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ashtray_bliss
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mercoledì 9 dicembre 2020
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vivarium: macabro esperimento sociale.
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Sarebbe intellettualmente disonesto approcciarsi a Vivarium, lungometraggio d'esordio per l'autore Lorcan Finnegan, senza comprenderne pienamente l'essenza e le intenzioni: non è un mero film di fantascienza come la intendiamo tradizionalmente. E' una commedia nera, un grottesco che attinge ai generi del thriller e sci-fi per sferrare un'acutissima, pungente e memorabile critica sociale rivolta a tutte quelle pressioni -socialmente imposte- che vorrebbero incastrare la nostra individualità dietro tabelle troppo strette e limitanti, ma pur sempre semplici e comode da interpretare. Pressioni sociali che ci inducono a rispettare delle norme non scritte ma altamente richieste come quella di sposarsi, fare figli, comprare una villetta realizzando un sogno da media borghesia senza data di scadenza.
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Sarebbe intellettualmente disonesto approcciarsi a Vivarium, lungometraggio d'esordio per l'autore Lorcan Finnegan, senza comprenderne pienamente l'essenza e le intenzioni: non è un mero film di fantascienza come la intendiamo tradizionalmente. E' una commedia nera, un grottesco che attinge ai generi del thriller e sci-fi per sferrare un'acutissima, pungente e memorabile critica sociale rivolta a tutte quelle pressioni -socialmente imposte- che vorrebbero incastrare la nostra individualità dietro tabelle troppo strette e limitanti, ma pur sempre semplici e comode da interpretare. Pressioni sociali che ci inducono a rispettare delle norme non scritte ma altamente richieste come quella di sposarsi, fare figli, comprare una villetta realizzando un sogno da media borghesia senza data di scadenza.
Partendo da questo presupposto, il regista mette in scena un vero e proprio incubo, surreale, angosciante e soffocante. Seguendo la giovane coppia composta da Poots e Eisenberg intenti a a comprare casa per mettere pian piano su famiglia, assistiamo a come finiscano vittime di un agente immobiliare, Martin, peculiare e inquietante che li trascina nel labirintico quartiere residenziale Yonder. Un quartiere abbastanza sinistro e desertico, costituito da case identiche, colori pastello decisamente innaturali e un onnipresente cielo più posticcio di quanto vorremo immaginare guardando una poster pubblicitario (e che riecheggia vagamente Magritte). Una volta abbandonati, letteralmente, all'interno di una delle villette, i due ragazzi capiranno presto come andarsene da Yonder sia impossibile. Ecco allora che anche noi spettatori entriamo nel vivo di questo macabro esperimento sociale, dove gli esseri umani all'interno del Vivarium del titolo sono prigionieri di una dimensione alternativa, nella quale vengono studiati e osservati da non meglio specificati esseri alieni, bizzarri e crudeli. Ma non è il fine che vogliono raggiungere questi extraterrestri, assetati di potere e bramanti il dominio mondiale, a interessare il regista, quanto l'innescare nello spettatore una catena di riflessioni sull'inutilità e ineluttabilità della vita, delle pressioni socialmente imposte che ci impongono modelli da seguire che non si adeguano alla nostra personale ricerca di crescita e realizzazione ed infine di come anche noi stessi, nel nostro piccolo e senza accorgercene, finiamo per essere degli animali da laboratorio, sprecandoci all'interno di logoranti routine che non distano molto da quella di Yonder. Questo, essenzialmente, il messaggio di base che Finnegan vuole recapitare e lo fa in modo decisamente inusuale, peculiare, originale e ironico. La sua è una satira tagliente che si fa strada attraverso questo incubo a colori che si materializza sotto i nostri occhi. Un labirinto nel quale i protagonisti sono intrappolati, incastrati all'interno di questa dimensione parallela, un non-luogo sospeso nel tempo e nello spazio dal quale non vi è via d'uscita o di fuga che diventa sempre più disturbante, ossessivo, inquietante e sinistro. Compresi i sentimenti che legano Gemma e Tom o la genitoralità impostata e forzata che condividono con quel bambino-alieno che gli viene recapitato prontamente come un pacco Amazon. Ma dopo il disorientamento iniziale e col passare del tempo, persino le emozioni e le sensazioni perdono la loro autenticità e diventano qualcosa di simulato, fittizio, artificiale. Esattamente come ciò che li circonda, dal cibo privo di gusto di cui si nutrono alla terra del loro giardino.
