Divorzio a Las Vegas

Capite l'entusiasmo, non me l'aspettavo. Spinto a vederlo da motivi che non sto a raccontare, individuato il filone, entrato quindi senza illusioni, sono uscito felice e contento. Prima mi ero detto: beh, alla fin fine c'è Gianmarco Tognazzi (Giannandrea). C'era, ma in una certa "aura": quasi fine e distinto, equilibrato e ironico. Solo che deve smettere di sfottere sa lui chi. Potrebbe stroncargli la carriera. La stessa che dovrebbe fare il promettente outsider che qui compare, Luca Vecchi (Tullio), "rimorchiatore" a livello internazionale, nella tenuta da guaglione che tiene al look, appositamente creata dalla costumista (Alessandra Trippetta) che con estro ed eleganza "abbiglia" l'intero popolo del film. Se già all'inizio si loda il vestiario vuol dire che l'opera contiene pregi di stile.
Vi sembrerà di vedere "per la prima volta" Las Vegas e dintorni, soggiogati da un decoro sontuoso e da suggestioni di scenografie emozionanti.
Personaggi ed interpreti.
La femmina Andrea Delogu, Elena. Uscita, pare, da un Hollywood di C'era Una Volta. Seducente ed altera, piglio deciso, tocchi di classe.
Giampaolo Morelli, Lorenzo/Gandhi. Poco o niente del "Grand'anima", tutto del paroliere/parolaio, sprovveduto e inguaribilmente sentimentale.
Grazia Schiavo, Sara, l'avvocatessa. Rappresenta un problema che ritroviamo nel costume. Si sa che dopo una giornata di lavoro, impegnativo e stressante in un contesto di competizione e rivalità, alla fine non si rimane "sexy", non vengono grilli per la testa, insomma non si ha più "voglia". Si preferisce addirittura  rimanere in ufficio oltre l'orario. Care ragazze in carriera, non disperate.  A rimettere gli ormoni in moto può venire in soccorso anche un'umile creatura. Un essere servizievole, bisognoso di affetto e di contanti, Rocky Memphis, Lucio.
Son solo alcuni dei messaggi che vengono veicolati attraverso trovate improntate a freschezza e amenità. L'abito da sposa ispirato al rigoglio di un cavolo. I flash psichedelici che nell'oscurità di un ascensore bloccato inclinano ad un... illanguidimento. Il clou quando Elena, per proteggere l'inopinata nudità, si abbraccia ad un gigantesco teddy bear  color cipria.
Mano leggera (si dice "garbo") nelle due o tre impacciate "scorrettezze". Gli squisiti scenografi, regista in testa, sono alieni da spregiudicatezza e da qualsiasi sconsiderato intento dissacratore. Garanzia di lunga vita nel neolitico talebano.
La lieta sorpresa, Umberto Riccioni Carteni, si merita una costellazione di manica larga.