La "Cosa" da un altro mondo

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Un film di Christian Nyby, Howard Hawks. Con James Arness, Kenneth Tobey, Robert Cornthwaite, Margaret Sheridan, Dewey Martin.
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Titolo originale The Thing (From Another World). Fantascienza, b/n durata 90 min. - USA 1951. MYMONETRO La "Cosa" da un altro mondo * * * - - valutazione media: 3,12 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Una carota spaziale per un classico dello sci-fi Valutazione 3 stelle su cinque

di MONFARDINI ILARIA


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giovedì 23 maggio 2024

 “Attenzione al cielo! Dovunque, scrutate il cielo!”
Nel lontano 1938 lo scrittore di fantascienza statunitense John W. Campbell Jr. pubblica il suo romanzo Who Goes There?, giunto in Italia solo nel 1953 col titolo La “cosa” da un altro mondo. Chiunque sia un minimo appassionato di fantascienza, ma anche di horror, avrà senz’altro visto, e mi auguro più volte, il capolavoro di John Carpenter del 1982 La Cosa, fedele e più iconica trasposizione del romanzo di Campbell. Ma prima del papà di Michael Myers, a dirigere un film su questo racconto furono Christian Nyby e Howard Hawks, quest’ultimo accreditato solo come produttore e sceneggiatore, che nel 1951 fanno uscire nelle sale americane La Cosa da un Altro Mondo (The Thing from Another Wolrd). Decisamente meno attinente al testo originale, la sceneggiatura scritta a sei mani da Hawks insieme a Charles Lederer e Ben Hecht rimane comunque molto avvincente, spesso ironica ed a tratti sottilmente inquietante, sebbene manchi tutta la parte della paura legata alla paranoia di non sapere chi è colui che si ha davanti, elemento caratteristico sia del romanzo che del film di Carpenter, dove l’alieno è, appunto, un mutaforma, e può prendere le sembianze di chiunque gli capiti malauguratamente a tiro.
Il capitano dell’aviazione americana Pat Hendry, in servizio in Alaska, viene inviato, dopo una strana segnalazione, presso un’installazione scientifica artica dove lavora un eminente scienziato. Qui Hendry e la sua squadra vengono messi al corrente della caduta dal cielo di quello che sembrerebbe essere un grosso aereo, che ha provocato una rumorosa esplosione non lontano dalla base scientifica. Gli uomini si mettono quindi in moto per raggiungere il punto dove è avvenuto l’impatto, ma giunti sul posto si accorgono che a precipitare non è stato un aereo, bensì un enorme disco volante! Emozionati cercano di liberarlo dalla spessa coltre di ghiaccio che lo imprigiona usando la dinamite, e così facendo lo danneggiano, ma si accorgono anche che l’esplosione ha fatto uscire dall’astronave uno strano essere umanoide che è ancora congelato. Decidono così di portare il loro trofeo al campo base tagliando il blocco di ghiaccio che lo trattiene, ma non sanno che, una volta giunti a destinazione, l’alieno, ancora vivo e vegeto, si libererà e comincerà ad esigere il suo tributo di sangue. Il professor Carrington, intanto, recuperatone un braccio staccatogli via dai cani, scoprirà che l’extraterrestre ha una struttura simile a quella di un vegetale, una sorta di carota spaziale, e che si rigenera e riproduce molto molto velocemente grazie all’assunzione di sangue. La terra è in pericolo, l’ospite, ovviamente, non viene in pace, e gli uomini dovranno ingegnarsi per trovare il modo di eliminarlo, nonostante le proteste del professore che vede così un duro colpo nei confronti della scienza.
Avendo visto prima, e più volte, La Cosa di Carpenter, ho fatto un po’ fatica ad apprezzare fino in fondo questo lavoro della coppia Nyby/Hawks. Ero abituata ad una Cosa senza fattezze particolari, che era ora un husky ora un uomo, e che confondeva i presenti, i quali sviluppavano una vera e propria paranoia gli uni verso gli altri, non sapendo se chi avevano davanti era un loro amico o l’alieno che aveva preso le sue fattezze. E non è tanto una contestualizzazione storica, sebbene la verbosa parte iniziale, così prolissa, potesse senza dubbio essere evitata, e non riscontri proprio il gusto moderno dello spettatore. L’idea di trasformare la Cosa in un grosso omone verde dalla forza inaudita, che utilizza la serra della base artica per i suoi obbrobriosi innesti sanguinolenti che vagiscono come bimbi appena nati, senz’altro banalizza un po’ tutto il busillis, e considerando che la pellicola, sebbene prodotta dalla famosa RKO Radio Pictures, ha avuto un budget decisamente modesto, mi chiedo come mai non ci si sia attenuti alla storia originale che era senz’altro più inquietante ed anche meno costosa da realizzare a livello di effetti o altro. L’eclettico Howard Hawks, candidato all’Oscar nel 1942 per Il Sergente York, deve aver pensato che per fare paura un mostro era più adatto, visto anche il grande successo che ottenevano in quegli anni i grandi mostri della Universal Pictures. Ma, col senno di poi, l’incertezza sul nemico che hai davanti è, a mio modesto parere, la cosa più spaventosa che possa capitarci. Tuttavia sembra che i produttori volessero evitare le discordie interne tra i personaggi, proponendo invece un modello di coesione virile cameratesco molto forte che rappresentasse gli ideali ed i valori del coraggio allora in voga.