Emblematico e intelligente il finale ciclico che metaforicamente rappresenta la ciclicità della vita e della sua inutilità che si ricicla ad infinitum, esattamente come l'agente immobiliare Martin dell'inizio viene sostituito dal bambino, ormai cresciuto, e come la coppia Gemma-Tom venga sostituita da una nuova coppia di malcapitati entrati nella medesima agenzia. Il cerchio in questo caso non è destinato a spezzarsi ma a ripetersi in eterno, come un virus che replica se stesso infettando il sistema che lo ospita, senza alcuna possibilità di fermarlo all'interno di una sorta di griglia (o matrix) soffocante e opprimente.
E sotto questo aspetto Vivarium non può che risultare una scommessa riuscita, un'opera visivamente accattivante e stimolante che intrattiene divertendo con la sua sagacia e brillanti battute ma che inculca anche un senso acuto di disagio e malessere poichè siamo consci del fatto che quella metafora punta il dito dritto verso di noi. La nostra vita e quotidianità non dista molto da quella che vediamo rappresentata, seppur portata agli estremi.
Coadiuvato da due attori in gran forma, una regia robusta e una sceneggiatura originale e incisiva che induce a più di una riflessione mentre intrattiene in modo divertente e intelligente ma mai banale o superficiale, possiamo affermare di trovarci dinanzi ad uno dei prodotti più interessanti, originali e memorabili dell'anno passato. Un abile mix di generi che fonda bene i principi del thriller psicologico e sociale al sci-fi claustrofobico con corpose dosi di humor nero e passaggi volutamente grotteschi a servizio di un film stratificato.
Intrigante, inquietante e frizzante, da vedere sicuramente. Voto: 3,5/5.
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felicity
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lunedì 20 dicembre 2021
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tra la fantascienza distopica e l’horror
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In Vivarium la furia sociale del “non restare indietro” quando si tratta di mettere su famiglia, conduce la giovane – forse, fin troppo giovane – coppia di fidanzati a spingersi verso l’inferno della ricerca immobiliare, dove il traghettatore di turno, un Martin totalmente sui generis – neanche fosse uscito da un allevamento di perfetti robot d’agenzia – , è lì pronto ad aspettare i primi malcapitati venuti a reclamare il solito nido d’amore. Yonder – termine emblematico che si riferisce a un indeterminato spazio “al di là” o del “laggiù” – rappresenta una tradizionale periferia residenziale modello Suburbicon.
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In Vivarium la furia sociale del “non restare indietro” quando si tratta di mettere su famiglia, conduce la giovane – forse, fin troppo giovane – coppia di fidanzati a spingersi verso l’inferno della ricerca immobiliare, dove il traghettatore di turno, un Martin totalmente sui generis – neanche fosse uscito da un allevamento di perfetti robot d’agenzia – , è lì pronto ad aspettare i primi malcapitati venuti a reclamare il solito nido d’amore. Yonder – termine emblematico che si riferisce a un indeterminato spazio “al di là” o del “laggiù” – rappresenta una tradizionale periferia residenziale modello Suburbicon. Tutto ciò che si potrebbe desiderare, dunque, posto peraltro a una “giusta distanza”: quality family homes. Forever. Finnegan lascia ancora un po’ di tempo per sognare ai suoi ironici ragazzi innamorati. Per un attimo, infatti, il film galleggia nell’interspazio – tra le righe dell’horror e della fantascienza distopica – di una commedia leggera, con tanto di canzoni canticchiate all’unisono durante il viaggio verso la casa da visitare. Ma non appena l’automobile di Jesse Eisenberg e Imogen Poots oltrepassa la soglia del sobborgo, tono e colori cambiano. Forever. All’improvviso sembra di stare nella gotica Florida “pastello” di Tim Burton. Ma con le case molto più sbiadite e moltiplicate all’infinito. Un labirinto in un’unica tonalità verde tenue, all’interno del quale non circola anima viva; dove il cielo azzurro inquieta almeno quanto quello riprodotto da Magritte dentro l’occhio dalla pupilla oscurata.
