Il confine tra il bene e il male è sottile, ma soprattutto è molto labile. Il film si apre anticipandoci quale sarà il filo conduttore della storia, o per meglio dire, delle storie: “non c’è giusto o sbagliato, c’è più giusto o più sbagliato”. Così, i tre protagonisti, tre poliziotti del 65° distretto di New York, sono costretti a fare i conti con la propria coscienza per affrontare i problemi che minano la loro vita personale. Ethan Hawke, forse il migliore dei tre, deve assolutamente trovare i soldi per poter comprare una nuova casa per la sua numerosa famiglia. Don Cheadle, poliziotto infiltrato in una gang nera della droga, vuole a tutti i costi avere una promozione e lasciare la strada violenta. Richard Gere, alcolizzato e depresso, passa le giornate solo in attesa della pensione. Tutti e tre dovranno scendere a patti con la realtà e il proprio senso del bene e del male o, più correttamente, di cosa è più o meno giusto.
Il film è ben strutturato con una trama solida e ben costruita, senza retorica e mai scontata (anche se per certi versi prevedibile). Certo, non è un tema particolarmente originale, soprattutto in relazione a film di poliziotti americani, tuttavia la regia e la fotografia sono ottime. Notevole la scena di Hawk nel confessionale. Ciò che fa fare il salto di qualità alla pellicola, a mio avviso, è che a differenza di Crash non c’è il solito sistema di storie incrociate alla Inarritu, ormai abusatissimo da Amores Perros in avanti. Le vicende corrono parallele e indipendenti, tranne nel finale, ma anche lì, non si può parlare di un intreccio vero e proprio.
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