ivan il matto
|
lunedì 10 febbraio 2025
|
"love story" nel xxi secolo?
|
|
|
|
Hanno solo 2 anni di differenza Saoirse Ronan e Florence Pugh, ma tanto, tanto in comune! Irlandese la prima (classe 1994), britannica la seconda (1996), hanno lavorato insieme sul set di “Piccole donne” di Greta Gerwig (2019); attrici giovani, in odore di Oscar, dal talento straripante, sono state scelte da registi del calibro di Wes Anderson, Peter Weir, Christopher Nolan, Denis Villeneuve. Entrambe hanno recitato da protagoniste con John Crowley, regista irlandese, che sa cosa significa mettere in scena sentimenti autentici e scelte importanti nella vita di una donna. La Ronan con “Brooklin” (2015), Florence Pugh con “We live in time” (in questi giorni nelle sale), hanno offerto un contributo determinante alla riuscita di due ottime pellicole.
[+]
Hanno solo 2 anni di differenza Saoirse Ronan e Florence Pugh, ma tanto, tanto in comune! Irlandese la prima (classe 1994), britannica la seconda (1996), hanno lavorato insieme sul set di “Piccole donne” di Greta Gerwig (2019); attrici giovani, in odore di Oscar, dal talento straripante, sono state scelte da registi del calibro di Wes Anderson, Peter Weir, Christopher Nolan, Denis Villeneuve. Entrambe hanno recitato da protagoniste con John Crowley, regista irlandese, che sa cosa significa mettere in scena sentimenti autentici e scelte importanti nella vita di una donna. La Ronan con “Brooklin” (2015), Florence Pugh con “We live in time” (in questi giorni nelle sale), hanno offerto un contributo determinante alla riuscita di due ottime pellicole. Non è la classica Londra plumbea e piovosa quella che fa da sfondo alla relazione fra Tobias (un credibile Andrew Garfield) e Almut (la suddetta intensissima Pugh), ma non siamo dalle parti della classica ‘rom com’ raffinata ed elegante, bensì al dramma della prova più grande che una coppia sia chiamata ad affrontare. Per rendere tutto questo meno ‘invasivo’ per il film (la malattia non è mai un argomento semplice da maneggiare sul set), il regista adotta lo stratagemma degli scarti temporali nella narrazione, facendo del montaggio il vero protagonista della storia. Solo dopo una buona mezz’ora scopriamo le circostanze che hanno messo in contatto la coppia….e molto dopo la natura della scelta che devono effettuare: meglio aggiungere vita ai giorni o giorni alla vita? Il tutto con una leggerezza di tocco sorprendente e uno sguardo ironico quasi onnipresente. Tobias, impacciato grafomane che appunta tutto sperando di poterlo governare., Almut stratosferica, incinta o martoriata dalla chemio, sui pattini o in gara nei panni da chef, domina il film dall’inizio alla fine. Si, magari un pò troppo modaiolo nella scelta delle location e qua e là laccato, nonostante l’argomento...in fondo San Valentino è alle porte, possiamo concederglielo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ivan il matto »
[ - ] lascia un commento a ivan il matto »
|
|
d'accordo? |
|
cardclau
|
sabato 15 febbraio 2025
|
la morte di ivan illich
|
|
|
|
Ci sono molti modi per raffigurare la lotta con la morte, più o meno cruenti, terrorizzanti, pacificatori. “Misterioso paese da cui nessun viandante ha mai fatto ritorno” dice Shakespeare. Forse quello che mi è piaciuto di più è la partita a scacchi che il cavaliere intrattiene con l’oscuro Signore nel Settimo Sigillo di Bergman, che non solo gli permette il tempo di riflettere sull’argomento, ma anche di abbandonare il sé a favore del tutto. Nel film We live in time di John Crowley, per certi versi simile al Voglio mangiare il tuo pancreas del giapponese Shin'ichirô Ushijima, la malattia, e nel Settimo Sigillo, la pestilenza, allo spettatore (come al regista) viene risparmiata la visione della fase terminale quando la malattia vittoriosa sull’individuo, lo “cancella”.
[+]
Ci sono molti modi per raffigurare la lotta con la morte, più o meno cruenti, terrorizzanti, pacificatori. “Misterioso paese da cui nessun viandante ha mai fatto ritorno” dice Shakespeare. Forse quello che mi è piaciuto di più è la partita a scacchi che il cavaliere intrattiene con l’oscuro Signore nel Settimo Sigillo di Bergman, che non solo gli permette il tempo di riflettere sull’argomento, ma anche di abbandonare il sé a favore del tutto. Nel film We live in time di John Crowley, per certi versi simile al Voglio mangiare il tuo pancreas del giapponese Shin'ichirô Ushijima, la malattia, e nel Settimo Sigillo, la pestilenza, allo spettatore (come al regista) viene risparmiata la visione della fase terminale quando la malattia vittoriosa sull’individuo, lo “cancella”. Come pure viene risparmiato, come nella La stanza accanto di Pedro Almodóvar o C’est bien passé (forse un po’ meno bene), di François Ozon, quando il morituro decide, se non privo di risorse economiche, di anticipare la morte stessa, prendendola in contropiede. In tutti i film di questo genere, al di là della ineluttabilità della condanna, c’è un aspetto che ritengo assai prezioso: che di fronte alla morte ci può essere un risveglio, un rafforzamento, della consapevolezza del significato delle relazioni umane, con la risoluzione dell’angoscia scotomizzata, e un abbandono del sé a favore dell’insieme. D’altro canto rimane il lutto di chi rimane, spesso per niente indolore, difficilissimo da vivere e da condividere, se non ingannandolo o banalizzandolo. Che non vediamo, o che non vogliamo vedere. Perché nella nostra società non c’è posto per la morte.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a cardclau »
[ - ] lascia un commento a cardclau »
|
|
d'accordo? |
|
|