Gemma e Tom vengono accompagnati da Martin al civico 9, la casa perfetta per una giovane famiglia nascente. Nei fatti, una casa vacanze confezionata di tutto punto, pronta per essere abitata da subito – fragole e champagne sono già in fresco! – e per tutta la vita. Ma se l’agente immobiliare robotico o la sfilza di case perfettamente identiche calate in un silenzio innaturale non fossero elementi già sufficienti per aspettarsi il peggio, Finnegan rincara la dose, addobbando le pareti della villetta con quadri che sono, di fatto, mere raffigurazioni della casa stessa. Pure imitazioni di qualcosa di già visto; copie di copie di un reale consumato a furia di essere prolificato in ogni suo aspetto. È ancora il concetto di imitazione a riecheggiare tra le vie spoglie del quartiere verde. È ancora magrittiano il postulato: per le eclatanti tonalità fredde dell’immagine; per l’ambiguità di ciascuna situazione; per il reale sintetico riprodotto su piccola scala, decontestualizzato fino all’estremo straniamento, per far sì che si riveli il “mistero” umano, impossibile da decifrare. E dove emerge sempre più chiaramente che tra la realtà umana e la sua mera duplicazione in vitro non possa sussistere alcuna vera coincidenza. «Non sono la tua fottuta madre», quindi; proprio come la pipa rappresentata in immagine non era la pipa reale, a dispetto di ogni presunto realismo apparente o etichetta linguistica associata all’oggetto. Gemma e Tom finiranno per prendere in carico un ragazzino “mutante” che – non a caso – non fa che guardarli e riprodurre i loro gesti e discorsi, nell’intento di imparare l’attitudine umana, anche nei più radicati cliché familiari («Sei di nuovo sconvolta, madre?»). Ma il cibo non ha sapore, la terra è di un materiale strano, l’istinto materno è finto e inculcato da fuori, il sole è fin troppo perfetto, come quello della Seahaven Island in cui viveva Truman Burbank, in un altro “livello” della finzione. In tutti questi casi, vige e si alimenta giorno per giorno il sogno della fuga da una qualsiasi Revolutionary Road, a riprova – ancora e ancora – che la vita non si replica in copia carbone. Finnegan lo dice in tutti i modi, tenendosi sempre sul confine tra l’ironico e il soffocante, ma perdendo un po’ d’acume al momento di tirare le somme della storia. Lo dice con le sue nuvolette “perfette e nauseanti” o con la bella danza notturna sotto i fari dell’auto, forse l’unico momento davvero vissuto di tutta la vicenda.
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dandy
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martedì 26 novembre 2024
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cosa dolce cosa.
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Insolito esordio un pò incubo kafkiano un pò fantascientifico (oltre al resto qualche eco da "Ai confini della realtà")e con accenni horrorifici.L'atmosfera straniante e il tono impassibile funzionano e temi non nuovi come la critica alla famiglia,il discorso genitori-figli(con l'esasperazione che può caratterizzare questi ultimi da bambini) e la disgregazione degli affetti causa l'intrusione di un elemento estraneo(esplicata chiaramente dalla sequenza con ciclo riproduttivo del cuculo che apre il film)risultano incisivi grazie all'inedita prospettiva estremizzata diell'abitazione ideale in un quartiere pacifico.Eisenberg e la Poots sono molto bravi nel tratteggiare una coppia più credibile e meno stereotipata del solito,umani impotenti di fronte a qualcosa aldilà di ogni logica che finisce inevitabilmente per metterli contro e distruggerli.
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Insolito esordio un pò incubo kafkiano un pò fantascientifico (oltre al resto qualche eco da "Ai confini della realtà")e con accenni horrorifici.L'atmosfera straniante e il tono impassibile funzionano e temi non nuovi come la critica alla famiglia,il discorso genitori-figli(con l'esasperazione che può caratterizzare questi ultimi da bambini) e la disgregazione degli affetti causa l'intrusione di un elemento estraneo(esplicata chiaramente dalla sequenza con ciclo riproduttivo del cuculo che apre il film)risultano incisivi grazie all'inedita prospettiva estremizzata diell'abitazione ideale in un quartiere pacifico.Eisenberg e la Poots sono molto bravi nel tratteggiare una coppia più credibile e meno stereotipata del solito,umani impotenti di fronte a qualcosa aldilà di ogni logica che finisce inevitabilmente per metterli contro e distruggerli.Funzionano meno la gestione della trama tra varie forzature e una svolta in pre-finale che cerca inutilmente di essere d'effetto.Si apprezza la mancanza di lieto fine,e in parte,di una vera e propria spiegazione.Interessante e inquietante,ma non certo il capolavoro a cui certi critici hanno urlato.
