Goro Miyazaki non è Hayao e si vede, ma si riconosce una certa classe nel suo lavoro.
La collina dei papaveri probabilmente non è un capolavoro, ma è un buon film opportunamente farcito di attenzione, sapiente tecnica di animazione e una storia abbastanza interessante.
Con questo titolo lo Studio Ghibli ha puntato su una storia che negli anni '80 fu un autentico successo, combinazione di tantissimi ingredienti diversi dei più in voga all'epoca: rimaneggiando il manga originario per adattarlo al video il lavoro di talio e cucito è stato tanto, ma nel complesso il risultato animato non ha niente da invidiare a quello cartaceo, anzi riesce ad essere un mezzo addirittura più efficace per trasmettere i messaggi originali di aiuto reciproco, amicizia, solidarietà, rispetto di cultura e tradizione.
La quantità di temi che il film tocca, senza approfondirne se non un paio, è davvero notevole e questa potrebbe essere la critica più grande da rivolgergli, alcune scene sono toccate con un buonismo ed una semplicità effettivamente poco credibili ed ecco perchè in tanto l'hanno additato come "film buonista per bambini, senza una storia che stia davvero in piedi". Io bambina non lo sono più, ma il film mi è ugualmente piaciuto molto perchè è un sapiente mix di ingredienti, seppure non perfetto. E' adatto sia ai più piccoli, coinvolti nel ondo chiassoso e colorato del Quartier Latin, della casa sulla collina, della vita quotidiana degli anni '60 e della natura che ancora si infila tra la città, sia agli adulti che vedono un prodotto eccezionalmente realizzato dal punto di vista tecnico e stilistico, forme ultimo baluardo di un'animazione fatta a mano che ormai tutte le case occidentali stanno abbandonando dopo decenni di grandi glorie. La collina dei papaveri è un monumeto alla memoria anche da questo punto di vista: alla fine il 3D è il 3D, ma come il disegno fatto a mano... non c'è nulla.
I peggiori difetti di questo lungometraggio, comunque, non sono da ricercare nel film stesso, ma nel modo distratto e poco curato con cui, ancora una volta, il prodotto orientale di animazione è stato portato in Italia.
La nota più dolente è senz'altro la programmazione in sala: un solo giorno, il fantomatico 6 novembre, e poi sparito per sempre. Non si può certo dire che sia una scelta strategicamente valida ed è ancor di più sinonimo di quanto ancora l'animazione nipponica sia etichettata in Italia come di serie B, prodotti esclusivamente per bambini e senza il minimo interesse. A tal proposito posso dire, avendoli visti entrambi, che La collina dei papaveri non ha niente da invidiare al ben più famoso Brave-Ribelle, salvo una campagna di sponsor adeguata (addirittura martellante).
Piuttosto che cercare di cambiare l'immaginario di chi ancora crede che tutto ciò che proviene dal Giappone siano ragazzini dalla bocca larga e trame inesistenti proponendogli i film della tradizione miyazakiana, da Nausicaa a Mononoke Hime, si preferisce portare avanti questo (s)comodo stereotipo.
Quindi è un film già nato sfortunato in Italia con la messa in onda di un solo giorno per il quale gli appassionati devono riorganizzarsi la settimana intera e gli impegni perchè non si replicherà più.
Un altro problema riscontrato, e che purtroppo accomuna tutti i film giapponesi di animazione, è il doppiaggio. La Kazè continua ad avere un livello di inascoltabilità irraggiungibile, ma con gli ultimi prodotti la Lucky Red ha rimostrato di poter essere altrettanto incapace. Il nuovo doppiaggio di Laputa - Il castello nel cielo si era configurato come deprimente (un vero peccato visto che l'originale italiano era perfetto) caratteristica ritrovata anche ne La collina dei papaveri dove una traduzione non esattamente fedele ma piuttosto letterale, un linguaggio eccessivamente formale e una piattezza nella dialettica totalmente inespressiva si aggiungono ad aggravare la situazione del film, affossato definitivamente più dal suo stesso produttore che dal pubblico il quale forse, in circostante più favorevoli, si sarebbe volentieri prestato per questo tipo di animazione delicatissima, alla riscoperta della semplicità del sentimento e del gesto, di tradizioni non proprie della nostra cultura, ma descritte magnificamente. Un mondo che non esiste più, ma che torna ad esprimersi con la regia di Goro, la sceneggiatura di Miyazaki padre e l'inconfondibile abilità artistica dello Studio Ghibli con la sua cura per il particolare, l'espressione, il fondale...
Un prodotto piacevole e godevole che meritava un altro trattamento.
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