina che abbandona Matsunaga malato per andarsene con il boss vincente, Okada e Matsunaga che si rotolano nella vernice bianca rovesciata sul pavimento in un duello mortale di angosciante lentezza,vite allo sbando,legate a balordi codici d’onore che si chiudono ad ogni ipotesi di riscatto e salvezza.
Lo stagno infetto su cui spesso la macchina da presa torna è metafora dell’immobilismo che impedirà a Matsunaga di evitare la morte, accogliendo le cure del medico e la preghiera della donna che lo ama di andar via con lei,lontano, in campagna.
Mentre il giovane cade colpito a morte da Okada in un radioso mattino di sole,Sanada sta tornando dal mercato nella casa ambulatorio dove crede che Matsunaga lo stia aspettando per farsi curare. Ha in mano delle uova fresche prese per lui.
“Dopotutto era solo un cattivo gangster”sarà il suo unico commento.
La pietas di questo umanissimo angelo ubriaco ha perso una battaglia, ma la vita non è una favola e spesso manca il lieto fine.
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luca scial�
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venerdì 9 agosto 2013
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un medico contro la malavita
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In un quartiere degradato un medico fa il possibile contro la Tubercolosi, che affligge molti cittadini causa le precarie condizioni igieniche del posto. Tra i pazienti c'è Matsunaga, un malavitoso che non vuole ammettere di essere malato. Il dottor Sanada fa di tutto per guarirlo, scontrandosi spesso anche fisicamente con lui. Ma non sarà un'impresa facile.
Prima che la sua popolarità esplodesse, Kurosawa ci regala un film che fa riflettere. Protagonista è un medico con le sue fragilità (è alcolizzato), ma molto dedito alla sua professione, al punto da mettersi contro la malavita per salvare un boss locale gravemente ammalato. Attraverso la sua fermezza, Kurosawa mette alla berlina le regole assurde delle criminalità organizzate.
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In un quartiere degradato un medico fa il possibile contro la Tubercolosi, che affligge molti cittadini causa le precarie condizioni igieniche del posto. Tra i pazienti c'è Matsunaga, un malavitoso che non vuole ammettere di essere malato. Il dottor Sanada fa di tutto per guarirlo, scontrandosi spesso anche fisicamente con lui. Ma non sarà un'impresa facile.
Prima che la sua popolarità esplodesse, Kurosawa ci regala un film che fa riflettere. Protagonista è un medico con le sue fragilità (è alcolizzato), ma molto dedito alla sua professione, al punto da mettersi contro la malavita per salvare un boss locale gravemente ammalato. Attraverso la sua fermezza, Kurosawa mette alla berlina le regole assurde delle criminalità organizzate. Il suo protagonista è un angelo ubriaco, interpretato dall'ottimo Takashi Shimura, in pieno stile del regista giapponese: personaggi con difetti umani e mai davvero puri.
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lucaguar
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martedì 24 febbraio 2015
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sottovalutato ma grandioso
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"L'angelo ubriaco" (1948) è uno dei primi film di Kurosawa, che dimostra però, pur prima di diventare famoso al pubblico occidentale, di essere già un giovane promettentissimo e dotato di un talento straordinario, al pari di quello che diventerà il suo attore-feticcio per anni, Toshiro Mifune.
Il film anticipa, per intenderci, la scia di "Vivere", presenta cioè un dramma umano post-bellico e, sotto questo aspetto (e a mio parere sotto pochi altri), può ricordare il neo-realismo italiano.
Un giovane e arrogante gangster di nome Matsunaga si fa curare dal dottor Sanada, un competente ed onesto medico, sebbene rozzo e tendente all'alcolismo; il malavitoso è orgoglioso e non accetta di essere malato della grave forma di tubercolosi che l'ha colpito e i due vengono più volte alle mani.