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gianleo67
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domenica 5 aprile 2020
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gli imprevedibili vantaggi dell'archipallio
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Giovane coppia in cerca di casa, si imbatte nella bizzarra agenzia immobiliare del complesso Yonder, omologata zona residenziale di villette a schiera con recinzione d'ordinanza e annesso giardino di erba finta. L'inutile tentativo di uscire dal labirintico dedalo di stradine del complesso, li convince ben presto di essere oggetto di un sinistro esperimento sociologico che ha a che fare con l'allevare un pargolo misterioso cui impartire l'imprinting della innata empatia di una misconoscita quanto 'aliena' specie umana. Se l'ingresso nelle produzioni indipendenti dei giovani registi anglosassoni è quasi sempre votata agli ammiccanti e metaforici regni del fantastico (horror, sci-fi, thriller), quello del quarantenne autore irlandese Lorcan Finnegan, già contrassegnato da un corto ed un esordio (Without Name) di ambientazione ecologica, si distingue dalle canoniche performance di genere per l'originalità di uno script e le suggestioni di una messa in scena che incrociano le tinte pastello di un'estetica surrealista con le stranianti riflessioni antropologiche sulla peculiare specificità della natura umana.
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Giovane coppia in cerca di casa, si imbatte nella bizzarra agenzia immobiliare del complesso Yonder, omologata zona residenziale di villette a schiera con recinzione d'ordinanza e annesso giardino di erba finta. L'inutile tentativo di uscire dal labirintico dedalo di stradine del complesso, li convince ben presto di essere oggetto di un sinistro esperimento sociologico che ha a che fare con l'allevare un pargolo misterioso cui impartire l'imprinting della innata empatia di una misconoscita quanto 'aliena' specie umana. Se l'ingresso nelle produzioni indipendenti dei giovani registi anglosassoni è quasi sempre votata agli ammiccanti e metaforici regni del fantastico (horror, sci-fi, thriller), quello del quarantenne autore irlandese Lorcan Finnegan, già contrassegnato da un corto ed un esordio (Without Name) di ambientazione ecologica, si distingue dalle canoniche performance di genere per l'originalità di uno script e le suggestioni di una messa in scena che incrociano le tinte pastello di un'estetica surrealista con le stranianti riflessioni antropologiche sulla peculiare specificità della natura umana. Precipitati nell'incubo di un esperimento pedagogico da imperscrutabili demiurghi che acconciano l'oscuro Labirinto di morte (In the Mouth of Madness) di una realtà posticcia e omologata nel non luogo per eccellenza dei complessi residenziali del South East (The Truman Show) e insidiati nel loro nido d'amore dal parassitismo di covata di una multiforme specie rettiliana, i protagonisti del film di Finnegan sono condotti a riprodurre in forme controllate quei processi imitativi di una specie superiore che in pochi di milioni di anni ha saputo sviluppare le abilità cognitive, le facoltà empatiche e le sovrastrutture etiche che fanno dell'essere umano l'oggetto di una irresistibile curiosità biologica su scala interstellare. Frutto di una accurata selezione scientifica (lei pedagogista, lui giardiniere con la vanga sempre a portata di bagagliaio) che dovrebbe poter contare sulla significatività statistica di un campione variegato quanto insperscrutabile (la simultaneità temporale è occultata da una geniale sfalsamento dimensionale), si infrange ironicamente con i difetti sempre insiti nel mero processo imitativo (preannunciato dalla scena iniziale di una classe di bimbi che mimano infedelmente una selva sotto la tempesta), facendo emergere nei grossolani strafalcioni di un apprendistato biologico alieno la imponderabile complessità e contradditorietà della specie umana, talora solleticata nella pietas dei propri imperativi morali, più spesso messa alle strette dall'istinto protettivo di una madre putativa che non ha capito bene con chi ha a che fare. Emerge così, a dispetto dell'angosciosa ambientazione di stranianti scenografie magrittiane, il sottotesto ironico e beffardo della vulnerabilità biologica e culturale di una specie dominante che, se ha da sempre affinato le proprie armi di dominio sulle altre forme di vita (la reazione neocorticale è tardiva e inefficace ma beffardamente rivelatrice, nel finale, dei mondi paralleli di esperimenti domestici contestuali), rivela il tallone d'Achille di una emotività limbica che soccombe inesorabilmente di fronte alla spietata e 'burocratica' logica dell'invasore alieno dalla lingua biforcuta. D'altro canto si sa, chi si scava la fossa da solo merita, presto o tardi, di finirvi dentro. Ben assortita la coppia Jesse Eisenberg&Imogen Poot, bianchi dal cuore R&B che anticipano, con la bellissima A Message to you Rudy nell'originale di Dandy Livingstone, il sottotesto politico di una commistione di razze e di culture destinate all'inevitabile resa dei conti finale. Premio Gan Foundation Support for Distribution a Lorcan Finnegan al Cannes Film Festival e miglior attrice protagonista a Imogen Poots al Sitges - Catalonian International Film Festival 2019.
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