così alla fine del film Patricia Neal alias Leona Charles, donna di vita, cinica, ma con ancora un’anima sibilante alle realtà della vita, mentre sul molo oramai deserto, unico rimane un bambinetto messicano, che si aggirava fra la folla, alla ricerca del papà (che non sapeva ancora essere stato assassinato), fermo, senza più persone tra cui guardare, al centro della chiusura della scena finale.
Ripreso all’inizio della sua silenziosa apparizione sulla scena affollata, quasi fuori campo fra la gente, un piccolo punto nero che la mano magistrale del regista con la sua sequenza rende sempre più marcato, fino a farne il centro della scena statica di chiusura del sipario, fissato quasi in una foto, appesa all’anima dello spettatore, a rappresentarne tutta la tragica, silenziosa umanità di chi, innocente, inerme ed indifeso dovrà caricarsi il dramma sulle infantili spalle per tutta la vita.
Scompare la mano del regista, non si vede più la narrazione filmica, per lasciare magicamente solo una tremenda immagine di grande impatto emotivo.
'Golfo del Messico’ è il titolo italiano del film, recitato da un immenso John Garfield (mio beniamino dall’età di 5-6 anni), che straccia completamente la precedente interpretazione di Humphrey Bogart (‘Acque del sud', diretto da Howard Hawks).
Il film è basato sul romanzo di Hemingway ‘Avere non avere’.
Secondo la mia visione, il Non avere rappresenta lo stato della gente comune, sempre ad arrancare e ad arrampicarsi sulle increspature della povertà di tutti i giorni, per vivere e far vivere la propria famiglia.
L’Avere è lo stato di chi ha i soldi, che compra cose, persone, amore.
Alla fine sia gli uni sia gli altri non stringono nessun Avere, solo un bel Nulla, che è quello che la vita democraticamente elargisce a tutti con grande magnificenza.
Stupendo B&N di quei tempi, con un una profondità di neri ed un’estesa gamma di microcontrasto, che neanche gli apparecchi digitali più performanti di oggi riescono a raggiungere. (paolo patrone).