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"L'angelo ubriaco" (1948) è uno dei primi film di Kurosawa, che dimostra però, pur prima di diventare famoso al pubblico occidentale, di essere già un giovane promettentissimo e dotato di un talento straordinario, al pari di quello che diventerà il suo attore-feticcio per anni, Toshiro Mifune.
Il film anticipa, per intenderci, la scia di "Vivere", presenta cioè un dramma umano post-bellico e, sotto questo aspetto (e a mio parere sotto pochi altri), può ricordare il neo-realismo italiano.
Un giovane e arrogante gangster di nome Matsunaga si fa curare dal dottor Sanada, un competente ed onesto medico, sebbene rozzo e tendente all'alcolismo; il malavitoso è orgoglioso e non accetta di essere malato della grave forma di tubercolosi che l'ha colpito e i due vengono più volte alle mani. Inizia così un dramma che culminerà con la morte di Matsunaga, che il capo-clan vuole eliminare per far posto a Okada, potente boss da tempo in galera e ora tornato in libertà, con il quale il giovane avrà la peggio in un duro corpo a corpo.
Ben lontano dal voler esprimere facili morali, seppur di denuncia contro la violenza e la malavita, questo film è impressionante per la capacità di Kurosawa di entrare nel profondo dei personaggi e scavarne l'inconscio (la scena del sogno di Matsunaga non può non essere considerata "bergmaniana") attraverso primi e primissimi piani intensissimi e ripetuti più volte, una bella fotografia in bianco e nero molto contrastata, e le profonde e sentitissime interpretazioni di un giovanissimo Toshiro Mifune e del solito grande Takashi Shimura, a mio avviso due dei più grandi attori del Novecento.
Kurosawa "nasce grande", perchè questo film è sicuramente uno dei maggiori capolavori della sua lunga e acclamata carriera, sebbene spesso molto sottovalutato. Il consueto tono schietto e vero, mai stereotipato e perbenista che sa trasmettere il regista giapponese, contornato sempre da un velo di compassione nei confronti dei personaggi, fanno di questa pellicola una delle più belle del dopoguerra. Difficile infatti non farsi trasportare dalla potenza dei due protagonisti, con i quali è più facile entrare in relazione che lasciarsi andare a giudizi moralisti: il dottor Sanada, sotto la cui dura corazza si cela davvero un "angelo", un uomo buono e altruista che, con coraggio e fermezza, riesce a interpretare il mestiere del medico come una vocazione e una missione quotidiana e il gangster Matsunada che, seppur all'inizio arrogante e prepotente, di fronte alla morte comprende di essere solo un uomo con tutti i suoi limiti e le sue paure, che non saranno certo l'alcool e gli eccessi a far sparire; così arriva addirittura ad ammettere di dovere la sua vita a Sanada, anche se purtoppo la sua stoltezza e il suo autolesionismo lo porteranno a non comprendere a fondo il dono della vita e finirà per morire di morte violenta.
Un film grandioso insomma, anche abbastanza inedito per Kurosawa, che però rimarrà per sempre nella storia del cinema, preambolo di una gloriosa carriera.
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nicolas bilchi
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sabato 7 maggio 2011
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l'angelo ubriaco.
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Meno riuscito di "Sugata Sanshiro" per via dell'influsso pessimistico che i terribili eventi della Guerra ebbero sul Giappone, "L'angelo ubriaco" è comunque un'opera notevole che conferma l'abilità di Akira Kurosawa e che segna il debutto di Toshiro Mifune, dando il là ad uno dei sodalizi più fortunati e spettacolari della storia del cinema. Il film è permeato, come di consueto, dalla toccante e meditativa riflessione del regista attorno all'uomo, questa volta concretizzata dal rapporto di amicizia, spesso conflittuale, che si instaura tra il medico Sanada (Shimura) e Matsunaga (Mifune), un giovane malvivente borioso e spaccone, dalle tendenze tipicamente occidentali.