Certamente non mancano i momenti di buona suspense, nel clima di costante attesa che si crea nell’avamposto scientifico, certi che stia per succedere qualcosa in mezzo a tutto quel ghiaccio candido, dove gli uomini danno l’impressione di essere topi in gabbia. Per sottolineare questa sorta di “sovraffollamento” in uno spazio chiuso ed angusto, fuori dal quale sono poche le vie d’uscita, si utilizza spesso la tecnica, a mio avviso un po’ fastidiosa, dell’overlapping, ovvero personaggi che parlano rapidamente sovrapponendo i propri discorsi gli uni con gli altri come a suggerire tanti animaletti in una piccola gabbia, che rumoreggiano tutti l’uno sull’altro. Se certamente tale tecnica di parlato non aiuta la comprensione, essendo stata mantenuta anche nel doppiaggio italiano, tuttavia centra appieno il risultato voluto.
Buone, quasi tutte, le prove attoriali. Tra tutti spicca senza dubbio il californiano Kenneth Tobey nei panni del capitano Patrick Hendry, specializzato in ruoli eroici militari. Altro volto interessante e pragmatico è quello di Robert Cornthwaite che veste i panni del dott. Arthur Carrington, unico, tra tutti, a voler difendere la Cosa, considerandola una grande opportunità scientifica. Lo ricordiamo, sempre nel ruolo di un dottore, in un altro grande classico della fantascienza, La Guerra dei Mondi di Byron Haskin del 1953, e nell’horror drama di Robert Aldrich del 1962 Che fine ha fatto Baby Jane? Non ho invece trovato particolarmente a suo agio nel ruolo l’attrice Margaret Sheridan, dalla carriera, infatti, breve e poco interessante: interpreta la segretaria della base scientifica Nina Nicholson, ma quel perenne sorriso sempre stampato sul volto, anche quando la Cosa sta seriamente minacciando la vita di tutti loro, è fastidioso e rende il suo personaggio decisamente poco poco credibile.
Il film è stato quasi interamente girato in studio, mentre per le scene all’aperto sono stati utilizzati i territori impervi del Montana, mantenendo, sia all’interno che all’esterno, un senso del ritmo ed una suspense notevoli. Qui, a differenza che nel film di Carpenter, nella base ci sono anche donne, mentre ne La Cosa la presenza femminile è assolutamente esclusa. Carpenter fa spesso ricorso a scene splatter e raccapriccianti, espediente che invece non ricercano assolutamente Nyby e Hawks, che cercano invece di creare la tensione col solo lavoro registico, alternando primi piani a totali all’interno di un contesto scenografico sempre più claustrofobico e minaccioso, dando così vita ad un vertiginoso climax di tensione che si scioglierà solo alla fine. Decisamente diverso, tra i due film tratti dallo stesso romanzo, è proprio il finale: un parziale happy ending qui, uno più disilluso e apocalittico là. Se la pellicola uscì nelle sale in b/n, è stata successivamente colorizzata, dandole quel tocco in più, soprattutto per quel che riguarda la raffigurazione dell’alieno. Belle e azzeccate le inquietanti musiche di Dimitri Tiomkin, compositore russo – ucraino che all’epoca aveva già realizzato importanti colonne sonore come La Vita è Meravigliosa di Frank Capra (1946) e Duello al Sole di King Vidor (1946). Letto come un’allegoria della Guerra Fredda e della fobia americana verso il comunismo, il film è tuttavia centrato sul conflitto etico tra ragione e scienza, tra volere per forza salvaguardare la razza umana senza pensare alla possibile valenza scientifica della scoperta di forme di vita aliene nell’universo. La sicurezza dell’umanità, coadiuvata dall’apporto militare, prevale sulla scienza. L’evidente conflittualità tra la mentalità scientifica e quella militare si ritroverà poi in tantissime pellicole fantascientifiche, una fra tutte La Città verrà distrutta all’alba del Maestro George A. Romero del 1973.
Nonostante gli evidenti limiti, quindi, La Cosa da un Altro Mondo può e deve comunque essere riconosciuta come una delle pietre miliari del fantahorror, una delle pellicole che ha buttato le basi per la maggior parte dei film successivi che si imperniano sulla lotta tra umani ed invasori arrivati dallo spazio, non solo il classico di Carpenter, ma lo stesso Alien di Ridley Scott. Cliché tipici del cinema e della letteratura dell’orrore come il vampirismo, la paura dell’uomo nero, ed il richiamo evidente al mostro di Frankenstein di Mary Shelley si uniscono agli stilemi della pura fantascienza, generando un mix archetipico che, sebbene oggi possa senz’altro risultare un po’ datato, deve comunque essere contestualizzato ed investito del valore cinematografico indubbio che si porta addosso ancora oggi.
 

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