Cinqueperdue - Frammenti di vita amorosa

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Un film di François Ozon. Con Valeria Bruni Tedeschi, Françoise Fabian, Michael Lonsdale, Stéphane Freiss, Géraldine Pailhas.
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Titolo originale 5x2 cinq fois deux. Drammatico, durata 90 min. - Francia 2004. - Bim Distribuzione uscita venerdì 1 ottobre 2004.
   
   
   

È TUTTA UNA FINZIONE? Valutazione 4 stelle su cinque

di THEOPHILUS


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giovedì 13 marzo 2014

5 X 2
 
A noi pare che ci sia la precisa volontà di disattendere il chiaro significato che il regista François Ozon ha voluto dare al suo film – presentato in concorso alla 61. edizione del festival cinematografico di Venezia – fin dalla titolazione.
Delle due cifre, la prima sta ad indicare il numero di situazioni che egli prende in esame relativamente alla vita dei due protagonisti, indicati con il secondo dei due numeri. Questi momenti o frammenti, visti à rebours, come già era stato fatto da Gaspar Noé per il suo Irréversible – presentato alla 55^ edizione del festival di Cannes – sono topici nella vita di coppia e, con la parziale eccezione del primo, in cui vediamo Marion (Valeria Bruni Tedeschi) e Gilles (Stephane Freiss) alle prese con il divorzio e, volendo essere ottimisti, del secondo, che ci mostra il capitolo precedente in cui i due sono chiaramente in crisi, ricorrenti. Gli altri 3 ci parlano – rispettando la cronologia non del film, ma della vita – dell’innamoramento, del matrimonio e della nascita del primo figlio – anche quest’ultimo momento è sempre meno scontato, ma lo si dà per tale, considerandolo come la vera motivazione dell’unione. L’andare a ritroso alle situazioni precedenti, non è tanto un artificio retorico, come invece ci sembra accadesse nel film poco su menzionato, ma denota, invece, il procedimento psicologico degli esseri umani che si volgono indietro a catturare nostalgicamente i momenti in cui le cose andavano bene e ci pare indubitabile che ad esso François Ozon voglia dare un valore universale: da qui quel 5 X 2, che vale per tutti gli uomini, di qualsiasi etnia, qualunque lingua parlino. Da noi hanno pensato bene di decifrare linguisticamente il titolo, chissà, forse temendo che potesse essere scambiato per una maxi offerta da supermercato. Ed ecco quel cinqueperdue, apparentemente identico nella sostanza, ma che invece – col solo mutare della forma – perde molto del suo senso e della sua forza.
Solo il primo frammento del film (l’ultimo nella storia dei due protagonisti), quello della celebrazione del divorzio – con la lettura da parte dell’ufficiale giudiziario di ogni clausola, che rivela una separazione del tutto consenziente, civile e che non ha fra le sue cause alcuna motivazione di tipo economico, ha un ulteriore e forse imprevedibile risvolto: Marion e Gilles, infatti, si ritrovano subito dopo in una camera d’albergo a consumare un rapporto sessuale strappato da lui col la violenza. Sembra quasi che il regista voglia dire che – dopo essersi liberati da tutti gli orpelli contrattuali, dall’obbligo del vincolo che poteva bloccarli psicologicamente – i due possan tentare di ricominciare ad amarsi: è quello che, infatti, Gilles propone a colei che non è più sua moglie; ma Marion gli sbatte la porta in faccia.
Ogni frammento rappresenta, in effetti, un chiudersi di qualcosa, qualcosa che cambia nel loro rapporto, che lo fa declinare, degenerare e che provoca, pertanto, una ricerca affannosa del momento precedente in cui erano ancora (un po’ più) felici e, di conseguenza, la classica domanda che cosa abbiamo sbagliato?
Tutto scorre rapidamente, si muove sulla pelle dei due protagonisti che non riescono a fermare il decadere di un destino che sfugge dalle loro mani senza che loro riescano ad opporvisi. L’amore si dissolve, così, nel momento stesso in cui si manifesta, mentre tutte le conseguenza che socialmente e civilmente fanno seguito al sentimento stesso, sono pietre troppo dure da scalfire, mattoni che pesano sulla vita dei protagonisti quando loro, già da tempo, non sono più in grado di portare quel peso.