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Meno riuscito di "Sugata Sanshiro" per via dell'influsso pessimistico che i terribili eventi della Guerra ebbero sul Giappone, "L'angelo ubriaco" è comunque un'opera notevole che conferma l'abilità di Akira Kurosawa e che segna il debutto di Toshiro Mifune, dando il là ad uno dei sodalizi più fortunati e spettacolari della storia del cinema. Il film è permeato, come di consueto, dalla toccante e meditativa riflessione del regista attorno all'uomo, questa volta concretizzata dal rapporto di amicizia, spesso conflittuale, che si instaura tra il medico Sanada (Shimura) e Matsunaga (Mifune), un giovane malvivente borioso e spaccone, dalle tendenze tipicamente occidentali. Originariamente l'opera avrebbe dovuto focalizzarsi solo su Sanada, definito appunto "angelo ubriaco" per via della sua passione per il bere e per l'atteggiamento di grande disponibilità ed impegno nei riguardi dei suoi pazienti, un interessamento che va al di là dell'ambito professionale; però, quando Kurosawa notò Mifune impegnato in un provino per un altro film, rimase talmente colpito dalla sua prestazione che riscrisse la sceneggiatura, promuovendo il personaggio di Matsunaga da figura di secondo piano ad assoluto copratagonista. Questa fu una scelta che se da una parte premiò giustamente il grande Toshiro (comunque non già ai livelli cui sarebbe arrivato in seguito), dall'altra andò forse a minare la riuscita complessiva dell'opera: i due personaggi finiscono per entrare in competizione tra loro, impedendo a Kurosawa di esprimere completamente i messaggi che ognuno di essi amana; ne risulta uno spostamento dell'attenzione dalle figure prese singolarmente al rapporto che tra loro si instaura, rapporto che viene approfondito e caricato di un valore più profondo, quasi simbolico, ma che al contempo potrebbe essere visto come imperfetto e inconcluso (ad avvalorare questa possibilità, la gestione della morte di Matsugana, che avviene senza che questi abbia modo di trovarsi un'ultima volta a contatto col dottore). In un certo senso è proprio questo l'aspetto più bello, ma anche più triste, del film: nonostante tra i due protagonisti si crei un sodalizio molto forte, non c'è mai un vero dialogo, i due non riescono mai veramente a confidarsi i propri dolori e quindi a sostenersi l'un l'altro, per via dell'atteggiamento ostile di Matsunaga. Il personaggio di Mifune è impaurito dalla tubercolosi, dall'idea della morte, ma il suo desiderio di apparire coraggioso e "macho" gli impedisce di esplicitarla, incrementandola. E quando Sanada lo rimprovera per questo voler nascondere i suoi sentimenti, quel momento rappresenta una superba preghiera di Kurosawa a tutti gli uomini a non celare le proprie emozioni, ad essere sinceri e spontanei, senza temere di essere giudicati per come si è realmente.
Su un altro versante, "L'angelo ubriaco" è interessantissimo per avere un esempio di come il cinema indigeno tradusse sullo schermo la difficile condizione del Giappone dopo il conflitto mondiale; l'incubo dell'atomica, e l'indelebile cicratice che ella ha lasciato su tutti i giapponesi, è facilmente rintracciabile nel film, anche se mai esplicitamente rappresentato; troppo violenta e dolorosa per essere mostrata, essa è espressa dalla superba allegoria dell'acqua sudicia nella quale c'è una rosa che va perdendo i suoi petali, consumata dai germi. Eppure in questa superba fotografia non c'è boriosità, non c'è la minima aggressività e denuncia dell'autore nei confronti di nessuno: è invece una straziante presa di coscienza delle misere condizioni di vita del popolo giapponese, e Kurosawa si inserisce tra quelli, non si pone come "poeta vate" ergentesi al di sopra della massa (degli spettatori) ma partecipa con loro della sofferenza che quotidianamente stanno vivendo.
Tre stelle e mezzo.
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