A voler dimenticare le ragioni del tempo – e perdonarne la dilatazione nel racconto -, ‘Lantana’ di Lawrence offre allo spettatore meno distratto la struttura cinematografica di un ideale ‘montaggio alternato’; la rappresentazione di un progressivo e altalenante richiamo, delle vicende dell’uomo, alla silenziosa e multiforme riproduzione vegetale; all’opera inarrestabile della natura.
Nel solco di una consuetudine – che va facendosi tradizione propria – del cinema australiano (sotto questo aspetto storicamente accostabile alla migliore produzione cinematografica nordeuropea, scandinava e britannica), ‘istintivamente’ naturalistico, Lawrence distende, sullo sfondo di un costante riferimento alla vitale permanenza di una fitta boscaglia (costruito con fotogrammi ad inserto, tecnicamente realizzato come un piano-sequenza in ‘avanzamento’), il proprio materiale narrativo, fatto di intricate vicende sentimentali, di amori traditi e rubati, di rocambolesche e contraddittorie sofferenze, di solitudine e di morte.
Appare così spontaneo ricondurre, l’intero progetto artistico del regista australiano, all’idea-paradigma del ‘groviglio’, dell’intreccio contraddittorio e disordinato, dove al viluppo spontaneo e inaccessibile degli arbusti del bosco, fa da contrappunto la dimensione tragica e la contraddittoria ingovernabilità dei sentimenti umani, inspiegabili, inconciliabili, incomprensibili.
Vita e morte, passione e tradimento, solitudine individuale e di coppia si intrecciano, quindi, e si ‘aggrovigliano’ senza soluzione possibile di continuità, senza una raggiungibile definizione ultimativa, senza nemmeno la prospettiva consapevolizzante della ricerca e dell’analisi.
Il mistero dell’anima e l’insondabilità dei suoi recessi (dove il simbolo di una psicanalisi troppo emotivamente coinvolta trova, proprio nell’inaccessibilità e nell’oscurità del ‘groviglio’, la sua inevitabile fine-morte) si rispecchia così nell’occultamento del bosco, nella gelosa vegetazione che (come recita la lunga introduzione del film) assume la sinuosità del cadavere a prosecuzione, anche fisica, dell’inestricabile intreccio dei suoi rami.
Se un’apparente, sia pure parziale, conciliazione dei rapporti e delle vicende suggerisce il finale del film, lo spirito che governa l’intero racconto ne raccomanda una considerazione solo provvisoria: la destinazione (il destino dell’azione) è il ritorno, inevitabile e drammatico, al tragico e contraddittorio flusso dell’esistenza; all’abbraccio aggrovigliato di un’incurante ‘lantana’.
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