Durante la cerimonia di nozze, c’è l’altra lettura di un regolamento che ha tutta l’aria di un regolamento di conti. I classici impegni di fedeltà, l’obbligo a convivere sotto lo stesso tetto, a sostenersi a vicenda nelle avversità e ad amarsi per tutta la vita, come pure quello di far fronte in parti eguali all’impegno, economico e non, dei figli che si dà per scontato che i due debbano avere, sono appunto cose già scritte, leggi, codificazioni socio psicologiche che prevedono l’insorgere di situazioni che contrasteranno vivamente con gl’impegni precedentemente avallati. Sembra quasi che chi celebra il matrimonio avverta i due contraenti che avranno esattamente le tentazioni, i desideri, i bisogni opposti a quei vincoli a cui egli li sta sottoponendo e che la classica domanda Vuoi tu x, y prendere in sposo/a…?, debba invece essere letta Ma sei proprio sicuro/a tu x, y di voler prendere in sposo/a…? Il discorso pronunciato nella cerimonia del divorzio disfa con una naturalezza eloquente e sconcertante le imposizioni a cui i due si erano improvvidamente sottoposti sottoscrivendo il contratto matrimoniale.
Sul momento, la scena della 1^ notte di nozze, con la quasi ormai classica situazione di Lui che si addormenta in attesa che la sua Lei esca dal bagno, ci era sembrato uno stereotipo fin troppo abusato. Ma poi, ripensandoci, abbiamo convenuto che ci sta tutta nell’economia del film e nel ragionamento di Ozon. La sognata 1^ notte, come l’altrettanto agognata luna di miele, non sono che le tappe già precostituite di un’abitudine sociale che non hanno da lungo tempo più alcun motivo di sussistere e la cui aura di mistero decade immediatamente insieme alla disillusione di chi ancora vi ripone qualche aspettativa. Sono parte integrante, anzi basilare, di tutta la messinscena orchestrata a danno dell’uomo e della donna che si sono sottratti, con un misto di gioia e un senso di liberazione, alla recita finale assai prima di cedere alla tentazione di cadere nell’errore. Marion che guarda affettuosamente e con tenerezza i genitori che ballano nella sala dove poco prima si è svolto il banchetto di nozze, sembra mettere già in dubbio che, nel suo futuro con Gilles, ci possa essere una scena analoga. D’altronde, questa situazione risente di un sentimentalismo contingente, stroncato ad esempio dalla cruda scena in cui – al momento della nascita di Nicolas – i due genitori di Marion vuotano il sacco e se ne dicono di tutti i colori. Analogamente, Marion, quella notte stessa, mentre Gilles dorme – o forse finge di dormire – si fa irretire in un’avventura sessuale con l’autista del pullman che ha portato là gli ospiti. La spiegazione di ciò non sembra potersi trovare semplicemente nella delusione per la mancata notte con lo sposo; più verosimilmente la si può invece rinvenire nella sensazione d’inadeguatezza di tutta quella storia che lei già stenta ad accettare, a capire, vederne un futuro. Molto rivelatrice è, poi, la domanda che le fa l’uomo: Anche lei era presente al matrimonio? Ci sta tutto nel gioco anche il suo pentimento, il suo ripensamento, quando, la mattina dopo, avendo trovato con sollievo il marito ancora addormentato nel letto di nozze, gli dice, con un trasporto e una commozione indotti – quasi a voler superare i controlli di una invisibile macchina della verità – di amarlo. Lo stesso farà Gilles con lei quando, dopo averla lasciata sola all’ospedale per un tempo indeterminato al momento della nascita di Nicolas, le telefona e la rincuora. Mentono entrambi, ma a loro stessi innanzitutto, incapaci come sono d’indagare sul loro smarrimento e le loro fughe, verificatisi proprio nei momenti che avrebbero dovuto essere di maggiore intensità e pregnanza e che, invece, sono stati vanificati, smascherati dall’invadenza dell’esteriorità, da un apparato sociale che non riesce più a sostenere l’impari sfida con la delusione e la disillusione da esso stesso provocate.
Così, a ritroso, si arriva alla molto amara e significativa scena finale, in cui i due, mentre si stanno già innamorando, s’immergono nel mare per fare il bagno e, davanti a loro, il sole tramonta.
È tutto un artificio, una finzione, un’illusione: così noi abbiamo inequivocabilmente interpretato la lettura del regista francese; di conseguenza, anche quella fastidiosa e troppo evidente presenza della giraffa che in molte scene penzola dall’alto a catturare i dialoghi degli attori, l’abbiamo considerata come un dato voluto a riprova di quanto appena detto.
Da rilevare, ancora, la colonna sonora, che recupera vecchie e significative canzoni di Bruno Conte, Bobby Solo, Gino Paoli, Luigi Tenco e Wilma Goich,a suffragare ulteriormente quest’emblematica ricerca di un’illusoria età dell’oro in un passato non ancora dimenticato.
Dopo Gouttes d’eau sur pierres brûlantes e Sous le sable – con le parentesi per noi poco o meno significative rispettivamente di 8 femmes e Swimming pool, un’altra convincente prova di François Ozon.
Degne di grande rilievo ci sono parse anche le interpretazioni dei due protagonisti principali.
 
Enzo Vignoli,
3 ottobre 2004.

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