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Parafrasando il titolo dell'ormai lontana, ma quanto mai attuale, pellicola canadese, la vita di Adele prova a raccontare il tramonto dell'occidente in questa educazione sentimentale alla rovescia, in cui la cifra dominante alla fine è l'assenza di parole, la solitudine, la fuga. Senza la Bellezza, diceva profeticamente dostoevskij, l'umanità, è perduta. Di questo smarrimento il film è saturo, a cominciare dal film in sé, iperdenso e quasi ottuso nel suo troppo pieno, come nella pornografia delle scene di sesso, con precisa orrispondenza tra forma e contenuto del racconto.
Non a caso lo sguardo è quello di un regista franco-tunisino, che rivendica con orgoglio le sue origini "altre" rispetto alla cultura di cui pur si è nutrito e che narra partecipe e critico.
Imperfetto, poco emozionale e un po' autocompiaciuto (non è un film dei dardenne, dopotutto), merita la visione fino alla rivelatrice scena finale, avendo prima resistito alla tentazione ricorrente di alzarsi per andare a fare qualcosa di meglio.
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