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Il figlio di un governatore decaduto, divenuto grande, si ribella contro la schiavitù feudale del crudele intendente Sanshò.
Probabilmente la vetta del cinema di Mizoguchi, perfino superiore a “Vita di O-Harou” e a “I racconti della luna pallida d’agosto”. Il regista, ancora una volta, utilizza il medioevo nipponico come pretesto per affrontare le tematiche universali della schiavitù e della prostituzione che incatenano l’animo umano, senza tuttavia piegarlo del tutto, come dimostra la commovente scena finale (l’incontro con la madre sulla spiaggia).
Mizoguchi riesce qui a “bilanciare” il suo stile visivo – fatto essenzialmente di riprese lunghe e complesse – con un ritmo insolitamente teso e frenetico, che rendono il film più moderno rispetto ad altre opere del regista.
Una visione imprescindibile per gli amanti del cinema orientale.
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