Essenziale ed intimista, pecca di una certa semplificazione in alcune parti del racconto, rischiando in più frangenti di ricadere nel patetico e nell'immediato.
La regia del debuttante Ektoras Lygizos si dimostra buona, dove compiutamente viene restituita l'oppressione e il disagio del giovane, tradotta da una frenetica macchina a spalla, pressante ed ipercinetica. La mano non manca insomma, ciò che non riesce a convincere in toto è la scelta di una narrazione fin troppo scorrevole, nella quale la ridondanza di concetti tende ad emergere. A fronte di ciò, appare tiepido il tentativo di inserire scene piuttosto forti, che però, di fatto, nulla aggiungono alla pellicola stessa, restando fini a se stesse e aventi funzione riconoscitiva più che narrativa.
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Essenziale ed intimista, pecca di una certa semplificazione in alcune parti del racconto, rischiando in più frangenti di ricadere nel patetico e nell'immediato.
La regia del debuttante Ektoras Lygizos si dimostra buona, dove compiutamente viene restituita l'oppressione e il disagio del giovane, tradotta da una frenetica macchina a spalla, pressante ed ipercinetica. La mano non manca insomma, ciò che non riesce a convincere in toto è la scelta di una narrazione fin troppo scorrevole, nella quale la ridondanza di concetti tende ad emergere. A fronte di ciò, appare tiepido il tentativo di inserire scene piuttosto forti, che però, di fatto, nulla aggiungono alla pellicola stessa, restando fini a se stesse e aventi funzione riconoscitiva più che narrativa.
Tuttavia occorre sottolineare come, in fin dei conti, il messaggio, anche tramite l'uso di costruzioni metaforiche ben congegnate (il finale è paradigmatico, al riguardo), esca con sufficiente chiarezza, oltre che con una buona dose di delicatezza.
In sintesi, trattasi di opera ben diretta, che paga però qualche ingenuità a livello di sceneggiatura.
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