m.raffaele92
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domenica 10 novembre 2013
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un capolavoro "a metà"
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DeMille ha letteralmente fatto il cinema. Diretto seguace di Griffith per tutto quello che riguarda la monumentalità della messa in scena (del quale si rivela maestro ex-equo col contemporaneo “rivale”), ha dato prove di magniloquenza con (tra i tanti) “Cleopatra” (1934), “Il re dei re” (1927), miglior muto del regista e (ça va sans dire) “I dieci comandamenti” (1956), remake del film in analisi.
La versione muta dell’omonimo film con Charlton Heston parte con un prologo (che occupa a dire il vero 48 minuti di film) folgorante, dove il regista dà prova del suo talento in modo ineguagliabile e conferisce a questo incipit storico una carica spettacolare tale da lasciare stupefatti ancora oggi.
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DeMille ha letteralmente fatto il cinema. Diretto seguace di Griffith per tutto quello che riguarda la monumentalità della messa in scena (del quale si rivela maestro ex-equo col contemporaneo “rivale”), ha dato prove di magniloquenza con (tra i tanti) “Cleopatra” (1934), “Il re dei re” (1927), miglior muto del regista e (ça va sans dire) “I dieci comandamenti” (1956), remake del film in analisi.
La versione muta dell’omonimo film con Charlton Heston parte con un prologo (che occupa a dire il vero 48 minuti di film) folgorante, dove il regista dà prova del suo talento in modo ineguagliabile e conferisce a questo incipit storico una carica spettacolare tale da lasciare stupefatti ancora oggi. Non mancano addirittura effetti speciali davvero innovativi per l’epoca (l’effetto delle acque che si separano, ad esempio).
Poi all’improvviso veniamo catapultati nel presente (alias il lontano 1923), e il film si ribalta completamente cambiando registro in modo brusco e inaspettato.
Ciò che ne segue è una storia pesante e soporifera che non ha altro intento se non quello di fare allo spettatore una morale pedante.
Di primo acchito ci verrebbe quasi da accusare un intento propagandistico della religione cattolica, che si risolve poi semplicemente in un tronfio ammonimento: “Se tu non rispetti i Dieci Comandamenti, costoro si ritorceranno contro di te”.
Ci si chiede davvero il perché un bravissimo regista come DeMille abbia optato per una svolta così “fuori corda” e in così forte contrasto con la parte precedente.
Imposizioni della produzione? Mancanza di mezzi? Guardando quei primi 48 meravigliosi minuti (summa del cinema del regista), ci sembra molto improbabile questa ultima opzione.
Eppure è un peccato, perché se fosse continuato sulla linea del prologo, sarebbe potuto entrare di diritto tra il massimi capolavori del muto (e potremmo dire del cinema in generale). Resta solo un bel film che, tra un colpo di sonno e l’altro (si fa sempre riferimento alla parte contemporanea) si lascia guardare.
Esito ultimo: il prologo è un pezzo di cinema obbligatorio per qualunque cinefilo che si rispetti.
Terminato questo momento idilliaco, non resta che gioire del sensazionale (e di gran lunga superiore) remake del 1956, vero capolavoro assoluto di DeMille.
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elgatoloco
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martedì 25 aprile 2017
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potenzia la forza del testo biblico
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Più del remake, realizzato dallo stesso Cecil B.De Mille più di trent'anni dopo, parlato e a colori, questo"The Ten Commandements"è film dalla potenza iconografica ed espressiva estrema: mimica, gestualità, prossemica funzionano pienamente, potenziando il testo bilico(tratto soprattutto dall'"Esodo", ovviamente, anche se non esclusivamente)rendendo appieno sia nelle scene di massa(anche con la presenza di animali)sia in quelle in cui Mosè è solo o quasi in rapporto ai suoi, per es.quando il popolo eletto è tentato dal vitello d'oro. Straordinarie anche le sequenze relative all'apertura(e successiva chiusura:per battere gli Egizi inseguitori, nel rpogetto della storia sacra, certo) del Mar Rosso: al di là di spiegazioni scientifiche certo possibili(o"compossibili"), peraltro mai ancora verificate-dimostrate, pur se forse dimostrabili-verificabili in futuro, come la presenza di alghe particolari, resta il fascino delle sequenze stesse, non uguagliate dal e nel remake; se si pensa ai mezzi tecnici disponibili negli anni Venti, poi, .
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Più del remake, realizzato dallo stesso Cecil B.De Mille più di trent'anni dopo, parlato e a colori, questo"The Ten Commandements"è film dalla potenza iconografica ed espressiva estrema: mimica, gestualità, prossemica funzionano pienamente, potenziando il testo bilico(tratto soprattutto dall'"Esodo", ovviamente, anche se non esclusivamente)rendendo appieno sia nelle scene di massa(anche con la presenza di animali)sia in quelle in cui Mosè è solo o quasi in rapporto ai suoi, per es.quando il popolo eletto è tentato dal vitello d'oro. Straordinarie anche le sequenze relative all'apertura(e successiva chiusura:per battere gli Egizi inseguitori, nel rpogetto della storia sacra, certo) del Mar Rosso: al di là di spiegazioni scientifiche certo possibili(o"compossibili"), peraltro mai ancora verificate-dimostrate, pur se forse dimostrabili-verificabili in futuro, come la presenza di alghe particolari, resta il fascino delle sequenze stesse, non uguagliate dal e nel remake; se si pensa ai mezzi tecnici disponibili negli anni Venti, poi, ...il tutto appare decisamente"extra-ordinario", assolutamente superiore anche alle potenzialità espresse, per fare un esempio credo non banale, nei coavi film espressionisti, la cui qualità è comunque per molti versi"assoluta". Recitazione e interpretazione non sono, contrariamente a quanto si possa pensare, enfatiche-"retoriche"(il lemma si presta notoriamente all'equivoco, essendo possibili varie letture dello stesso), ma finalizzate alla potenza del testo biblico, che non parla di fatti ed eventi"quotidiani", ma mette di fronte al Totalmente Altro; che essi, intendendo i gesti, siano molto più ampi e"distesi"di quanto non siano "normalmente"(altro avverbio da usare con beneficio d'inventario)è un elmento necessario in un film di questo genere. In confronto, diciamolo, i"pepla biblici"di anni successivi sono pessimi tentativi d'imitazione mal riuscita. El Gato
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