Non c'è dubbio: La rossa ombra di Riata non è un capolavoro. Qualcosa però ce lo regala lo stesso, riuscendo a tenere un ritmo decente per quasi due ore, con una partenza abbastanza energica ma con un declino continuo che getta un'ombra di vacuità dura da sopportare in un film western. Apprezzabile il tentativo psicologico, visibile ad un occhio attento, dove il confine bene/male si sgretola a colpi di pistola. Interessante la figura ricorrente del personaggio Gutierrez, magistrato devoto alla legge, riconducibile a quella kierkegaardiana dell'Assessore Guglielmo, ma che a causa di uno scarso sviluppo finisce con il diventare più un deus ex machina, un dispensatore di democrazia, che un reale membro della vicenda. Al limite del grottesco i quattro banditi Frenk Brend, Jacob, Gorilla e Rotaja, specialmente gli ultimi due, che rischiano di sembrare ridicoli. E' nel suo stesso sangue che "La rossa ombra di Riata" rischia, durante le due ore, di annegare; un primordiale "Io vi troverò" con meno azione. Una caccia, quella da parte del protagonista sceriffo John Riata, senza pietà, che quasi ci fa dimenticare la breve partenza pseudopacifista ad effetto con la quale il film ha dato il via alle danze. Un film ferito, che perde sangue e non si schiera dalla parte dell'etica, ma che muore con dignità.
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